2022-11-26
Vietata la protesta ai tifosi iraniani. La Fifa fa squadra con gli ayatollah
Repressione allo stadio verso i supporter che avevano maglie e bandiere con slogan contro il regime. I giocatori, minacciati in patria, tornano a cantare l’inno. Infantino e soci sempre più inqualificabili. Due partite della vita per l’Iran al centro del mondo. La prima più facile in campo contro il Galles (battuto 2-0), la seconda micidiale sugli spalti, sui media, negli uffici polizieschi di Teheran e di Doha. Una sfida contro tutti, anche contro gli organizzatori del Mondiale e contro l’omerica ipocrisia della Fifa, perché qui non è in gioco la classifica di un girone ma la libertà. «Freedom» è la parola più odiata in Qatar nella giornata della vergogna, in cui tutto il sistema politico-sportivo si impegna a soffocarla, ad annegarla nel conformismo con una caccia indegna a chi tenta di alzare la voce.Già durante la prima partita con l’Inghilterra la crisi iraniana si era trasferita dentro lo stadio, dove la squadra dell’avventuriero Carlos Queiroz si era rifiutata di cantare l’inno nazionale per solidarietà con i manifestanti che nelle strade della capitale iraniana continuano a protestare pacificamente dopo l’uccisione della giovane Mahsa Amini, incarcerata per aver indossato il velo lasciando fuori una ciocca di capelli. Il gesto aveva fatto andare su tutte le furie gli ayatollah con minacce di ritorsioni nei confronti della Nazionale, raggiunta da telefonate di fuoco da parte della federazione. Ieri i giocatori, spaventati dalle pressioni, hanno cantato timidamente l’inno ma l’incendio si è trasferito sugli spalti dello stadio Bin Ali: decine di tifosi con le bandiere iraniane nelle quali era stata incastonata la scritta «Woman Life freedom» sono stati controllati, fermati, invitati con le maniere forti a riporre vessilli e striscioni dagli steward appostati sui gradoni. Mentre la squadra giocava sorretta da una forza morale che andava oltre lo sport, la sua gente arrivata dalla Mesopotamia piangeva per la frustrazione di un grido soffocato dall’arroganza del potere. In patria e nella casa dei Mondiali. Nonostante la stretta poliziesca qualcuno ha superato i controlli ed è riuscito a mostrare per pochi istanti testimonianze scritte come «Mahsa Amini», il nome della martire, o «Libertà per l’Iran, non per la Repubblica islamica». Anche se la televisione del Qatar ha censurato le immagini e taciuto sulle operazioni di polizia, numerosi video amatoriali (e di network occidentali come Reuters) stanno facendo il giro del mondo sul web. Le maglie simbolo della protesta per i diritti delle donne in Iran sono state sequestrate, i supporter che volevano portarle dentro l’impianto hanno dovuto liberarsene o rinunciare a vedere la partita. Una censura silenziosa, odiosa, arrivata nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Soprattutto giunta a zittire chi vorrebbe portare sul palcoscenico internazionale l’orrore dei soprusi: ad oggi la lunga protesta (cominciata il 17 settembre a Teheran) è stata pagata con il sangue di 445 dimostranti uccisi dalla polizia, fra i quali 63 minori e 57 agenti caduti negli scontri. Finora il regime ha arrestato oltre 18.000 persone.Fra queste c’è anche un ex calciatore della Nazionale iraniana, un compagno di squadra di coloro che giocavano: Goria Ghafouri, 35 anni, di origini curde, si era schierato con i manifestanti postando una storia dai toni polemici su Instagram. È stato accusato di oltraggio, sabotaggio del calcio iraniano e propaganda contro il regime. Altri tre giocatori, Broumand, Mahini e Asgari hanno fatto la stessa fine. Altri ancora, fra i quali la stella Ali Daei, sono accusati di aver appoggiato l’insurrezione. E anche se la guida suprema islamica Alì Khamenei ha detto che «la posizione ideologica degli sportivi non ha importanza», la macchina della repressione funziona a tempo pieno. E chi vorrebbe denunciare questi soprusi ai Mondiali viene messo a tacere. Lo scenario è un urlo di Munch che smaschera ancora una volta l’ipocrisia della Fifa, responsabile d’aver dato pubblicità a suon di miliardi a un regime dittatoriale. E di sponsorizzare, per lavarsi la coscienza, proteste comode e fasulle come la fascia arcobaleno transgender. Il presidente del pallone Gianni Infantino, impegnato a raffigurarsi come «qatarino, gay e migrante», si guarda bene al proferire verbo sulla repressione dei tifosi iraniani. Freedom a geometria variabile. Il mondialismo chic della parte del pianeta con la pancia piena si impegna solo nelle battaglie di moda. La simmetria fa giustizia del conformismo occidentale: da una parte si avalla la censura sul grido di libertà iraniano, dall’altra si enfatizzano rivendicazioni alla panna montata. Così facendo le bocche chiuse dei calciatori tedeschi e le genuflessioni chic di quelli inglesi entrano direttamente nel dossier riservato al folclore. Gli unici a rischiare davvero sono gli iraniani: portieri, centravanti, «quinti di fascia» (tremenda definizione) e tifosi. A differenza di tutti gli altri, loro non giocano per la qualificazione ma per la libertà. Lo faranno anche martedì. Ironia della sorte, contro gli Stati Uniti.
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