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2023-05-11
Ancora immigrati che stuprano. A Milano la vittima è una disabile
(Getty Images)
Le città che la gestione del Viminale targato Luciana Lamorgese ha permesso si trasformassero in Gotham city continuano a produrre aggressioni sessuali i cui protagonisti sono sempre stranieri. Ieri l’ennesima, a Pavia, in pieno centro, all’angolo tra corso Cavour e Porta Marica: la vittima è una ragazza di 24 anni che stava rientrando a casa. Il presunto aggressore, un nigeriano di 33 anni del quale al momento non sono state diffuse le generalità, le si sarebbe avvicinato e l’avrebbe molestata, tentando di spogliarla e di stringerla a sé. La giovane ha raccontato di aver reagito urlando. Ed è stata salvata da due passanti, che hanno subito chiamato il 112. La descrizione fornita dalla vittima e dai due testimoni ha portato poco dopo all’individuazione dello straniero, che era ancora nelle vicinanze. È stato inseguito e fermato dal personale di due pattuglie di carabinieri e polizia. C’è stata anche una colluttazione. E all’indagato è stata contestata pure la resistenza a pubblico ufficiale, per aver cercato di reagire al momento del fermo. È finito nel carcere di Torre del Gallo a Pavia in attesa dell’udienza di convalida. Nella Milano green di Beppe Sala, invece, è finito in manette lo straniero senza fissa dimora che l’altra sera avrebbe violentato in una tenda piantata in un parco pubblico una clochard con problemi di deambulazione che, ora, si scopre essere disabile. I fatti risalgono alla notte tra il 28 e il 29 aprile, quando la cinquantaseienne si è presentata negli uffici della Squadra mobile per presentare una denuncia. Il presunto aggressore, Said Yusuf, 33 anni, è titolare di protezione sussidiaria, una forma di protezione internazionale che viene assegnata a chi, pur non possedendo i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ottiene la possibilità di restare sul territorio nazionale poiché il rientro nel proprio Paese di origine potrebbe esporlo a gravi ripercussioni o a discriminazione. Nel provvedimento di fermo firmato dal sostituto procuratore Rosaria Stagnaro si legge che il somalo avrebbe «abusato delle condizioni di inferiorità fisica» della donna «affetta da disabilità motoria» dopo averla avvicinata nel piazzale della stazione Centrale (luogo che proprio negli stessi giorni è stato indicato come scena del crimine da una turista francese di origini marocchine che ha denunciato di essere stata stuprata da un suo connazionale, poi individuato e arrestato) intorno alle 21.30 del 28 aprile, dicendole che gli ricordava sua madre. Una volta carpita la fiducia, essendo la giornata molto piovosa, il somalo avrebbe offerto alla vittima riparo nella propria tenda in piazza Carbonari. I due a qual punto sono saliti su un tram, dal quale sono scesi quattro fermate dopo. Il somalo avrebbe aiutato anche la sua preda a salire degli scalini che portano ai giardinetti. Lì la tenda c’era davvero. Ma la donna non immaginava che stava per trasformarsi in una trappola. «Volevo scappare ma non riuscivo», ha raccontato la vittima agli investigatori. Lo stupro avrebbe avuto diverse fasi e si sarebbe protratto fino al mattino successivo, quando poi il somalo ha lasciato la tenda perché la donna non riusciva a muoversi. Secondo la ricostruzione degli investigatori, però, poi, all’alba sarebbe tornato di nuovo nella tenda, presentandosi con un altro uomo (rimasto al momento ignoto). Quest’ultimo, è sempre la ricostruzione dell’accusa, nonostante il somalo abbia messo a disposizione la sua preda, non avrebbe preso parte all’abuso, sostenendo che si trattava di una «malata invalida». La cinquantaseienne è stata visitata nella clinica Mangiagalli di Milano, dove sarebbe stato certificato l’evento violento. Le indagini sono state avviate dalla sezione della Squadra mobile di Milano specializzata nei reati a sfondo sessuale. Prima i sopralluoghi sulla scena e nelle vicinanze, dove sono stati trovati reperti che avrebbero consentito, in tempi brevi, di individuare una persona pienamente compatibile con la descrizione fornita dalla vittima. Poi l’ascolto dei testimoni. Uno in particolare, all’inizio scambiato dagli investigatori per