2021-01-07
I 20 miliardi del «Ristori 5» già non bastano
L'ipotesi di scostamento calcolata a Natale per il quinto decreto di aiuti non teneva conto delle nuove serrate né dell'instabilità del Conte bis. Con la crisi, gli aiuti salterebbero. Pure Roberto Gualtieri a rischio: al suo posto, una fetta di Pd sonda l'ex azzurro Domenico Siniscalco.Crisi di governo: il premier preferirebbe la conta in Aula alla resa. Matteo Renzi: «Avanti fino al 2023».Lo speciale contiene due articoli. La manovra 2021 con ben 40 miliardi di deficit e debito generato dal Recovery plan è stata licenziata dall'Aula nove giorni fa. Se si aggiunge il budget già destinato al 2021 dalla legge finanziaria approvata a dicembre del 2019 si arriva alla cifra di 66 miliardi di euro. Quasi tre volte gli importi standard dell'ultimo decennio. Aggiungiamo i 150 miliardi di deficit prodotto nel 2020 e gli altri 100 da spalmare nel prossimo quiquennio e si arriva a un debito potenziale di 300 miliardi. Eppure siamo al 7 gennaio e serve subito la riedizione di un decreto Ristori, il quinto per l'esattezza. Per il semplice motivo che il caos dei colori delle Regioni e le continue chiusure degli esercizi commerciali escludono a priori una programmazione economica di sostegno. Non è una discolpa per il governo. Semmai un doppio crimine. A decidere gli stop è del tutto chiaro che si tratti della politica. Nemmeno la scusa della scienza viene più utilizzata. Il blocco degli esercizi commerciali viene comunicato all'ultimo e nessuno programma i bonus in anticipo. Per di più è chiaro che il metodo di sostegno pubblico adottato dal governo Conte è sbagliato e incongruente. Altrimenti non ci troveremmo al 7 gennaio con la necessità di stanziare altri fondi e deficit per erogare elemosina per il periodo di gennaio. La storia tirerà le file delle macerie create. Adesso invece bisogna pensare a come evitare ulteriori danni.Il vice ministro dell'Economia, Laura Castelli, si dice convinta che la risposta sia la coazione a ripetere. Nel Ristori quinques vorrebbe inserire almeno un paio di dozzine di miliardi di euro a deficit per i bonus e per coprire la rottamazione delle cartelle. Il governo ha promesso nei giorni scorsi una «gestione straordinaria» per tendere la mano ai contribuenti che, già dalle prossime settimane, si troveranno di fronte alla valanga di cartelle esattoriali in arrivo dopo la sospensione dei primi mesi della pandemia. Le misure, compresa una rottamazione quater che potrebbe essere estesa fino al 2019, dovrebbero inserirsi nel nuovo quadro degli aiuti che il governo già prima di Natale pensava di finanziare con uno scostamento da almeno 20 miliardi, da chiedere attorno alla metà di gennaio per finanziare il nuovo decreto Ristori. Ipotesi che però non teneva conto né del protrarsi delle chiusure e dall'altro dei venti di crisi che stanno investendo l'esecutivo giallorosso. Se il Conte bis dovesse fermarsi, infatti, anche i ristori sarebbero a rischio: prosciugati in mille rivoli di emendamenti parlamentari i 3,8 miliardi del fondo anti-Covid della manovra, senza un nuovo scostamento non ci sarebbe un euro da spendere per le promesse compensazioni per le categorie più colpite. Certo, nei quattro decreti Ristori era stata creata una piccola dote per i contributi automatici dell'Agenzia delle entrate alle attività economiche via via coinvolte dalle chiusure, ma nuove misure di contenimento del virus su larga scala esaurirebbero i fondi velocemente. E, appunto, non resterebbe nulla per quell'intervento «perequativo» che lo stesso ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, aveva iniziato a ipotizzare già a metà novembre. L'idea resterebbe infatti quella di introdurre un nuovo meccanismo per la quantificazione delle perdite, su base almeno semestrale anziché mensile per non penalizzare le attività stagionali. Ma per farlo servono risorse ingenti. I 20 miliardi stimati a Natale non bastano. Non solo, anche se passasse la rottamazione delle cartelle, questa purtroppo coprirebbe la situazione pregressa. A giugno le aziende non avranno soldi per pagare le tasse, uno step antecedente all'emissione di una cartella. E questo è il vero tema da risolvere. Così come l'altro grande errore di valutazione commesso a partire da marzo 2020. In Germania gli indennizzi tengono conto del mancato fatturato. Non dei risultati dell'azienda. In pratica, Berlino eroga veri e propri ristori come farebbe una assicurazione, non indennizzi forfettari. Una enorme differenza che si sentirà al momento della ripartenza. Là sarà un pronti e via. Qui conteremo le aziende morte. Senza contare il divieto di licenziamenti in atto fino al 31 marzo sul quale il governo lancia solo