2019-08-13
Zingaretti fa un’inversione a U. L’inciucio con il M5s s’ha da fare
Matteo Orfini prova a dividere il governo: «Una volta Luigi Di Maio gridava in piazza “onestà"». La replica ironica del leader leghista: «Vogliono prendersi quello che non c'è».Per capire la grande, apparentemente incomprensibile baraonda dentro il Pd bisogna partire dai dettagli. Ieri sera sulla chattina dell'ufficio comunicazione del Pd veniva postato questa lancio di agenzia dell'Agi: «Crisi: Ingroia diffida Renzi, Azione civile è di mia proprietà». Poco dopo, sulla stessa «line» arrivava una nota informale, sempre battuta dall'Agi: «È grave che nessuno di quella parte di minoranza renziana - dicono fonti vicine alla segreteria del Pd - abbia ancora smentito la scissione annunciata oggi ai giornali e la nascita di un nuovo soggetto politico chiamato Azione Civile». Un modo per dire che la neonata creatura di Renzi è una figlia abusiva di Ingroia, e che il segretario si aspettava una smentita che non è arrivata. Livello di massima allerta, temperatura vicina al punto di non ritorno. Questo uno-due non ha bisogno di commenti e spiega bene il folle paradosso di ieri. Nel giorno in cui il centrodestra torna unito, al Nazareno avvertono come imminente una scissione organizzata da Matteo Renzi. Il casus belli dell'uomo di Rignano in queste ore è il dissidio sulla linea da seguire nella crisi, ma - come è evidente - è del tutto pretestuoso. La rottura irreversibile potrebbe verificarsi su qualsiasi cosa, perché l'unica cosa che Matteo Renzi non può accettare è di essere secondo a qualcosa o a qualcuno. Gode dell'ultima eredità di un potere ormai estinto - il controllo dei gruppi parlamentari - e vuole giocarsi queste carte adesso, nel vortice della crisi. Così le due anime del partito, la maggioranza e la minoranza, combattono l'una contro l'altra, e lo fanno - per di più -nel modo più incredibile. Dovrebbero raccogliere al balzo la palla lanciata da Beppe Grillo, e sedare (anche loro) i vecchi e reciproci rancori che li separano dal M5s, e fare politica. E invece sono inchiodati sui vecchi rancori, pronti a far deflagrare - a un passo dal voto - una guerra interna devastante e incomprensibile. Quello di Renzi è un capolavoro: ieri anche Di Maio gli ha sbattuto la porta in faccia. Se c'era il 10% di possibilità di aprire una trattativa vera, la sua intervista al Corriere l'ha resa più impraticabile. Perché Zingaretti non può sentirsi scavalcato, come era già avvenuto sulla mozione di sfiducia. Ma su cosa si sta davvero dividendo il Pd? Capirlo è difficile. Se un osservatore fosse stato attento fino a sabato scorso, e poi si fosse messo in viaggio come gli italiani normali, si ricorderebbe che fino a sette giorni fa nel Pd c'era un leader ferocemente contrario all'alleanza con i 5 stelle (Matteo Renzi), e un altro moderatamente favorevole (Nicola Zingaretti). Ora invece Zingaretti è contrario all'accordo e Renzi invece dice: facciamo un governo di scopo. Ma la cosa incredibile è che queste posizioni potrebbero cambiare di nuovo. E infatti vanno lette con molta attenzione le ultime posizioni fatte filtrare dal segretario ieri sera. Ancora una volta è una nota dell'Agi (sempre veicolata dallo stesso ufficio comunicazione del Pd) a riassumere la linea: «La prima opzione rimane quella delle urne. Tuttavia, il Partito democratico aspetta il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per vedere quali saranno le ipotesi di soluzione sul tavolo». Per la prima volta si accenna a nuove ipotesi. E poi c'e un'altra stoccata: «L'idea di un governo di scopo che metta insieme Pd, M5s e Forza Italia non ha sortito altro effetto di ricompattare il centrodestra». Tradotto: per colpa di Renzi il centrodestra trova lo spunto per riunirsi. Ma quali sarebbero le altre ipotesi? Quelle ventilate in un articolo su Huffington Post da Goffredo Bettini, che di Zingaretti è il guru: «Un governo di largo respiro». Cioè un governone, con i 5 stelle, invece di un governino. E qui il gruppo dirigente renziano -e non - entra in crisi: «Fino a pochi giorni fa sostenevo l'opposto», sorride Marco Minniti. «È una ipotesi molto impervia, almeno ora, perché non vedo le condizioni politiche. Come si potrebbe recuperare tanta distanza in una sola settimana?». Vero. Ma il tempo che tutti vorrebbero non c'è, questa volta non si può comprare, se non facendo un altro governo. Operazione che come abbiamo visto è molto difficile. Soprattutto finché nel Pd, invece di preoccuparsi gli prendo in mano il Paese, ci si accapiglia su chi controlla i gruppi parlamentari.Ma quindi come va a finire? Non si capisce. Perché prima Zingaretti dice tutti al voto, poi spiazzato da Renzi lo sorpassa sul terreno dell'accordo di legislatura. Ma serve tempo per ricompattare il partito e/o spingere fuori i renziani. Oggi al Senato il Pd conta di vincere: umiliare la Lega e il redivivo centrodestra mostrando che esso non ha la maggioranza. Per questo, salvo incidenti o sorprese, oggi le due mozioni sul calendario decise dalla capigruppo vedranno prevedibilmente una vittoria dell'asse Pd-M5s-Leu, che potrà contarsi e pensarsi governo. Sì, quindi, alle comunicazioni di Conte in Aula il 20 (con voto contrario di Lega, Fdi e Fi), e no all'ipotesi di votare la sfiducia allo stesso premier il 14, come chiesto da quella che presto potrebbe diventare minoranza. E poi? La speranza di molto Pd è che il tempo sani le ferite, che però restano. Renzi si è spinto troppo oltre, e la frattura potrebbe non rientrare. Se governo dell'inciucio sarà, sarà sotto l'egida di Zingaretti. Se si andrà al voto, Renzi dovrà - con l'acqua alla gola - farsi il partito? A fine giornata, l'accordo Pd-M5s sembra meno impossibile, e domani forse lo sarà ancor meno. Ma per l'ex premier potrebbe non essere la miglior notizia.
Jose Mourinho (Getty Images)