True
2022-10-11
«Vincenzo Malinconico - Avvocato di insuccesso», la Rai presenta la sua serie tv
True
Ansa
Vincenzo Malinconico è quel che Diego De Silva ha definito un «perdente, non un fallito». Avvocato, non ha mai avuto il successo di altri. Ha difeso, e spesso senza esito positivo, gli amici, i conoscenti. Si è perso nel crinale sottile che dovrebbe separare il pubblico e il privato, l’uomo dal professionista. Ha filosofeggiato sul nulla, e dal nulla è stato fagocitato. Incapace, inconcludente. Preda, anche nella sua dimensione familiare, di una forma fragile di inquietudine. Malinconico, protagonista dei romanzi che De Silva ha scritto per Einaudi, è un uomo divorziato, ma dalla moglie, Nives, non è mai riuscito a prendere le distanze. Non davvero. Le ha orbitato intorno, è rimasto amico della madre. Ha accettato, senza grande convinzione, le lusinghe di altre donne, piccole infermiere convinte di poter porre rimedio alle sue insicurezze. Ma di queste non ha mai fatto nulla. S’è fermato alla potenza, Malinconico, cui la Rai ha deciso di dedicare una serie televisiva. Vincenzo Malinconico – Avvocato di insuccesso, al debutto su RaiUno nella prima serata del 20 ottobre, è la trasposizione di quel che De Silva ha scritto, di una storia complessa, che si muove agile fra più registri. C’è la commedia, nei romanzi, un gioco di equivoci per cui l’inedia a tratti insopportabile di questo eterno indeciso diventa motore e ragione della risata. E c’è il dramma, il giallo, la serietà imposta da un ritratto vivido della realtà campana. Diego De Silva non ha avuto la pretesa intellettuale di farne un documento di valore politico, sociale. Ma, nei suoi libri, si trova più di quel che il tono della narrazione farebbe presagire. E così pure nella serie Rai.
Vincenzo Malinconico, interpretato su RaiUno da Massimiliano Gallo, sarebbe morto sepolto in un ufficetto arredato con mobili Ikea. Così, solo, senza clienti, senza blasoni da spendere. Un’assegnazione arbitraria è intervenuta, come a dare uno scossone a quella sua natura passiva. Avrebbe dovuto essere avvocato d’ufficio di un tal Mimmo ‘o Burzone, macellaio della Camorra: di quei macellai che non assicurano derrate alimentari, ma cadaveri smembrati con cura, poi disseminati chissà dove. Malinconico, di primo acchito, ha rifiutato. Mai, per deontologia ed etica, avrebbe difeso un mostro. Poi, però, incalzato dalla figlia, ha ritratto. Lo avrebbe fatto. Ed è dalla sua prima determinazione che – nella serie come nel libro – scaturisce qualcosa di più: un intreccio che si muove su binari paralleli, il Malinconico pubblico, il Malinconico privato, il giallo, con un Malinconico detective. La figlia di Mimmo ‘o Burzone, una ragazza di nome Brooke, viene trovata morta, una scomparsa inspiegabile. È Malinconico, allora, accompagnato da un individuo improbabile, un tempo tuttofare della malavita, ad indagare da sé, per scoprire cosa sia successo alla giovane, cosa al padre di questa.
«Ho cercato, come riferimento artistico, di tenermi vicino ai confini nazionali. Mi sono legato ai film di Nanni Loy: Malinconico rifugge il contatto con le persone, ma ne è attratto. Mi ricorda Mi manda Picone, in cui il personaggio è sempre preso e portato altrove», ha spiegato nel corso della conferenza stampa il regista della serie, Alessandro Angelini, l’uomo incaricato di trasporre in immagini il lavoro di De Silva. «Non è stato facile», ha ammesso, dividendo il merito del lavoro fra colleghi e attori. Ringraziando Gallo, cui pure lo scrittore ha fatto i propri complimenti. «Rifuggo dalle descrizioni, non dico mai quali sono le città in cui ambiento le mie storie, e non do caratteristiche fisiche ai miei personaggi. Non sapevo quale aspetto avesse Malinconico. Quando Massimiliano ha accettato la parte, l'ho visualizzato: l'ultimo libro su Malinconico l'ho scritto pensando a lui, mi ha facilitato il lavoro», ha dichiarato.
