2021-02-25
Zingaretti ha trovato la base: Barbara D’Urso
Dopo anni passati a demonizzare i suoi programmi, la svolta. Si spaccano anche i 5s: scissione con il simbolo di Antonio Di Pietro «Ce n'è bisogno!». Con il punto esclamativo, starà parlando dei vaccini. Oppure di un autorevole supporto bipartisan al governo di Mario Draghi. O ancora Nicola Zingaretti, autore del tweet, intende sollecitare un cambio di passo nella gestione della pandemia per restituire la vita agli italiani. Di che cosa c'è bisogno, Zinga? «@carmelitadurso, in un programma che tratta argomenti molto diversi fra loro hai portato la voce della politica vicino alle persone. Ce n'è bisogno!». Dopo avere fallito con Giuseppe Conte, Domenico Arcuri e la corrente thailandese di Goffredo Bettini, la sinistra riparte da Barbara D'Urso. Ed è la prima scelta intelligente durante la lunga traversata nel deserto dei Roberto Saviano e dei Gianrico Carofiglio, perché Carmelita è sinonimo di popolarità e di audience. Averne. Convinto che per risalire la china nei sondaggi serve tornare alla veltroniana canzone popolare anche senza Ivano Fossati, Zingaretti si avventura nell'endorsement. Ma finisce per mandare su tutte le furie il popolo piddino che per anni ha demonizzato la Tv nazionalpopolare come brodo di coltura del populismo e del sovranismo.Il tweet a favore della conduttrice che pregò in diretta con Matteo Salvini diventa un caso. Tra Capalbio, i Parioli e il Municipio 1 di Milano corre un fremito di indignazione e i social sono un ribollire di apostoli traditi. Si passa dagli increduli («Gli hanno hackerato l'account?») agli indignati («È il punto più basso del centrosinistra in Italia»), dagli esorcisti («Salvini esci da questo corpo») a quelli sull'orlo del suicidio («Ditemi che è un fake, qua si stanno perdendo i lumi della ragione»). Ma il commento più corrosivo è situazionista: «Gramsci ha chiesto di passare al gruppo misto». Eppure voleva essere gentile, lo Zinga, intendeva solo sfoderare il look ornamentale del leader globalizzato, dare una carezza alle «classi subalterne» come spiegherebbe Gad Lerner.A sinistra lo sbandamento è clamoroso, qui si rischiano altre scissioni. Chi va a dire ai totem della gauche caviar che i tanto disprezzati «analfabeti funzionali» cresciuti a pane e jingles dal mago Silvio Berlusconi sono improvvisamente diventati «persone»? Chi spiega all'esimio storico Giovanni Gozzini che da domani pesciaiolo sarà lui? E poi c'è il contesto. Nei comitati centrali il contesto è decisivo dai tempi di Enrico Berlinguer. In piena emergenza, con i vaccini che latitano, l'Europa a trazione Gentiloni-Sassoli in ribasso, le quote rosa mandate al macero, i sottosegretari che sgomitano, i riformisti che mugugnano, Stefano Bonaccini che scala la segreteria, lo Zinga che fa? Pretende di sostituire al Nazareno Dario Franceschini con Mark Caltagirone?Per gente che ha il materialismo nel sangue adesso è fondamentale capire. Perché un'uscita così dadaista? La spiegazione sarebbe disarmante: poiché si è sparsa la voce che il programma Live-Non è la D'Urso su Canale 5 sarà chiuso a fine marzo (non certo per l'audience, il 12% per Mediaset è buono, ma per consentire alla showgirl di presentare il Grande Fratello), ecco il sostegno non richiesto del segretario piddino. Secondo Dagospia, a combinare il pasticcio ideologico sarebbe stato il social media manager di Zingaretti, Carlo Guarino, amico di Carmelita, che si sarebbe messo in proprio nel segno della solidaridad. Da #Conteomorte a #Vivaladurso bisogna comunque notare un significativo passo avanti culturale nel Pd. Per il resto il partito liquido non se la passa bene. In due settimane ha dovuto digerire Draghi, incassare la coabitazione con la Lega, subire l'accusa di sessismo fariseo dalle iscritte e osservare l'implosione del principale alleato. Il tocco di Zingaretti somiglia a quello della Medusa; non aveva ancora concluso gli accordi per l'intergruppo con 5 stelle e Leu che la falange grillina è andata in mille pezzi.Ieri l'ultimo atto della commedia, 13 dei 40 ribelli pentastellati espulsi dopo il voto disubbidiente alla fiducia a Draghi hanno costituito il gruppo con il nome «L'alternativa c'è» (lo slogan scandito da loro in Aula). Il simbolo necessario al Senato è quello prestato da Italia dei valori, il partito inventato da Antonio Di Pietro sull'onda delle inchieste di Mani pulite. Fra i promotori della scissione c'è Pino Cabras che spiega: «Vogliamo essere un'alternativa credibile per dare voce a tutti gli italiani che non si sentono rappresentati da questo governo. Non solo quindi un'alternativa al M5s». Di fatto è l'unico gruppo d'opposizione oltre Fratelli d'Italia, quindi è destinato a passare all'incasso nelle presidenze delle Commissioni di garanzia: Vigilanza Rai, Copasir e Cassa depositi e prestiti. Poiché lo smottamento grillino continua, si prevedono nuovi arrivi. Il sogno è Alessandro Di Battista, ma lui fa il prezioso. Altri cinque ribelli guidati da Elio Lannutti hanno preferito percorrere la strada del tribunale con una class action contro il movimento per ottenere il reintegro e il risarcimento danni. «A tradire gli ideali non siamo noi ma i vertici». Stessa critica a Zinga durante il temporale social. Il partito abbozza.