l’aggressore, avrebbe, oltre alla vittima, contribuito al riconoscimento del somalo come il presunto autore dello stupro. L’indagato, precedentemente residente in Piemonte (dove ha lasciato la famiglia per vivere da senzatetto), era a Milano solo da qualche settimana. E aveva scelto piazza Carbonari per piantare la sua tenda. A confermare la presenza dell’indagato sul luogo dello stupro ci sarebbe anche l’analisi delle celle telefoniche agganciate dal suo smartphone, che lo avrebbero localizzato prima in stazione e poi proprio in piazza Carbonari e in orari compatibili con quelli segnalati dalla vittima nella sua denuncia. Il pm ha motivato il fermo fondando le esigenze cautelari su due dettagli: «Si tratta di un soggetto privo di occupazione e di una collocazione abitativa». Poi la toga ha sottolineato la «particolare gravità della violenza sessuale consumata con estrema freddezza dall’indagato, che ha scelto una vittima appena incontrata in evidente stato di fragilità, dimostrando una personalità particolarmente pericolosa, spregiudicata e priva di qualsiasi controllo». Per l’accusa, insomma, l’unica forma detentiva sufficiente a evitare che fugga o che reiteri sarebbe quella più afflittiva. E il somalo è finito a San Vittore, dove ora attende il suo interrogatorio e l’udienza di convalida del fermo.
Nessuna diffamazione alle Ong: vittoria per «La Verità»
Actionaid e Amnesty international avevano tentato di aggredire per via giudiziaria i giornali sgraditi, citando in giudizio La Verità e Panorama ma anche il Giornale, Libero, L’Opinione, il Secolo d’Italia e Italia oggi. E chiedendo 50.000 euro di pena pecuniaria per ciascuna società colpevole, secondo le due associazioni, di aver gettato fango sulle Ong. Ieri il Tribunale di Milano ha rigettato le richieste e ha condannato le due associazioni anche a pagare le spese legali: 7.000 euro. Da moltiplicare per i cinque gruppi editoriali: 35.000 euro provento di finanziamenti e donazioni sprecati per tentare di mettere la mordacchia alla stampa. In particolare, il giudice Serena Nicotra ha evidenziato che i dieci articoli contestati alla Verità e Panorama (rappresentati in giudizio dall’avvocato Claudio Mangiafico) non legittimano reazioni censorie da parte di Actionaid e Amnesty, soggetti che peraltro non erano oggetto specifico della critica. In ogni caso, comunque, il giudice esclude la natura diffamatoria dei servizi giornalistici, collocandoli nell’alveo della lecita critica su argomenti di pubblico interesse. In particolare, dell’articolo del 20 gennaio 2021 firmato dal direttore Maurizio Belpietro, venivano ritenuti diffamatori il titolo («La sporca legge delle Ong) e una delle argomentazioni: «La tragedia dimostra semmai ancora una volta che appena si cede di fronte al ricatto delle Ong, consentendo lo sbarco dei migranti da un barcone, altri navi sono pronte a partire e purtroppo spesso a sparire tra le onde». Come emerge dal testo dell’articolo e dal titolo dell’editoriale «per fermare i morti bisogna fermare i barconi», il pensiero esposto dall’autore «è quello secondo cui l’attività delle Ong volta a consentire lo sbarco dei migranti dai barconi produca l’effetto di incentivare le partenze e di incrementare il numero delle vittime dei naufragi». Secondo il giudice, «rimane nell’ambito dell’esercizio del diritto di critica, essendo espressione dell’opinione personale dell’autore, secondo cui il verificarsi dei naufragi non può essere imputato al governo per la chiusura dei porti ma semmai all’atteggiamento opposto di assecondare le attività delle Ong, consentendo lo sbarco dei migranti». E anche le espressioni «cedere al ricatto» e «la sporca legge delle Ong», per quanto «dal forte impatto e dalla connotazione negativa», è affermato in sentenza, «non assurgono a offesa». Come l’uso del termine «ricatto», col quale si censura «la strumentalizzazione politica della tragedia in mare», afferma ancora il giudice, «è volto a stigmatizzare la scelta di cedere alle pressioni morali delle Ong, affinché sia consentito lo sbarco dei migranti, rispetto a quella propugnata dall’autore come migliore soluzione, ovvero rendere impossibile l’immigrazione». Quella clandestina in particolare. I cui flussi sembrano inarrestabili.
