
Prima la separazione delle carriere a febbraio, poi avanti con l'autonomia con l'aiuto del Parlamento. Cautela sul premierato, ma l'intenzione è quella di chiudere entro l'anno.Per il governo Meloni si chiude un anno intenso di provvedimenti. Un governo che dal suo insediamento ha prodotto più di 170 leggi entrate in vigore, quelle di iniziativa parlamentare per altro, sono in percentuale tra le più numerose dal 2008 a oggi. Nello specifico 140 leggi approvate e 34 ratifiche di leggi internazionali. 80 decreti legge, di cui 69 già convertiti. Insomma l’attività è intensa, ma lo sarà ancora di più nel 2025, per Giorgia Meloni, lo ha annunciato lei stessa, sarà l’anno «delle riforme».Sul tavolo le più importanti sono quella sulla separazione delle carriere, quella sul premierato e quella sull’autonomia. In attesa della conferenza stampa di inizio anno del presidente del Consiglio, in cui si spera si saprà di più su tempi e modalità, quello che si sa è che il percorso più veloce e ravvicinato lo avrà la riforma più condivisa dall’intera maggioranza: quella sulla giustizia che prevede la separazione delle carriere dei magistrati.A gennaio alla Camera ci sarà una capigruppo che definirà meglio ogni cosa, ma l’idea è che la riforma tanto voluta da Silvio Berlusconi, potrebbe ricevere il via libera di Montecitorio a febbraio e l’8 gennaio l’Aula sarà chiamata a esprimersi sulle pregiudiziali delle opposizioni.Contenuti della riforma sulla separazione delle carriereIl disegno di legge sulla separazione delle carriere dei magistrati punta a dare effettiva attuazione all'art. 111 della Costituzione che regola il giusto processo. Oggi, i Pubblici Ministeri e i Giudici accedono alla loro funzione attraverso lo stesso concorso e siedono nello stesso Consiglio Superiore della Magistratura che si occupa, tra l'altro, di nomine e procedimenti disciplinari: sono, di fatto, colleghi. Una vera e propria distorsione, in un sistema che vorrebbe il Giudice «terzo ed imparziale» rispetto alla pubblica accusa e alla difesa. L’obiettivo è eliminare le correnti politiche dalle scelte della magistratura. Secondo il governo la riforma che prevede la separazione delle carriere non intaccherà in alcun modo l'indipendenza della magistratura: saranno, infatti, istituiti due diversi CSM, uno per i Giudici, l'altro per i Pubblici Ministeri, totalmente svincolati da qualsiasi forma di controllo dell'Esecutivo. Il sistema di nomina dei componenti di tali organismi, inoltre, avverrà con sorteggio e non più per elezione. Questo sarà anche l’anno della legge sull’Autonomia differenziata. Una riforma voluta con forza dalla Lega e partita subito a passo spedito, forse troppo. Sì perché gli intoppi ci sono stati, dovuti soprattutto ad una riforma del Titolo V a suo tempo fatta male e incompleta. Attualmente la Corte costituzionale si è pronunciata a favore ma con delle riserve su alcuni punti che dovranno essere risolti in Parlamento. Il percorso per il governo si complica, ma anche quello dell’opposizione. L’annunciato referendum non ha più senso di esistere, perché si farebbe contro una legge che in parte verrà cambiata per adattarsi alla sentenza della consulta. Per Partito democratico e compagni, una bandierina in meno da sventolare considerato che sarebbe comunque difficile raggiungere il quorum con il Pd del Nord non convinto di condurre una battaglia contro l’Autonomia.I contenuti della riforma sull’autonomiaIl disegno di legge per l'autonomia differenziata, dando piena esecuzione alla riforma del titolo V della Costituzione voluta dalla sinistra nel 2001, introduce per le Regioni a Statuto ordinario la possibilità di chiedere allo Stato la gestione diretta su determinate materie quali, ad esempio, l'istruzione, la tutela della salute, la protezione civile, il governo del territorio, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali.Le Regioni interessate dovranno proporre un'intesa da stipulare con lo Stato a cui sarà data attuazione mediante una specifica legge votata dal Parlamento a maggioranza assoluta.L'obiettivo della riforma, caldeggiata sin dal 1994 dall'allora Partito Democratico della Sinistra, è di dare piena attuazione al principio di sussidiarietà sancito dalla Costituzione consentendo alle Regioni, che sono più vicine al cittadino, di offrire servizi in modo più efficiente e rendendo effettivo il godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali in ogni parte d'ltalia.Con minore burocrazia e una migliore gestione della spesa sarà più facile superare i divari territoriali. I meccanismi di solidarietà per le Regioni che non concluderanno le intese restano invariati: sarà loro garantito il finanziamento dello Stato centrale da destinare allo sviluppo della coesione e della solidarietà sociale. Dovranno essere preventivamente calcolati i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) su tutto il territorio nazionale, ovvero il costo minimo che deve avere un servizio che impatta sulla vita dei cittadini. Inizialmente, dunque, le competenze saranno uguali per tutti. Solo in un secondo momento le Regioni che avranno i requisiti e che lo richiederanno potranno accedere alla differenziazione.Per quanto riguarda la riforma del premierato, la più cara a Giorgia Meloni non si hanno ancora tempi definiti. La volontà è di chiudere entro l’anno ma l’impressione è che si voglia procedere con cautela per evitare di mettere troppa carne al fuoco. Attualmente si sa poco anche della necessaria riforma della legge elettorale di accompagnamento.Contenuti della riforma sul premieratoCon il disegno di legge sul Premierato, il Governo Meloni intende dare vita a una riforma in grado di garantire governi più stabili e in cui siano gli elettori a decidere a chi affidare la guida dell'Esecutivo, attraverso l'elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri. II premierato mira a garantire, attraverso Governi in grado di durare un'intera legislatura, l'attuazione di programmi di medio-lungo periodo nonché a consolidare il principio democratico, valorizzando il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell'indirizzo politico della Nazione e a favorire la coesione degli schieramenti elettorali, scoraggiando il trasformismo parlamentare.Dalla nascita della Repubblica, in 19 legislature, si sono susseguiti 68 diversi governi, segno di una enorme instabilità e di una malsana propensione dei partiti a ignorare la volontà popolare, imbastendo, di volta in volta, maggioranze frutto di accordi di palazzo: tutto pur di non restituire ai cittadini il potere di decidere da chi essere governati.Con questa riforma, simili accordi non saranno più possibili. Gli italiani, con il loro voto, sceglieranno direttamente il Presidente del Consiglio e caduto il governo si potrà solamente tornare alle urne.La riforma prevede anche l'abolizione dei Senatori a vita, parlamentari non eletti ma di nomina Presidenziale, che troppo spesso hanno fatto da ago della bilancia per decisioni fondamentali per la Nazione. Saranno Senatori a vita solo gli ex Presidenti della Repubblica.
(Ansa)
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