2020-12-24
I pm di Perugia mettono in piazza le fonti del cronista della «Verità»
I tabulati telefonici del nostro vicedirettore agli atti del procedimento sulla guerra interna a Piazzale Clodio. Per la dannosa fuga di notizie sul Palamara-gate, gli altri giornali invece sono stati tutelati con gli «omissis».La spiata per scoprire le fonti della Verità è in un fascicolo di Perugia in cui sono stati sentiti testimoni del calibro di Luca Lotti, Piercamillo Davigo, Paolo Ielo e Cosimo Ferri. I nomi sui faldoni sono tre: Luca Palamara, Stefano Fava e Riccardo Fuzio. Il primo è l'ex stratega delle nomine ora radiato dalla magistratura, il secondo era pm a Roma, dove trattava fascicoli scottanti sulla corruzione, e ora fa il giudice a Tivoli. Il terzo è l'ex procuratore generale della Corte di cassazione. I primi due sono accusati di essere gli ispiratori di alcuni servizi, pubblicati dalla Verità e dal Fatto Quotidiano, su un esposto di Fava, cestinato dai pm, che denunciava la gestione di un fascicolo d'indagine romano da parte del suo vecchio capo Giuseppe Pignatone. La questione trattata, sia per il livello dei personaggi protagonisti, che delle aziende coinvolte, era di un certo rilievo. E riguardava il faccendiere Piero Amara. Il pm Fava aveva chiesto per lui un nuovo arresto, ma l'istanza era stata bocciata per ben due volte da Pignatone, che non aveva apposto il visto. Durante le indagini, inoltre, Fava aveva trovato materiale che sembrava collegare Amara a un pagamento di 25 milioni di euro da parte dell'Eni.Ma la questione dell'esposto, nei corridoi dei Csm e della Procura di Roma, per via di un allegato creò un certo chiacchiericcio, intercettato anche dai cronisti, attorno a un'astensione dell'aggiunto di Roma Paolo Ielo. Si parlava di un presunto conflitto d'interessi di Ielo, che ha un fratello, Domenico, che fa il consulente per alcune grandi società. L'aggiunto ha sempre negato conflitti, anche perché in almeno un caso si è astenuto e a Perugia a un certo punto dell'inchiesta è stato identificato come persona offesa (per sparire, poi, però, dall'avviso di chiusura indagini). La questione dei soldi pagati dalla compagnia petrolifera, peraltro, era emersa una settimana prima sul Corriere della sera. Ma tra le scartoffie raccolte dalla Procura di Perugia ci sono solo i tabulati telefonici del vicedirettore della Verità Giacomo Amadori e del cronista del Fatto Marco Lillo.Stando agli atti raccolti dai magistrati perugini, tutto ruota attorno a un messaggio presente sulla chat del magistrato antimafia Cesare Sirignano, al quale Palamara preannunciava l'uscita di un articolo sulla Verità. Era il 23 maggio 2019. L'articolo firmato da Amadori sull'esposto contro Pignatone e Ielo, però, uscirà solo il 29 maggio. E, coincidenza, quel giorno il Fatto Quotidiano trattò lo stesso tema. L'altra coincidenza, invece, è che su Repubblica e Corriere della sera proprio il 29 uscirà la notizia dell'esistenza dell'inchiesta che coinvolgeva Palamara.Sul punto, l'ex presidente dell'Anm, interrogato, ha spiegato: «Escludo di essere stato io l'istigatore o colui il quale ha veicolato i contenuti dell'esposto di Fava ai giornalisti del Fatto quotidiano e della Verità. All'epoca, ovvero nel maggio 2019, non avevo alcun rapporto con i giornalisti di tali testate giornalistiche. Ho iniziato a interloquire con Amadori solo la mattina del 29 maggio. All'epoca non avevo neanche il suo numero di telefono. Peraltro, aveva pubblicato alcuni articoli che mi avevano offeso». Poco oltre, nello stesso interrogatorio, ha ribadito il concetto: «Non conoscevo Amadori e non parlavo con Lillo. Ribadisco che sono totalmente estraneo alla pubblicazione dei contenuti dell'esposto sul Fatto quotidiano e sulla Verità in data 29 maggio 2019».Anche Amadori e Lillo, sentiti come persone informate sui fatti, hanno escluso di aver saputo dell'esposto da Fava e da Palamara. E pure se gli investigatori avevano assicurato garanzie su diritto di cronaca e segreto professionale, hanno ficcato il naso nei tabulati telefonici dei giornalisti.Nulla si sa, invece, se per l'altra fuga di notizie ci sia un fascicolo e se sia mai stata aperta un'inchiesta. Anche perché nell'indagine perugina quella parte è coperta da un «omissis». È possibile solo leggere la domanda posta a Palamara nel suo interrogatorio del 29 luglio 2020: «Ha indicazione in merito a chi abbia fornito informazioni al Corriere della sera e a Repubblica per la pubblicazione degli articoli del 29 maggio?». La risposta è doppiamente omissata. E in coda, oltre alle firme di Palamara e del suo difensore, ci sono le sigle dei due pm Gemma Miliani e Mario Formisano.La Verità, però, è riuscita a scovare un esposto depositato proprio da Palamara a Firenze, nel quale l'ex capocorrente di Unicost denunciava «la diffusione illegale di notizie coperte dal segreto» da parte di Repubblica e Corriere. La guerra per la poltrona lasciata da Pignatone era appena cominciata. E negli articoli si faceva esplicito riferimento a un'indagine per corruzione che agitava la corsa alla Procura di Roma, con Palamara candidato al ruolo di aggiunto, indagato a Perugia. E con il Csm già informato. «Non era stata effettuata alcuna discovery, neppure parziale», ha lamentato Palamara, «da parte dell'organo inquirente né mi era stato notificato alcun atto (avviso di garanzia, invito a rendere interrogatorio) dal quale potesse evincersi il perimetro delle indagini nei miei confronti». Inoltre, «i verbali delle registrazioni captate con il trojan non erano ancora stati trasmessi dall'autorità giudiziaria e al Consiglio superiore della magistratura». Erano in pochi, quindi, in quel momento a conoscere quei dettagli dell'indagine che qualche tempo dopo ha scosso in modo profondo proprio il Csm.E se la Procura di Perugia accusa Fava di aver orchestrato una «campagna mediatica» ai danni del suo capo e del collega, a Palamara i pm hanno rivoltato contro persino le sue indagini difensive: gli contestano, infatti, la rivelazione di segreto per avere evidenziato che nel maggio 2019 l'esistenza dell'esposto era un segreto di Pulcinella, visto che il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio gliene aveva parlato già il 3 aprile, un mese e mezzo prima dell'uscita della notizia sui giornali. Ma la cosa più assurda è che Fuzio, nel luglio 2019, aveva firmato l'atto di incolpazione disciplinare contro Fava per la fuga di notizie di cui adesso è accusato lui stesso. E per dimostrare che le notizie siano partite da Fava e Palamara (in una fantomatica data «antecedente e prossima», si legge negli atti giudiziari, «al 29 maggio 2019»), si è scavato nei tabulati, sacrificando inutilmente il segreto professionale dei giornalisti. Dell'altra fuga di notizie, quella che ha compromesso l'inchiesta su Palamara, invece, non c'è traccia. Almeno a Perugia.