Ieri l’ennesima inchiesta giudiziaria, con 29 arresti, ha sgominato una banda di spedizionieri umani dalla Turchia. «Questo mese arriveranno tante persone al confine con la Grecia e apriranno sicuramente i confini per farli passare». Un’inchiesta della Procura di Catanzaro svela tutti i retroscena della rotta balcanica, la stessa che due mesi fa si è trasformata nel teatro della tragedia di Steccato di Cutro. Il cuore pulsante dell’organizzazione smantellata dagli investigatori della polizia di Stato coordinati dal procuratore Nicola Gratteri era in Turchia. In un bar del quartiere Aksaray di Istanbul con vista sul Bosforo, il Sulaymaniye Cafè. La trattativa con chi doveva partire si consumava lì. Il viaggio per l’Europa con l’Italia come tappa intermedia costava tra i 7.000 e i 15.000 euro. Una trentina le traversate monitorate.
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Nuova ondata di violenze sessuali con protagonisti stranieri. A Pavia nigeriano aggredisce ragazza e poi picchia gli agenti.Caso Ong contro «La Verità». I giudici: «Critiche legittime, associazioni paghino le spese». Inchiesta in Calabria su banda di trafficanti dalla Turchia, 29 arresti.Lo speciale contiene due articoli.Le città che la gestione del Viminale targato Luciana Lamorgese ha permesso si trasformassero in Gotham city continuano a produrre aggressioni sessuali i cui protagonisti sono sempre stranieri. Ieri l’ennesima, a Pavia, in pieno centro, all’angolo tra corso Cavour e Porta Marica: la vittima è una ragazza di 24 anni che stava rientrando a casa. Il presunto aggressore, un nigeriano di 33 anni del quale al momento non sono state diffuse le generalità, le si sarebbe avvicinato e l’avrebbe molestata, tentando di spogliarla e di stringerla a sé. La giovane ha raccontato di aver reagito urlando. Ed è stata salvata da due passanti, che hanno subito chiamato il 112. La descrizione fornita dalla vittima e dai due testimoni ha portato poco dopo all’individuazione dello straniero, che era ancora nelle vicinanze. È stato inseguito e fermato dal personale di due pattuglie di carabinieri e polizia. C’è stata anche una colluttazione. E all’indagato è stata contestata pure la resistenza a pubblico ufficiale, per aver cercato di reagire al momento del fermo. È finito nel carcere di Torre del Gallo a Pavia in attesa dell’udienza di convalida. Nella Milano green di Beppe Sala, invece, è finito in manette lo straniero senza fissa dimora che l’altra sera avrebbe violentato in una tenda piantata in un parco pubblico una clochard con problemi di deambulazione che, ora, si scopre essere disabile. I fatti risalgono alla notte tra il 28 e il 29 aprile, quando la cinquantaseienne si è presentata negli uffici della Squadra mobile per presentare una denuncia. Il presunto aggressore, Said Yusuf, 33 anni, è titolare di protezione sussidiaria, una forma di protezione internazionale che viene assegnata a chi, pur non possedendo i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ottiene la possibilità di restare sul territorio nazionale poiché il rientro nel proprio Paese di origine potrebbe esporlo a gravi ripercussioni o a discriminazione. Nel provvedimento di fermo firmato dal sostituto procuratore Rosaria Stagnaro si legge che il somalo avrebbe «abusato delle condizioni di inferiorità fisica» della donna «affetta da disabilità motoria» dopo averla avvicinata nel piazzale della stazione Centrale (luogo che proprio negli stessi giorni è stato indicato come scena del crimine da una turista francese di origini marocchine che ha denunciato di essere stata stuprata da un