pessimi messaggi, lasciando trasparire idee estremamente confuse.La trattativa in corso sul Recovery plan sebbene avvenga per motivi di mera politica politicante sta però spostando le risorse dai sussidi agli investimenti. E ciò è un buon segno. All'interno del turbinio del rimpasto c'è anche chi nota il possibile cambio di passo. Nonostante Gualtieri sembri l'argine contro le richieste più hard, c'è una fetta del Pd che sarebbe pronta a dargli il ben servito. Nelle scorse ore è stato sondato l'ex ministro delle Finanze di Silvio Berlusconi, Domenico Siniscalco. Avrebbe il pregio agli occhi del Pd (la fetta avversa a Conte) di avvicinare Forza Italia all'esecutivo e di superare la mentalità dei sussidi statalisti che regna con Gualtieri e i 5 stelle. Certo il Conte ter e Massimo D'Alema non accetterebbero mai un cambio di guardia al Mef.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/20-miliardi-ristori-non-bastano-2649775719.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-senatore-semplice-fa-bagarre-ma-fugge-da-voto-e-governi-di-scopo" data-post-id="2649775719" data-published-at="1609993730" data-use-pagination="False"> Il senatore semplice fa bagarre ma fugge da voto e governi di scopo Giuseppe Conte, in cuor suo, vorrebbe andare alla guerra. O quella parziale, ovvero la conta in Senato per sostituire Matteo Renzi con i famigerati «responsabili», o addirittura quella totale, vale a dire le elezioni anticipate, per sfidare Matteo Salvini e il centrodestra a capo della gioiosa macchina da guerra formata da Pd, M5s e partitini centristi e di sinistra radicale. Peccato per lui che nessuna delle strade sia tenuta in considerazione dai suoi quasi ex alleati di governo. La situazione è quindi estremamente semplice: Conte deve farsi coraggio, andare al Quirinale e dimettersi, per poi sperare di ricevere il reincarico e formare il Conte ter, con più ministri per Italia viva (Ettore Rosato o Maria Elena Boschi alla Difesa al posto di Lorenzo Guerini, che andrebbe all'Interno), e vari cambi in squadra. Il problema è che Conte ha una paura tremenda di dimettersi, perché nessuno può garantirgli di essere reincaricato da Sergio Mattarella: basterà il «no» di Renzi nel corso delle consultazioni per virare su un altro presidente del Consiglio (Marta Cartabia, Carlo Cottarelli, Dario Franceschini i papabili). Lo stallo, dunque, è totale, e a tentare una difesa del premier «ciuffato» arriva Beppe Grillo, che attacca Renzi con un post sul suo blog nel quale cita l'orazione di Cicerone contro la congiura di Catilina: «Quo usque tandem (fino a che punto) approfitterai», scrive Grillo, «della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora la tua pazzia si farà beffe di noi?». Una strigliata a Renzi arriva anche da Nicola Zingaretti, e la sensazione è che i dem non siano disposti a seguire fino in fondo Matteo Renzi, con il quale pure condividono molte delle critiche a Conte: «Il Pd», scrive Zingaretti, «vuole superare le conflittualità all'interno della maggioranza e un clima di incertezza che può arrecare danni all'azione di governo e alle condizioni di vita del Paese. La crisi in un momento di emergenza verrebbe vissuta come un gioco di potere, lontano dagli interessi dell'Italia». Il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, parla apertamente di elezioni anticipate: «Se si toglie questo punto di equilibrio», dice Orlando a Rai 1, «è impossibile trovarne un altro. Rotolare verso le elezioni sarebbe un fuor d'opera in questo momento, non lo chiede neanche una parte delle opposizioni». Da parte sua, Conte affida a Facebook una riflessione che sembra aprire al rimpastone, ma senza crisi: «Occorrono», scrive tra l'altro Conte, «piena dedizione, lucida determinazione, intelligente lungimiranza. Una premessa imprescindibile è rafforzare la coesione della maggioranza e, quindi, la solidità alla squadra di governo». Conte nel suo post apre a molte delle richieste di Renzi sul Recovery plan. «È tutto ancora molto aperto», dice alla Verità una fonte di primo piano di Italia viva, «dobbiamo leggere le carte. Prima di tutto quelle sul Recovery che arrivano domani (oggi, ndr). E poi ci sono molti altri sospesi. Abbiamo solo visto un post...». In serata è Renzi a esternare al Tg3: «Se Conte è in grado di lavorare», dice il leader di Iv, «faccia, altrimenti toccherà ad altri. Sul Recovery servono più investimenti e meno bonus. Da quello che si legge il governo sembra aver cambiato idea, segno che forse le idee di Italia viva non erano così male. Il presidente Conte ha detto: verrò in Senato, quasi sfidandoci. Lo aspettiamo lì. Non c'è nessun rischio di voto anticipato», ribadisce Renzi, «la legislatura finisce nel 2023».