2024-07-24
Zuppi al catechismo «queer» della Murgia
Matteo Maria Zuppi (Ansa)
Il capo dei vescovi Matteo Maria Zuppi rivela la sua ispirazione dottrinaria principale: «Michela mi spiegò chi sono queste persone, che la Chiesa deve accogliere». Poi l’azzardo teologico: «C’è bisogno di credere in Dio? No, basta volersi bene, le religioni non hanno l’esclusiva».All’inizio di questo torrido luglio, chiudendo a Trieste i lavori della Settimana sociale dei cattolici italiani, Matteo Maria Zuppi ha rivendicato con forza la neutralità ideologica della Chiesa: «I cattolici in Italia», aveva dichiarato il presidente della Cei, «non sono una lobby in difesa di interessi particolari, e non diventeranno mai di parte». Tutto molto lodevole ma, come si suol dire, excusatio non petita, accusatio manifesta. Tanto più che, come documentò La Verità, la Settimana sociale era dominata dalle conventicole della sinistra, soprattutto piddina. Non è un caso, del resto, che al cardinale Zuppi sia stato affibbiato il soprannome di «cappellano del Pd». Un soprannome, a ben vedere, più che meritato: ogni volta che apre bocca, l’arcivescovo di Bologna sostiene tesi e programmi che sono indistinguibili da quelli del Nazareno (inteso come Pd, ovviamente, non certo come Gesù).Ieri, ad esempio, Zuppi è intervenuto al Giffoni film festival, nota kermesse cinematografica per bambini e ragazzi. Interpellato su un’eventuale conciliazione tra dottrina cattolica e mondo arcobaleno, il presidente della Cei non ha avuto esitazioni né di carattere teologico né tantomeno di carattere politico: «Con tanta insistenza», ha detto, «a Lisbona per la Giornata mondiale della gioventù papa Francesco ha dichiarato e ha sottolineato che nella Chiesa ci devono stare tutti. Tutti, a prescindere da qualunque consonante o vocale». Possibile riferimento all’asterisco e allo schwa? In ogni caso, ha ribadito Zuppi, «questo è importantissimo: dobbiamo imparare a stare insieme, a prescindere da qualunque etichetta o definizione e lo impariamo stando dentro e non fuori». Concetti di una profondità dottrinale impareggiabile…Proseguendo nella sua lectio magistralis, il presidente della Cei è passato a una rigorosa definizioni dei termini della questione: «E poi», ha precisato Zuppi, «bisogna capire cosa significa “queer” a mio parere. A me lo spiegò una persona il cui nome era Michela e il cognome era Murgia. Mi raccontava dei figli che aveva, con cui non aveva un legame di sangue. Si sposò con un uomo perché gli voleva bene e perché potesse continuare ad aver quel legame con questi figli. Credo che questo dovremmo impararlo tutti, che può esistere un legame senza che necessariamente ci sia un risvolto giuridico. Il punto è volersi bene». Insomma, preferendo la Murgia a san Paolo, Zuppi ha di fatto liquidato interi secoli di discussioni teologiche con un prosaico «volemose bene». Ma non è finita qui. Con sommo sprezzo del pericolo (e del ridicolo), l’illustre porporato si è rivolto così all’uditorio: «C’è bisogno di credere (in Dio, ndr)? No. C’è tanta gente che dà forme di altruismo e attenzione al prossimo, forme di generosità, senza credere». Dopotutto, specifica Zuppi, «le religioni non hanno l’esclusiva del voler bene». Questo è vero, ma si dà il caso che il presidente della Cei sia un rappresentante della Chiesa cattolica, e non di un drappello di boyscout. Ma, a quanto pare, la direzione di Zuppi sembra proprio quella di un solidarismo vago, laico e disincarnato: «L’individualismo», ha proseguito l’arcivescovo di Bologna, «è una malattia pericolosissima, che ci fa vivere da isole. Noi non siamo fatti per essere isole, non ci fa essere contenti. Noi siamo contenti quando vogliamo bene». Volemose bene, appunto.Tornando poi alla galassia Lgbt, Zuppi passa a commentare il film Il ragazzo dai pantaloni rosa, diretto da Margherita Ferri e con Claudia Pandolfi. La pellicola, presentata al festival, è ispirata alla tragedia del quindicenne Andrea Spezzacatena che, dopo essere stato vittima di bullismo, si suicidò nel 2012. «Purtroppo non è una storia inventata ma è una storia verissima», ha detto il presidente della Cei. «Credo che ci siano tanti ragazzi con i pantaloni rosa che spesso non raccontano niente a nessuno e si portano dentro però tante ferite, tante reazioni, tante depressioni e tanta rabbia. Perché poi per assurdo in certi casi succede anche il contrario: il bullismo produce altro bullismo, oltre che tanta sofferenza alle vittime». Che fare, dunque? Innanzitutto, risponde Zuppi, «è importante la scelta di rappresentarlo, di capirlo, di rendersene conto. Qualche volta la vita sembra un film, uno fa delle cose e pensa che si aggiusti tutto e poi ci si accorge che non si aggiusta niente. Quindi se il film ci fa scoprire che è vita vera, aiuta parecchio. A capire le conseguenze delle nostre scelte, a imparare a stare assieme, a rispettare l’altro e a combattere sempre la violenza. Il nodo vero è lì: l’abitudine alla violenza e a non rendersi conto della violenza. Violenza che comincia dalle comunicazioni digitali offensive, anche se spesso facciamo fatica a distinguere il confine tra il reale dal virtuale». Per carità, il bullismo è una brutta bestia e va senz’altro combattuto. Da un ambasciatore di Cristo, tuttavia, ci saremmo aspettati ben altre considerazioni rispetto a un vago, pigro e banalissimo «volemose bene».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.