Lo stop alle vetture con motore termico entro il 2035 non premierà solo i cinesi, pieni di materie prime indispensabili per l’elettrico. Godono le grandi case, che prevedono miliardi di utili in più. Per l’attuale indotto italiano sarà un disastro. Come per le famiglie.
Lo stop alle vetture con motore termico entro il 2035 non premierà solo i cinesi, pieni di materie prime indispensabili per l’elettrico. Godono le grandi case, che prevedono miliardi di utili in più. Per l’attuale indotto italiano sarà un disastro. Come per le famiglie.Bruxelles ha deciso per lo stop dei motori a scoppio. Nessuna transizione progressiva ma uno strappo netto: dal 2035 divieto di produrre auto a benzina, diesel, ma anche le ibride e le altre vie di mezzo. La scelta, infatti, bloccherà anche la possibilità di sviluppare motori alternativi che si spostino grazie a biocombustibili o idrogeno. Il lasso di tempo di 12 anni è così breve che nessuna società deciderà di spendere denaro per fare ricerca parallela. Non si studierà alcuna versione di diesel in grado di consumare un litro di carburante per 100 chilometri. Quindi nei fatti si renderanno tutte le aziende che si occupano di mobilità dipendenti dall’elettricità. E di base vulnerabili a numerosi eventi esterni. Eventi che vanno dalla scarsità di materie prime alla dipendenza dalla tecnologia già sviluppata dai colossi stranieri. La domanda di base è: perché fare del male all’intero Vecchio continente? Tra coloro che giustamente criticano la mossa devastante del Parlamento Ue (anche dal punto di vista inflattivo) avanza il dubbio che i vertici europei abbiano deciso volutamente di mettersi nelle mani della Cina, Paese che a oggi è leader della mobilità elettrica (soprattutto sul fronte delle batterie). Pechino, inoltre, a parità di prestazioni è in grado di immettere sul nostro mercato automobili che costano la metà di quelle prodotte in Occidente. Le nostre aziende - per di più - sono molto indietro dal punto di vista tecnologico e necessiteranno di grandi masse di liquidità per colmare il gap. E anche con i finanziamenti pubblici ci vorranno anni per arrivare a pareggiare il know how cinese. Pur temendo che qualche decisore a Bruxelles sia un agente infiltrato del Dragone, è però limitativo pensare che dietro la follia green ci sia la Cina o esclusivamente la Cina. Se seguiamo i soldi troviamo altri indizi, che ci portano dritti dritti alle case automobilistiche nostrane. Più è veloce e drastico il passaggio dal motore a scoppio all’elettrico, più i gruppi cresceranno di valore. Un interessante e dettagliato report firmato dalla sigla di analisti indipendenti Profundo spiega che per le principali case automobilistiche il passaggio alle emissioni zero nel 2035 consentirà una crescita del fatturato del 316%, che corrisponde alla cifra monstre di 1.727 miliardi aggiuntivi in un lasso di tempo di cinque anni. Profundo distingue tra produttori mass market come Volkswagen, Stellantis e Toyota, per i quali la crescita sarà del 237%, e il polo del lusso (Bmw, Volvo e Mercedes) che raggiungerà il 396% di spinta. Con picchi ancor più alti. In cima alla classifica le due tedesche, Mercedes e Bmw, «rischiano» di vedere una crescita rispettivamente di 390 miliardi e di 290 con percentuali intorno al 470%. Grandi soddisfazioni anche per il gruppo Stellantis nato dalla fusione di Peugeot e l’Fca degli Agnelli, che - sempre secondo Profundo - potrebbe registrare 200 miliardi in più di incassi. Tutte stime valutate in caso di transizione rapida. Lo studio, datato giugno 2022, dimostra in aggiunta che le case automobilistiche, in caso di transizione lenta, avrebbero incassato almeno 800 miliardi di fatturato in meno. Il motivo si spiega facilmente. Per arrivare pronti al 2035 si deve correre e si imporrà a milioni di automobilisti di rifare il parco auto, comprimendo le richieste e mantenendo i prezzi alti. Già entro il 2030 le case analizzate da Profundo saranno in grado di portare a casa margini di profitto nettamente superiori rispetto a quelli attuali. Dal momento che già nel 2027 i distinti business plan (elettrico e scoppio) raggiungeranno una parità di mercato, a quel punto basterà mettere a confronto i costi di produzione per fare i calcoli futuri. E qui si arriva alla ciccia vera dei bilanci. Assieme ai fatturati, con l’elettrico nonostante il minor numero di auto vendute aumenteranno le marginalità. Basti pensare che il costo medio sarà di circa 20.000 euro contro i 13.900 delle auto con motore a scoppio. Solo la batteria sarà fatta pagare in media 8.000 euro e poi ci saranno tutti i costi di manutenzione. Non solo estremamente elevati. Ma tutti a vantaggio delle case automobilistiche che riusciranno a buttare fuori dal mercato le officine tradizionali. A queste ultime per salvarsi non basterà nemmeno avere una laurea ma per rimanere sul mercato servirebbe anche la possibilità di accesso a software complicatissimi, il che tenderà ad escludere circuiti alternativi a quelli dei produttori. Come abbiamo già avuto modo di scrivere sulla Verità, la fabbrica cinese Polestar del gruppo Geely-Volvo ha analizzato il ciclo vita di una delle sue Model 2 paragonandola a una Xc40 a benzina. Ebbene, l’elettrica è più sostenibile soltanto dopo 75.000 chilometri, percorrenza che può già rivelarsi tale da richiedere la sostituzione della batteria. Dall’analisi di Polestar consegue che ogni 15-20.000 chilometri circa anche l’auto elettrica finisce in officina. Prendendo ad esempio il controllo dei 50.000 chilometri per l’elettrica Nissan leaf questo costa circa 150 euro, mentre per una Tesla model S sale a 650. Seguendo il medesimo schema, si conclude che il ciclo vitale di una batteria può arrivare ai 200.000 chilometri ma raggiunge il picco a otto anni di vita. Nulla di paragonabile alla durata di un motore tradizionale. Insomma, alla luce dello studio di Profundo non è difficile capire chi ci guadagna dalla transizione green (le case automobilistiche) e chi sarà bastonato (gli automobilisti e l’indotto italiano che difficilmente riuscirà a subentrare in toto alle aziende cinesi). Se servisse una ulteriore conferma del ragionamento consigliamo la lettura dell’edizione di ieri di Repubblica, La Stampa e Il Sole 24 Ore. Le prime due testate hanno dato la notizia della rivoluzione green come fosse un fatto di cronaca locale su cui nemmeno soffermarsi. Il quotidiano di Confindustria, contrariamente alla linea seguita in merito alle direttive Ue sulle case green, ha alzato gli scudi e pure i toni. Repubblica e La Stampa rappresentano la vincente Stellantis. Il Sole l’indotto italiano che finirà gambe all’aria.
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