2025-05-22
Washington tira il freno sull’Ucraina. E il G7 canadese va subito nel pallone
Giancarlo Giorgetti al summit dei ministri delle Finanze del G7 in Canada (Getty Images)
Alla riunione dei ministri delle Finanze stallo sulla dichiarazione finale: gli statunitensi si oppongono ai toni minacciosi verso Mosca mentre si tratta. Intanto l’Ue dà il primo via ai prestiti «Safe» per investire in Difesa.La Casa Bianca presenta Golden dome, il programma di difesa da 175 miliardi. Cina furiosa: «Mina la stabilità globale». La Russia invece appare conciliante.Lo speciale contiene due articoli.Ucraina e commercio internazionale. Sono questi i punti al centro del summit dei ministri delle Finanze del G7 attualmente in corso a Banff, in Canada. «Credo che, per garantire il bene dei cittadini che rappresentiamo, la nostra missione sia in realtà quella di ripristinare stabilità e crescita», aveva in tal senso dichiarato, martedì, il ministro delle Finanze canadese, François-Philippe Champagne, ammettendo la presenza di tensioni a causa dei dazi statunitensi. È in questo quadro che, ieri pomeriggio, il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, ha avuto un bilaterale con l’omologo tedesco, Lars Klingbeil. Nell’occasione, secondo fonti ascoltate da Reuters, Klingbeil avrebbe auspicato relazioni transatlantiche più strette e la speranza di superare le fibrillazioni commerciali. Il ministro tedesco avrebbe anche sottolineato la necessità, da parte del G7, di sostenere fermamente l’Ucraina. E proprio la crisi ucraina, oltre ai dazi, starebbe rappresentando motivo di tensione al vertice. Secondo quanto riferito da Politico, la delegazione statunitense si sarebbe opposta a bollare l’invasione russa dell’Ucraina come «illegale» nel comunicato finale. Gli americani avrebbero mostrato contrarietà anche all’uso, nel documento, dell’espressione «ulteriore sostegno» relativamente a Kiev. La stessa Bloomberg News, ieri sera, definiva «in dubbio» l’eventualità di un comunicato finale. Ed è in questo quadro che ieri è arrivato il via libera del Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri presso l’Ue (Coreper) al «Safe», il regolamento sul fondo europeo che finanzierà fino a 150 miliardi di euro i prestiti agli Stati per il riarmo. È chiaro che, dopo la recente telefonata con Vladimir Putin, Donald Trump sta spingendo per l’avvio di negoziati tra ucraini e russi: negoziati che il presidente americano vorrebbe fossero ospitati dalla Santa Sede. Se dovessero essere confermate, le indiscrezioni riportate da Politico andrebbero quindi lette in questo quadro. Un quadro che non rispecchierebbe tuttavia una linea di appeasement da parte della Casa Bianca. Innanzitutto Trump ha, sì, escluso delle nuove sanzioni alla Russia nel breve termine, ma ha anche aggiunto che potrebbe prima o poi ripensarci. In secondo luogo, il presidente americano ha recentemente inferto un duro colpo a Mosca in Medio Oriente, revocando le sanzioni al regime filoturco di Damasco: una mossa, questa, che va interpretata (anche) come una forma di pressione sul Cremlino. Da questo punto di vista, sarà interessante capire come si muoverà l’Italia. Il governo di Giorgia Meloni si è storicamente ritagliato il ruolo di pontiere tra Washington e Bruxelles sulla questione dei dazi. Non è del resto un mistero che, più in generale, l’inquilina di Palazzo Chigi abbia sempre sostenuto la necessità di rinsaldare i legami transatlantici non solo sul commercio ma anche sull’Ucraina. Sotto questo aspetto, è significativo che, nella sua recente telefonata con Leone XIV, la Meloni abbia affrontato proprio la questione ucraina. Non a caso, in una nota di Palazzo Chigi relativa al colloquio, si riferisce che il pontefice ha dato «conferma della disponibilità ad accogliere in Vaticano i prossimi colloqui tra le parti». Non si può quindi affatto escludere che, nel summit canadese, l’Italia possa effettuare due mediazioni complementari sul dossier ucraino. Da una parte, potrebbe lavorare per rafforzare la sponda tra la Santa Sede e la Casa Bianca. Dall’altra, potrebbe adoperarsi per avvicinare la posizione di Trump a quella degli altri alleati e dell’Ucraina stessa.Ma c’è un ulteriore fattore che, stando anche a indiscrezioni di Bloomberg News, potrebbe emergere nel corso del G7: la questione cinese. Trump punta a rafforzare i rapporti commerciali con la Russia per cercare di allontanare il più possibile Mosca da Pechino. Dall’altra parte, il Dragone sta tentando di avvicinarsi all’Unione europea per fare blocco contro i dazi americani: uno scenario che irrita Washington e su cui Bessent, già alcune settimane fa, si era espresso in modo piuttosto severo. L’aspetto rilevante è che sono stati finora soprattutto due membri del G7, vale a dire Francia e Germania, a spingere Bruxelles verso la linea morbida con Pechino, laddove l’Italia si è spesa per il consolidamento delle relazioni transatlantiche. Nel complesso, la questione è molto interessante, perché, soprattutto in sede di G7, i dossier commerciali possono essere letti anche in chiave di sicurezza nazionale. Il che è l’impostazione che ha intenzione di portare avanti Bessent durante il vertice.Insomma, il quadro è complesso. Ma l’Italia potrebbe avere le carte in regola per svolgere un ruolo di primo piano nel corso del summit. E intanto Parigi ha iniziato ad ammorbidirsi. Ieri, il ministro delle Finanze francese, Eric Lombard, si è infatti detto fiducioso sulla possibilità di ridurre le divergenze con Washington anche in eventuale assenza di un comunicato finale. «L’obiettivo è progredire e se non c’è un comunicato non è un problema, ne otterremo uno la prossima volta».