Il leader ucraino costretto a ricucire dopo la mezza rissa scatenatasi nello Studio ovale: vola da Starmer ma si spertica in grazie agli Usa. Pure il capo della Nato lo rimette in riga: «Ho detto a Volodymyr che deve ricucire». E Trump alza il prezzo sulle terre rare.
Il leader ucraino costretto a ricucire dopo la mezza rissa scatenatasi nello Studio ovale: vola da Starmer ma si spertica in grazie agli Usa. Pure il capo della Nato lo rimette in riga: «Ho detto a Volodymyr che deve ricucire». E Trump alza il prezzo sulle terre rare.Quando ieri mattina il New York Times e il Washington Post rivelano praticamente in contemporanea che l’amministrazione Usa sta valutando di sospendere ogni aiuto all’Ucraina, diretto e indiretto, ovvero soldi, armi, logistica, intelligence, addestramento di truppe e così via, Volodymyr Zelensky è atterrato a Londra da un’oretta. È chiaro che la partita è chiusa: senza aiuti Usa l’Ucraina è spacciata, e dopo lo scontro in diretta mondiale tra Zelensky, Donald Trump e J.D. Vance nulla è più scontato. Il presidente ucraino ha già sentito al telefono il premier britannico Keir Starmer (che ha chiamato anche Trump), il segretario generale della Nato Mark Rutte e chi sa chi altro, e tutti gli hanno spiegato che non ha altra scelta: deve ricucire con Trump. Zelensky capisce che è l’ora della penitenza, impugna lo smartphone e pubblica una serie di post su X che hanno il gusto amaro della ritirata: «A dispetto del dialogo duro», scrive Zelensky, «gli Usa restano un partner strategico dell’Ucraina. Sono grato al presidente Trump, al Congresso per il loro sostegno bipartisan e al popolo americano. È fondamentale per noi avere il sostegno del presidente Trump. Lui vuole porre fine alla guerra, ma nessuno vuole la pace più di noi». Ok, e i soldi? «Siamo pronti a firmare l’accordo sui minerali», garantisce Zelensky, «e sarà il primo passo verso le garanzie di sicurezza. Ma non è abbastanza, e abbiamo bisogno di più di questo. Un cessate il fuoco senza garanzie di sicurezza è pericoloso per l’Ucraina». Va bene, e Putin? «È comprensibile», scrive Zelensky, «che gli Usa possano cercare un dialogo con Putin. Ma gli Usa hanno sempre parlato di “pace attraverso la forza”. E insieme possiamo fare passi forti contro Putin. Il nostro rapporto con il presidente americano è più di quello tra due leader; è un legame storico e solido tra i nostri popoli. Ecco perché inizio sempre con parole di gratitudine dalla nostra nazione alla nazione americana». Più che a Londra, Zelensky sembra arrivato a Canossa, ma che una retromarcia dopo la lite alla Casa Bianca fosse inevitabile lo sapevano tutti, anche gli ucraini.I retroscena su quelle ore terribili si moltiplicano, uno di quelli più crudi è il racconto alla Fox di uno dei protagonisti principali dell’evento, il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Mike Waltz. Zelensky, dopo la lite, si ferma insieme ad alcuni funzionari ucraini in una stanza della Casa Bianca, dove per un’ora aspetta di tornare a colloquio con Trump per firmare l’accordo sui minerali. Attesa vana: Waltz, insieme al segretario di Stato Marco Rubio, dopo un colloquio con Trump, raggiunge Zelensky e gli dice di andarsene. Al giornalista di Fox che gli chiede se Zelensky avesse riconosciuto la gravità della situazione, Waltz risponde: «No, non l’ha fatto. Onestamente, la sua squadra lo ha fatto. Il suo ambasciatore e il suo consigliere», racconta Waltz, «erano praticamente in lacrime, cercando di far proseguire il dialogo. Ma Zelensky era ancora in disaccordo». Un disaccordo che poteva costare carissimo non solo e non tanto a Zelensky, ma a tutto il suo popolo, trascinato dall’amministrazione targata Joe Biden e dall’Europa in una guerra che non avrebbe mai potuto vincere. Una guerra che Trump vuole archiviare in fretta: lo ha promesso agli elettori, che lo hanno votato anche per questo, perché la stragrande maggioranza degli americani è stufa di bruciare miliardi di dollari in questo conflitto senza speranza. Zelensky a Londra incontra Starmer, oggi sarà ricevuto pure da re Carlo, poi parteciperà al vertice straordinario sull’Ucraina. La parola d’ordine sarà: «ricucire con Trump». Lo dice esplicitamente il segretario generale della Nato, Mark Rutte, alla Bbc: «Ho detto al presidente Zelensky», spiega Rutte, «“credo, caro Volodymyr, che tu debba trovare un modo per riparare i tuoi rapporti con Donald Trump e l’amministrazione americana”. Dobbiamo unirci», aggiunge Rutte, «Stati Uniti, Ucraina ed Europa, per portare una pace duratura in Ucraina». La dichiarazione di Rutte è la fotocopia di quella rilasciata l’altra sera da Giorgia Meloni, che si è distinta per realismo dalla serie di demagogici inviti ad «andare avanti», dal profluvio di retorici «siamo con te», postati sui social dalla quasi totalità dei leader europei dopo la lite dello Studio Ovale. «Volodymyr Zelensky dovrebbe tornare al tavolo», suggerisce anche il presidente polacco, Andrzej Duda, «e negoziare con calma una soluzione che renda l’Ucraina sicura».Il venerdì di lotta lascia spazio al sabato di governo, viene da dire: i toni sono distesi, le critiche a Trump della notte precedente svaniscono. Starmer e Zelensky si incontrano in serata a Downing Street: «L’Ucraina», dice il premier britannico, «può contare sul pieno appoggio da parte del Regno Unito. Resteremo al fianco dell’Ucraina finché sarà necessario. La determinazione del Regno Unito a raggiungere quello che entrambi vogliamo, una pace duratura per l’Ucraina basata su sovranità e sicurezza», aggiunge Starmer, «è totale e incrollabile». «Contiamo sul vostro sostegno», risponde Zelensky, che ringrazia il regno Unito, «siamo felici di avere amici e partner come voi».La pace, che per tre anni il leader europei hanno definito «giusta», ovvero senza concessioni territoriali alla Russia, è diventata «duratura»: non è una sottigliezza lessicale, ma un cambio di rotta politico di estrema importanza, perché non esclude che al tavolo dei negoziati i territori che la Russia ha annesso possano essere lasciati a Putin, magari trovando qualche escamotage tecnico, una forma di autonomia, una forza di peacekeeping internazionale, magari sotto l’egida dell’Onu, ammesso che l’Onu esista ancora: non se ne hanno notizie.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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