2021-09-22
Questo lasciapassare è un abominio. Abbandono l’università per protesta
Il docente Marco Villoresi si congeda dall'ateneo fiorentino in polemica con il green pass: «Non ho intenzione di esibirlo per entrare in facoltà o di chiederlo agli studenti. Scelgo il confino volontario, da libero cittadino».Cari tutti,mi permetto di rubarvi pochi minuti del vostro preziosissimo tempo per comunicarvi la mia scelta - una scelta ben più che minoritaria, verosimilmente, nell'università italiana - di non avvalermi del lasciapassare verde. Questo breve scritto, lo dico subito, non ha alcun intento provocatorio o propagandistico. Si tratta di una semplice testimonianza - la mia testimonianza, inevitabilmente parziale, irriducibilmente soggettiva. Che vi chiedo di accogliere, comunque, quale che sia il vostro libero pensiero in merito all'argomento, come atto di doveroso e profondo rispetto nei riguardi di tutti gli studenti e di tutti i compagni di lavoro del dipartimento di Lettere e Filosofia e dell'intera comunità accademica. Non entrerò troppo nel dettaglio delle motivazioni, universali o intime, che mi hanno portato a fare questa scelta. D'altronde, tutti voi avete sapienza e cultura in abbondanza per immaginarne in gran numero e varietà: di ordine politico, ideologico, giuridico, costituzionale, razionale, scientifico, sanitario, etico, psicologico e persino psichiatrico. E magari motivazioni che riguardano la stessa università, ovvero se oggi l'università sia ancora abitata da un disinibito e indipendente spirito critico, se viva ancora di fertili controversie o si mortifichi in uno sterile conformismo, se promuova il rischio dinamico della creatività e della complessità o prediliga la statica sicurezza del protocollo e della profilazione seriale. Infine, e soprattutto, se l'università possa dirsi, oggi, spazio libero, aperto e inclusivo. Ma, davvero, non ha nessuna importanza che io renda conto nello specifico di questa mia personalissima scelta. Perché è questa scelta, non ciò che l'ha motivata o che può significare, che determina l'impossibilità di iniziare, come ogni anno, il mio corso di Letteratura italiana; è questa scelta a mettermi ipso facto in quella condizione di diversità e di precarietà che molti - comprensibilmente, per carità - non possono né vogliono sopportare. Si tratta, in sostanza, della «scelta di scegliere» indipendentemente dalle conseguenze - permettetemi, per una volta, di aggrapparmi alle parole altrui -, quella che «investe le condizioni di possibilità di ogni eventuale scelta, a partire dalla propria. Da qui la sua forza, ma anche la sua pericolosità e il suo rischio» (Giulio Giorello, Di nessuna chiesa. La libertà del laico). Sembra un atto di patetico integralismo intellettuale a vocazione pubblica, ma è tutt'altro: è un atto psico-fisico di necessità, è la resistenza individuale, privata e obbligata di chi sa di perdere molto, se non tutto, ma intende, insieme alla sua libertà, conservare il rispetto di sé. Dunque, sono ben consapevole di ciò che il mio eretico Non serviam! comporta sul piano burocratico ed economico: al momento, la sospensione dal lavoro senza retribuzione; più avanti, forse, il licenziamento. E chissà che altro ancora: quando si innesca, come la storia ci insegna, la brama di discriminazione e di persecuzione non conosce limiti. Comunque sia, sono ancor più consapevole delle conseguenze che tale scelta provoca sul piano emotivo e umano. E chi mi conosce sa bene che il dispiacere più grande sarà la perdita dell'energizzante contatto con gli studenti: quel salutare assembramento e contagio di intelligenze, di progetti e di corpi che resta la cosa più bella e importante, la cosa più vitale, del nostro mestiere. Dal 1984, anno della mia immatricolazione, non è passato giorno che io non abbia fatto parte, in un ruolo o nell'altro, dell'università di Firenze. Qui, nella mia città, ho potuto godere del beneficio di studiare e di lavorare sotto la guida e al fianco di grandi maestri, di formarmi come ricercatore e docente. E, soprattutto, come uomo. Però, davvero non ho intenzione, nel contesto, nelle forme e nei toni con cui oggi viene richiesto, di esibire il lasciapassare verde per insegnare, per andare in biblioteca, per entrare nel mio studio, per incontrare gli studenti, i laureandi, i dottorandi... peraltro avendo anche il sacerdotale ufficio di interrogare, controllare e allontanare gli eventuali renitenti all'osservanza. No, non ho intenzione di godere di questo inopinato «privilegio coatto» che, diversamente da quanto avviene in tutte le democrazie d'Europa, il governo del nostro paese (e l'Università) vuole concedere, bontà sua, ai docenti, agli amministrativi e agli studenti ben codificati e, sempre e ovunque, scansionabili. Per quanto tempo - mesi, anni, in eterno? -, non si sa. Neanche, si badi, ho intenzione di infrangere la legge - almeno per ora, mi pare che il diritto non preveda né punisca gli psicoreati. Da libero cittadino italiano, dunque, da membro della comunità universitaria, scelgo di esercitare una civile protesta che si concretizza nel rifiuto del lasciapassare verde. Ma accetto socraticamente - consentitemi il conforto dell'autoironia - ciò che il governo del nostro Paese (e l'università) ha deciso nei riguardi di chi non esibisce quotidianamente la sua prona adesione al sempre più pervasivo e abusivo controllo biopolitico, alle limitazioni di diritti fondamentali della persona e allo stato di emergenza permanente. Accetto, sì, riservandomi, tuttavia, la libertà di pensare e definire tutto questo un abominio. Un abominio che, come sappiamo, presto toccherà in sorte a tutti i lavoratori italiani. Non ho banda, sono solo, direbbe il Poeta: non appartengo a nessuna parrocchia accademica, non ho mai avuto tessere di partito e, sinceramente, ho in uggia appelli, petizioni e prese di posizioni verbali senza ricadute nella realtà effettuale. Di conseguenza, della mia scelta mi assumo in toto e concretamente la responsabilità. Sarà senz'altro incompresa e disprezzata dai più - ben percepisco lo spirito del tempo, dunque anche di questo sono perfettamente consapevole. Ma, credetemi, la faccio senza imbarazzo e in pace con me stesso. È stata ben meditata, è stata presa in piena autonomia e, inutile dirlo, non ha nessuna velleità di risultare esemplare. È solo la mia scelta, che sin dai prossimi giorni mi destina, se non alla macchia, ad un volontario confino, in partibus infidelium. Così, in attesa di tempi migliori, semmai ne capiteranno, e di qualche buona novella, proverò l'esperienza di color che son sospesi... dal lavoro, dai luoghi della cultura e della socialità, e da alcuni servizi pubblici essenziali. E allora, visto che questa è la stagione che ci tocca attraversare, non mi resta che augurare schiettamente a tutti voi tanta salute e altrettanta serenità. Marco VilloresiDocente di Italianistica presso l'Università di Firenze
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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