suo connazionale, poi individuato e arrestato) intorno alle 21.30 del 28 aprile, dicendole che gli ricordava sua madre. Una volta carpita la fiducia, essendo la giornata molto piovosa, il somalo avrebbe offerto alla vittima riparo nella propria tenda in piazza Carbonari. I due a qual punto sono saliti su un tram, dal quale sono scesi quattro fermate dopo. Il somalo avrebbe aiutato anche la sua preda a salire degli scalini che portano ai giardinetti. Lì la tenda c’era davvero. Ma la donna non immaginava che stava per trasformarsi in una trappola. «Volevo scappare ma non riuscivo», ha raccontato la vittima agli investigatori. Lo stupro avrebbe avuto diverse fasi e si sarebbe protratto fino al mattino successivo, quando poi il somalo ha lasciato la tenda perché la donna non riusciva a muoversi. Secondo la ricostruzione degli investigatori, però, poi, all’alba sarebbe tornato di nuovo nella tenda, presentandosi con un altro uomo (rimasto al momento ignoto). Quest’ultimo, è sempre la ricostruzione dell’accusa, nonostante il somalo abbia messo a disposizione la sua preda, non avrebbe preso parte all’abuso, sostenendo che si trattava di una «malata invalida». La cinquantaseienne è stata visitata nella clinica Mangiagalli di Milano, dove sarebbe stato certificato l’evento violento. Le indagini sono state avviate dalla sezione della Squadra mobile di Milano specializzata nei reati a sfondo sessuale. Prima i sopralluoghi sulla scena e nelle vicinanze, dove sono stati trovati reperti che avrebbero consentito, in tempi brevi, di individuare una persona pienamente compatibile con la descrizione fornita dalla vittima. Poi l’ascolto dei testimoni. Uno in particolare, all’inizio scambiato dagli investigatori per l’aggressore, avrebbe, oltre alla vittima, contribuito al riconoscimento del somalo come il presunto autore dello stupro. L’indagato, precedentemente residente in Piemonte (dove ha lasciato la famiglia per vivere da senzatetto), era a Milano solo da qualche settimana. E aveva scelto piazza Carbonari per piantare la sua tenda. A confermare la presenza dell’indagato sul luogo dello stupro ci sarebbe anche l’analisi delle celle telefoniche agganciate dal suo smartphone, che lo avrebbero localizzato prima in stazione e poi proprio in piazza Carbonari e in orari compatibili con quelli segnalati dalla vittima nella sua denuncia. Il pm ha motivato il fermo fondando le esigenze cautelari su due dettagli: «Si tratta di un soggetto privo di occupazione e di una collocazione abitativa». Poi la toga ha sottolineato la «particolare gravità della violenza sessuale consumata con estrema freddezza dall’indagato, che ha scelto una vittima appena incontrata in evidente stato di fragilità, dimostrando una personalità particolarmente pericolosa, spregiudicata e priva di qualsiasi controllo». Per l’accusa, insomma, l’unica forma detentiva sufficiente a evitare che fugga o che reiteri sarebbe quella più afflittiva. E il somalo è finito a San Vittore, dove ora attende il suo interrogatorio e l’udienza di convalida del fermo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/violenza-immigrati-2659994251.