2019-09-14
«Violenza sulle donne è non farle abortire»
Una mostra della fotografa spagnola Abril per gli allievi di un liceo di Ferrara. Scatti che dovrebbero documentare le problematiche femminili diventano un inno all'interruzione di gravidanza. «Farle divenire madri è un modo per limitare la libertà delle donne».L'aborto in un fotoracconto, perché gli studenti comprendano «quanto nel mondo viene ostacolata l'interruzione di gravidanza». Il prossimo 5 ottobre, la fotografa spagnola Laia Abril presenterà il suo lavoro On abortion agli allievi del liceo artistico Dosso Dossi di Ferrara. Lo farà all'interno di un cinema, durante la tre giorni del festival organizzata dal settimanale Internazionale, che nell'ultimo numero pubblica notizia e programma. La barcellonese Abril ha frequentato Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione fondato da Luciano Benetton nel 1994 e scatta immagini che dovrebbero documentare le problematiche femminili. On abortion si inserisce in un progetto che a suo dire «esplora la misoginia». L'artista è infatti convinta che nel corso della storia «costringere le donne a diventare madri è sempre stato un modo per limitare la loro libertà ed emancipazione sociale». Forte di questa premessa, ai ragazzi del liceo mostrerà le foto realizzate in bianco e nero e farà leggere le testimonianze di chi ha abortito, soffrendo non tormenti interni (a suo dire) ma ostacoli. Come Marta, 29 anni, polacca, andata ad abortire in Slovacchia e «dopo mi sono sentito più forte e più matura […] La parte più difficile è stata affrontare il mio ragazzo, che si oppone all'aborto», si legge sotto lo scatto che la ritrae. Quando gli raccontò l'esperienza vissuta in un furgone soffocante, per raggiungere la clinica assieme ad altre due ragazze incinte, il fidanzato rispose: «Mi sembra giusto, gli assassini dovrebbero essere trattati come bestiame». Anche questo sarà nel testo a disposizione dei giovani, per avvalorare l'atteggiamento crudele nei confronti di chi abortisce e non per porre un interrogativo sul ruolo marginale (spesso assente) di un uomo nella decisione di interrompere una gravidanza, uccidendo un essere umano. E chissà che idea si faranno gli studenti, leggendo le parole di Magdalena, 32 anni, un'altra polacca che ti fissa con sguardo fiero da quello che sembra un dagherrotipo: «Ho fatto un test di gravidanza ed è risultato positivo. Sono gay, non voglio parlare di come sono rimasta incinta. Non so per certo se il mio dolore per l'aborto sia finito, ci penso una volta ogni tanto, e qualche volta piango. Non molto, però, e non perché me ne pento. Sono una persona diversa ora. E sono orgogliosa di me stessa». Bella maniera per affrontare una tematica così delicata e dolorosa qual è l'aborto. Pochi mesi fa, parole di condanna e di odio hanno accompagnato il Congresso mondiale delle famiglie di Verona, dove si parlava di difesa della vita, della donna del bambino. Se invece si presenta l'uccisione del proprio figlio non ancora nato come un diritto sacrosanto e come unica forma di reazione a una società violenta e oppressiva, allora va bene proporlo anche a giovani studenti. «Non dovrebbe esserci dibattito» sull'aborto, dichiarava Laia Abril lo scorso marzo in occasione della presentazione della mostra a Barcellona. «I politici usano l'aborto per ottenere consenso elettorale e invece di affrontare il tema dal punto di vista dei diritti, ne fanno una questione politica», accusa la fotografa ricordando che ogni anno «47.000 donne muoiono a causa di aborti mal eseguiti». Non crediamo che agli studenti del liceo di Ferrara fornirà per correttezza d'informazione un altro dato preoccupante: quasi un milione di bambini non nati, soppressi ogni anno solo negli Stati Uniti come denunciano le associazioni pro life. Gli attivisti impegnati a difendere la vita nel grembo materno non godono delle simpatie della Abril, che fa sentire la registrazione di una telefonata di minaccia a un medico americano che pratica aborti. «Ti piace vendere parti della morte per un profitto sporco mentre vieni finanziato con i miei soldi dei contribuenti», scandisce l'anonimo accusatore, mentre scorrono le immagini segnaletiche di attivisti ritenuti pazzi pericolosi. Per la fotografa, l'impegno contro l'aborto è sbagliato, è una grave violenza nei confronti delle donne e sarà questo che andrà a dire agli studenti. Senza contraddittorio. Addirittura terrà per tre giorni un workshop di fotografia dal titolo «Narrazioni efficaci» (costa 150 euro) all'interno dell'Università di Ferrara. Ribadirà quanto è giusto documentare «pratiche sociali contrarie alle donne», sempre all'interno del Festival Internazionale di Ferrara che ha tra gli sponsor Medici senza frontiere, Onlus che chiede di essere aiutata a «salvare la vita di uomini, donne e bambini», ma che non è interessata ai diritti degli esseri umani non ancora nati se finanzia la partecipazione di On abortion. E c'è Banca etica, quella che ha concesso il prestito di quasi mezzo milione di euro per l'avvio della missione Mediterranea dell'ex no global Luca Casarini e ne supporta le attività di crowdfunding alla ricerca di clandestini da salvare.