2023-01-22
Vincenzo Attolini: «Sono nato sarto operaio ma inseguo l’innovazione Il segreto sta nei tessuti»
Il fondatore di Stile Latino: «Ho deciso di staccarmi dalla linea di famiglia per trovare la mia identità. Ma passerò il timone ai figli».È una tradizione di famiglia la sartoria, un percorso, quello di Vincenzo Attolini, sarto ancor prima di nascere, creatore del marchio Stile Latino. «Avevo nove anni», racconta alla Verità, «stavo nella sartoria di mio nonno Vincenzo, stesso nome mio, e poi di papà Cesare. Respiravo quell’aria, ce l’avevo dentro. Mio padre mi diceva: “statte qua in sala modelli”; e mi piaceva molto al punto che a quindici anni mi sono fatto il corso di sarto e modellista da uomo e a 17 anni ho conseguito il mio diploma che custodisco gelosamente, e all’epoca l’esame me lo fece Caraceni, collegato con la Callegari di Napoli, l’Accademia della moda, scuola di alta sartoria».Lei, quindi, sa confezionare un abito.«E che scherziamo? A oggi ho formato tutti i miei dipendenti e i miei sarti, ora non mi metto a cucire ma lo so fare dalla a alla zeta. Per questo non accetto che i sarti mi dicano che ora sono industria, sono e resto sarto».Saperlo fare è fondamentale per capire chi sbaglia.«Esatto. Gli operai sarti si sentono anche un po’ artisti e se hanno di fianco chi li sta formando e ne sa meno di loro se ne accorgono e non godi della loro stima. Mentre se si rendono conto del contrario, ascoltano doverosamente le indicazioni che si danno».Quando è iniziata la storia di Stile Latino, il suo marchio?«Stile Latino nasce nel 2005. Nei primi anni Duemila mi sono staccato da mio padre, ho fatto studi per due anni a cambiare modelli, a fare prove su prove, ho buttato decine e decine di abiti e giacche per arrivare al meglio. Sono partito con quattro dipendenti, con quattro sarti, oggi ne ho settanta. Il 60% sono sarte». Perché scelse di staccarsi da suo padre?«Con mio padre abbiamo fondato la prima sartoria di famiglia nei primi anni ‘80. L’etichetta era Sartoria Attolini Napoli che ho iniziato a diffondere in Giappone, negli Stati Uniti e in tutta Europa. Ho poi preso la mia strada per creare qualcosa di più innovativo rispetto allo standard rigoroso che i brand del nostro livello nel lusso continuano a produrre con quella immagine, capi molto costruiti che non fanno altro che alterare la figura della persona».Un concetto diverso di eleganza, quindi...«Il mio capo è privo di strutture e sovrastrutture, non ostenta ma nel momento in cui viene indossato segue i movimenti del corpo esaltando la figura. Non è per chi vuole apparire ma per chi è. C’era chi mi faceva i complimenti dicendomi che con il mio capo “sembrava avere dieci anni in meno” e rispondevo che “era ciò che indossava prima che gli dava dieci anni in più”. Per qualcuno può essere interpretato come un capo informale. E invece no, parliamo di altissima qualità sartoriale perché rispetto sempre la tradizione familiare di sartoria. Ma è un capo che definisco décontracté. Noi non seguiamo questa moda frenetica che non guarda più alle forme, allo stile, che va appresso a un discorso di brand, di griffe».Come avviene la produzione di un abito Attolini?«Facciamo tutto come il sarto con un’unica differenza, abbiamo un dipendente per ogni fase, quindi c’è chi sa mettere le maniche, chi fa il dietro, chi sa assemblare, chi sa fare i colli se non le spalle. Ognuno è specialista».Stoffe?«Solo materiali molto pregiati. Il 90% li prendiamo in Inghilterra e l’80% sono tessuti che creiamo noi in esclusiva. Specialmente quelli disegnati, quelli per le giacche sportive. A volte facciamo un’operazione molto raffinata, comperando filati, dato che facciamo anche maglieria, e lo facciamo tessere da un tessitore di cashmere inglese con finissaggi molto particolari». Dagli Attolini c’è già la quarta generazione, i suoi figli«Anche loro hanno questa passione. Nascono come due artisti musicisti, si sono laureati a Londra, cinque anni all’università della musica. Ma una volta finito hanno preferito proseguire nel il mio lavoro».Quanti abiti all’anno?«Siamo sui 6500 abiti all’anno, trenta al giorno. Per fare questa qualità non puoi sfornarne di più. Esportiamo per il 95%, il massimo. Paesi di riferimento restano il Giappone, Stati Uniti, Europa tutta e precedentemente la guerra anche la Russia e l’Ucraina. Mi sono sempre rivolto all’estero fin dagli anni ‘80. In Italia, fino a prima del duemila, avevamo dei bellissimi negozi, ora l’abbigliamento da uomo è appannaggio di un altro tipo di commercianti e non nascondo che in Italia è molto facile vendere ma molto difficile prendere i soldi».
Ecco #DimmiLaVerità dell'8 settembre 2025. Il generale Giuseppe Santomartino ci parla dell'attentato avvenuto a Gerusalemme: «Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? Il ruolo di Hamas e la questione Cisgiordania».