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/washington-tira-freno-ucraina-2672182810.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="trump-si-blinda-con-lo-scudo-spaziale" data-post-id="2672182810" data-published-at="1747872501" data-use-pagination="False"> Trump si blinda con lo scudo spaziale Donald Trump tira dritto sullo scudo missilistico. Il presidente americano ha annunciato Golden dome: un programma di difesa dal costo complessivo di 175 miliardi di dollari che porterà armamenti statunitensi nello spazio. Trump ha specificato che l’iniziativa dovrebbe essere «pienamente operativa» entro il termine del suo mandato presidenziale. Ha inoltre posto a capo del progetto il generale Michael Guetlein. Secondo l’Associated Press, «si prevede che Golden dome includa capacità terrestri e spaziali in grado di rilevare e fermare i missili in tutte e quattro le fasi principali di un potenziale attacco: rilevandoli e distruggendoli prima del lancio, intercettandoli nella loro prima fase di volo, fermandoli a metà percorso o fermandoli negli ultimi minuti mentre scendono verso un bersaglio». La presentazione di Golden dome è stata accompagnata da un’analisi della Defense Intelligence Agency, secondo cui le minacce missilistiche sul suolo statunitense aumenteranno nei prossimi 10 anni: l’agenzia ha puntato il dito contro Cina, Iran, Russia e Corea del Nord. D’altronde, la creazione di uno scudo missilistico è un vecchio pallino di Trump: ne aveva parlato già in campagna elettorale e, a gennaio, aveva siglato un ordine esecutivo per iniziare ad avviarne la realizzazione. In passato, l’attuale presidente americano aveva sostenuto la volontà di portare avanti un simile progetto sia per creare posti di lavoro sia per associare il proprio nome a quello di Ronald Reagan che, negli anni ’80, propose la realizzazione dello scudo poi denominato «Guerre stellari». Il punto vero è tuttavia legato a questioni di carattere geopolitico. Innanzitutto, un aspetto interessante risiede nel fatto il progetto Golden dome dovrebbe includere anche il Canada. Ebbene, al di là di una distensione tra Washington e Ottawa, il tema rilevante, qui, è che lo scudo potrebbe essere inserito da Trump nel suo più ampio obiettivo di una riedizione della Dottrina Monroe. Non è del resto un mistero che il presidente americano punti a indebolire l’influenza della Cina sull’Emisfero occidentale. La questione dello scudo potrebbe quindi essere collegata ad altri dossier, come Panama e la Groenlandia. Non a caso, l’annuncio di Golden dome è stato accolto con irritazione da Pechino. «Gli Stati Uniti, perseguendo una politica “Us first”, sono ossessionati dalla ricerca della sicurezza assoluta per sé stessi. Ciò viola il principio secondo cui la sicurezza di tutti i Paesi non dovrebbe essere compromessa e mina l’equilibrio strategico e la stabilità globali. La Cina è seriamente preoccupata per questo», ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning. Un’irritazione, quella di Pechino, che ha tre motivazioni. In primis, la Cina sta incrementando il proprio arsenale nucleare e, secondo quanto riferito dal Pentagono a dicembre, potrebbe arrivare a possedere mille ordigni entro il 2030. A marzo, sempre il Pentagono ha inoltre lanciato l’allarme su test di natura militare effettuati in orbita da Pechino e Mosca. In secondo luogo, la Repubblica popolare teme la concorrenza statunitense nello spazio come quella nel settore dell’intelligenza artificiale: due ambiti che, per Trump, risultano di prioritaria importanza. In terzo luogo, Pechino non vede affatto di buon occhio la riedizione della Dottrina Monroe, portata avanti dalla Casa Bianca. E attenzione: c’è un altro «dettaglio» non indifferente. La reazione di Mosca all’annuncio di Golden dDome è stata molto più morbida di quella cinese. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto che l’iniziativa americana potrebbe spingere Stati Uniti e Russia a riprendere i contatti sul tema del controllo degli armamenti nucleari. Quando gli è poi stato chiesto se considerasse il progetto di Washington una minaccia a Mosca, Peskov è stato evasivo, dicendo di non avere ancora dei dettagli. Insomma, per quanto paradossale possa apparire a prima vista, Golden dome potrebbe almeno in parte favorire un avvicinamento tra americani e russi. Il che, ovviamente, si rivelerebbe una pessima notizia per Pechino.