Continua a leggereRiduci
Al debutto su Rai Uno nella prima serata del 20 ottobre, la serie Rai è la trasposizione di quel che lo scrittore e sceneggiatore Diego De Silva ha scritto, di una storia complessa, che si muove agile fra più registri. C’è la commedia, nei romanzi, un gioco di equivoci per cui l’inedia a tratti insopportabile di questo eterno indeciso diventa motore e ragione della risata. E c’è il dramma, il giallo, la serietà imposta da un ritratto vivido della realtà campana.Vincenzo Malinconico è quel che Diego De Silva ha definito un «perdente, non un fallito». Avvocato, non ha mai avuto il successo di altri. Ha difeso, e spesso senza esito positivo, gli amici, i conoscenti. Si è perso nel crinale sottile che dovrebbe separare il pubblico e il privato, l’uomo dal professionista. Ha filosofeggiato sul nulla, e dal nulla è stato fagocitato. Incapace, inconcludente. Preda, anche nella sua dimensione familiare, di una forma fragile di inquietudine. Malinconico, protagonista dei romanzi che De Silva ha scritto per Einaudi, è un uomo divorziato, ma dalla moglie, Nives, non è mai riuscito a prendere le distanze. Non davvero. Le ha orbitato intorno, è rimasto amico della madre. Ha accettato, senza grande convinzione, le lusinghe di altre donne, piccole infermiere convinte di poter porre rimedio alle sue insicurezze. Ma di queste non ha mai fatto nulla. S’è fermato alla potenza, Malinconico, cui la Rai ha deciso di dedicare una serie televisiva. Vincenzo Malinconico – Avvocato di insuccesso, al debutto su RaiUno nella prima serata del 20 ottobre, è la trasposizione di quel che De Silva ha scritto, di una storia complessa, che si muove agile fra più registri. C’è la commedia, nei romanzi, un gioco di equivoci per cui l’inedia a tratti insopportabile di questo eterno indeciso diventa motore e ragione della risata. E c’è il dramma, il giallo, la serietà imposta da un ritratto vivido della realtà campana. Diego De Silva non ha avuto la pretesa intellettuale di farne un documento di valore politico, sociale. Ma, nei suoi libri, si trova più di quel che il tono della narrazione farebbe presagire. E così pure nella serie Rai.Vincenzo Malinconico, interpretato su RaiUno da Massimiliano Gallo, sarebbe morto sepolto in un ufficetto arredato con mobili Ikea. Così, solo, senza clienti, senza blasoni da spendere. Un’assegnazione arbitraria è intervenuta, come a dare uno scossone a quella sua natura passiva. Avrebbe dovuto essere avvocato d’ufficio di un tal Mimmo ‘o Burzone, macellaio della Camorra: di quei macellai che non assicurano derrate alimentari, ma cadaveri smembrati con cura, poi disseminati chissà dove. Malinconico, di primo acchito, ha rifiutato. Mai, per deontologia ed etica, avrebbe difeso un mostro. Poi, però, incalzato dalla figlia, ha ritratto. Lo avrebbe fatto. Ed è dalla sua prima determinazione che – nella serie come nel libro – scaturisce qualcosa di più: un intreccio che si muove su binari paralleli, il Malinconico pubblico, il Malinconico privato, il giallo, con un Malinconico detective. La figlia di Mimmo ‘o Burzone, una ragazza di nome Brooke, viene trovata morta, una scomparsa inspiegabile. È Malinconico, allora, accompagnato da un individuo improbabile, un tempo tuttofare della malavita, ad indagare da sé, per scoprire cosa sia successo alla giovane, cosa al padre di questa. «Ho cercato, come riferimento artistico, di tenermi vicino ai confini nazionali. Mi sono legato ai film di Nanni Loy: Malinconico rifugge il contatto con le persone, ma ne è attratto. Mi ricorda Mi manda Picone, in cui il personaggio è sempre preso e portato altrove», ha spiegato nel corso della conferenza stampa il regista della serie, Alessandro Angelini, l’uomo incaricato di trasporre in immagini il lavoro di De Silva. «Non è stato facile», ha ammesso, dividendo il merito del lavoro fra colleghi e attori. Ringraziando Gallo, cui pure lo scrittore ha fatto i propri complimenti. «Rifuggo dalle descrizioni, non dico mai quali sono le città in cui ambiento le mie storie, e non do caratteristiche fisiche ai miei personaggi. Non sapevo quale aspetto avesse Malinconico. Quando Massimiliano ha accettato la parte, l'ho visualizzato: l'ultimo libro su Malinconico l'ho scritto pensando a lui, mi ha facilitato il lavoro», ha dichiarato.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
Continua a leggereRiduci
content.jwplatform.com
Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
Continua a leggereRiduci
Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
Continua a leggereRiduci