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nessuna-diffamazione-alle-ong-vittoria-per-la-verita" data-post-id="2659994251" data-published-at="1683757787" data-use-pagination="False"> Nessuna diffamazione alle Ong: vittoria per «La Verità» Actionaid e Amnesty international avevano tentato di aggredire per via giudiziaria i giornali sgraditi, citando in giudizio La Verità e Panorama ma anche il Giornale, Libero, L’Opinione, il Secolo d’Italia e Italia oggi. E chiedendo 50.000 euro di pena pecuniaria per ciascuna società colpevole, secondo le due associazioni, di aver gettato fango sulle Ong. Ieri il Tribunale di Milano ha rigettato le richieste e ha condannato le due associazioni anche a pagare le spese legali: 7.000 euro. Da moltiplicare per i cinque gruppi editoriali: 35.000 euro provento di finanziamenti e donazioni sprecati per tentare di mettere la mordacchia alla stampa. In particolare, il giudice Serena Nicotra ha evidenziato che i dieci articoli contestati alla Verità e Panorama (rappresentati in giudizio dall’avvocato Claudio Mangiafico) non legittimano reazioni censorie da parte di Actionaid e Amnesty, soggetti che peraltro non erano oggetto specifico della critica. In ogni caso, comunque, il giudice esclude la natura diffamatoria dei servizi giornalistici, collocandoli nell’alveo della lecita critica su argomenti di pubblico interesse. In particolare, dell’articolo del 20 gennaio 2021 firmato dal direttore Maurizio Belpietro, venivano ritenuti diffamatori il titolo («La sporca legge delle Ong) e una delle argomentazioni: «La tragedia dimostra semmai ancora una volta che appena si cede di fronte al ricatto delle Ong, consentendo lo sbarco dei migranti da un barcone, altri navi sono pronte a partire e purtroppo spesso a sparire tra le onde». Come emerge dal testo dell’articolo e dal titolo dell’editoriale «per fermare i morti bisogna fermare i barconi», il pensiero esposto dall’autore «è quello secondo cui l’attività delle Ong volta a consentire lo sbarco dei migranti dai barconi produca l’effetto di incentivare le partenze e di incrementare il numero delle vittime dei naufragi». Secondo il giudice, «rimane nell’ambito dell’esercizio del diritto di critica, essendo espressione dell’opinione personale dell’autore, secondo cui il verificarsi dei naufragi non può essere imputato al governo per la chiusura dei porti ma semmai all’atteggiamento opposto di assecondare le attività delle Ong, consentendo lo sbarco dei migranti». E anche le espressioni «cedere al ricatto» e «la sporca legge delle Ong», per quanto «dal forte impatto e dalla connotazione negativa», è affermato in sentenza, «non assurgono a offesa». Come l’uso del termine «ricatto», col quale si censura «la strumentalizzazione politica della tragedia in mare», afferma ancora il giudice, «è volto a stigmatizzare la scelta di cedere alle pressioni morali delle Ong, affinché sia consentito lo sbarco dei migranti, rispetto a quella propugnata dall’autore come migliore soluzione, ovvero rendere impossibile l’immigrazione». Quella clandestina in particolare. I cui flussi sembrano inarrestabili. Ieri l’ennesima inchiesta giudiziaria, con 29 arresti, ha sgominato una banda di spedizionieri umani dalla Turchia. «Questo mese arriveranno tante persone al confine con la Grecia e apriranno sicuramente i confini per farli passare». Un’inchiesta della Procura di Catanzaro svela tutti i retroscena della rotta balcanica, la stessa che due mesi fa si è trasformata nel teatro della tragedia di Steccato di Cutro. Il cuore pulsante dell’organizzazione smantellata dagli investigatori della polizia di Stato coordinati dal procuratore Nicola Gratteri era in Turchia. In un bar del quartiere Aksaray di Istanbul con vista sul Bosforo, il Sulaymaniye Cafè. La trattativa con chi doveva partire si consumava lì. Il viaggio per l’Europa con l’Italia come tappa intermedia costava tra i 7.000 e i 15.000 euro. Una trentina le traversate monitorate.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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