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2021-06-03
Un video e il fratello svelano l’orrore: «Saman consegnata allo zio e uccisa»
Ansa
«Vai dallo zio». Le ultime parole. Pronunciate da genitori accusati di aver ordinato l'omicidio della figlia. Accecati da un fondamentalismo tracimato in follia. «Vai Saman». Così Saman Abbas, la diciottenne pakistana che sognava di diventare italiana, sarebbe andata incontro al suo boia: lo zio, Danish Hasnain, 33 anni. Lui l'avrebbe aspettata alla fine di una stradina sterrata tra Guastalla e il Po, dove i campi si stendono a perdita d'occhio. Gli investigatori ora ne sono certi. Quella ragazza che voleva solo scappare da un matrimonio combinato in Pakistan sarebbe stata ammazzata per volere dei genitori: Shabbar Abbas e Nazia Shaheen. L'avrebbe raccontato agli inquirenti l'altro figlio, il fratello sedicenne di Saman, che sarà sentito nei prossimi giorni dai magistrati di Reggio Emilia. È stato poi lo zio, ha aggiunto, a uccidere la sorella. Per poi nascondere il cadavere. Forse sottoterra. O in una porcilaia. Oppure in un pozzo.
Sangue del suo sangue.
Peggio di Giovanni Brusca: u' verru, u' porcu, u' scannacristiani. La belva di Cosa nostra che si buttò pentito dopo l'arresto: aveva sciolto nell'acido il tredicenne Santino Di Matteo. Brusca è stato scarcerato dopo 25 anni di reclusione, nell'ovvia indignazione generale. Di Saman invece sembra non importare a nessuno. Vittima due volte: forse della sua atroce famiglia, sicuramente dei silenti ultrà del politicamente corretti. La mafia indigna. Il femminicidio islamico no.
La sconvolgente trama era già stata tratteggiata, grazie a due video recuperati dai carabinieri. Il primo viene ripreso dalla video sorveglianza lo scorso 29 aprile. Sono le 19.15: tre persone si dirigono verso i campi alle spalle dell'azienda agricola di Novellara, dove lavora Shabbar Abbas. Hanno due pale, un piede di porco, un secchio. Tornano sui loro passi alle 21.50: due ore e mezza più tardi. E tra di loro, gli investigatori riconoscono pure un cugino di Saman, Ijaz Ikram: arrestato in Francia sabato scorso mentre tentava di raggiungere Barcellona, la corte d'appello di Nimes ha dato via libera al suo ritorno in Italia.
Ikram si dichiara innocente. Per inquirenti invece la registrazione sarebbe la prova di un delitto premeditato.
Perché il secondo video è del giorno seguente: il 30 aprile 2021. È tarda sera. Le telecamere inquadrano la diciottenne. S'incammina lungo quella stradina isolata. Assieme a lei ci sono il padre e la madre. Che rientrano, più tardi, nel casolare. Senza di lei. Poco prima, ricostruiscono i magistrati, ci sarebbe stata una lite tra la ragazza e i genitori. Il motivo è sempre lo stesso: lei si rifiuta di sposare il cugino. Per questo, prima di Natale, chiede aiuto agli assistenti sociali. Va in una struttura protetta. Come una pentita di mafia, appunto. Ma poi, diventata maggiorenne, lo scorso aprile torna nella casa di famiglia: tra i campi a Novellara. Fino a sparire nel nulla.
Il padre e la madre, spiegano ancora i pm, volevano evitare che partisse di nuovo. L'aveva già fatto nell'estate 2020, quando era finita in Belgio. Proprio dove sarebbe tornata, giura il padre: «È viva, l'ho sentita l'altro ieri, è in Belgio», spiega qualche giorno fa dal Pakistan, dove si trova assieme alla moglie. Un lutto improvviso, assicura. Ma gli investigatori sospettano la fuga. L'uomo aggiunge, nell'intervista al Quotidiano Nazionale, che la figlia non ha il cellulare: «Le ho detto di rientrare anche lei in Italia, per raccontare tutto. Ma era già andata lì un'altra volta, l'anno scorso. Non so se torna».
No. Non è tornata. E mentre il padre sembra annaspare, il figlio sedicenne, rimasto da solo a Novellara, riferisce agli investigatori una versione ben più tragica: è stato lo zio Danish a uccidere la sorella. E i mandanti sarebbero i genitori. Perché lei rifiutava un matrimonio combinato: usanza su cui ieri, finalmente, l'Ucoii ha annunciato una fatwa.
Il fratello era già finito davanti al tribunale dei minori: e l'inchiesta riguarderebbe proprio il primo allontanamento di Saman da casa, dopo l'intervento dei servizi sociali. Ora il sedicenne è in una località protetta, in attesa dell'incidente probatorio. È lui il sesto indagato, dopo i genitori, i due cugini e uno zio: tutti accusati di omicidio e occultamento di cadavere.
È scomparsa da più di un mese.
Nelle campagne del reggiano si continua a cercare Saman. Era arrivata dal Pakistan nel 2015, ancora adolescente. Le erano bastati pochi mesi per imparare l'italiano. Tanto da superare con facilità l'esame di licenza media. Roberta, l'assistente sociale che la seguiva, racconta di una diciottenne che «voleva iscriversi al liceo», «cocciuta e determinata». Voleva diventare una dottoressa, invece deve interrompere gli studi. Per lei ci sono altri piani: un matrimonio combinato e la vita in Pakistan. Anni di scontri. Fino a quando, diventata maggiorenne, tenta di riavere la carta d'identità. Per questo, rientra a casa l'11 aprile 2021. Dove però ritrova la stessa claustrofobia. La solita arretratezza. «Il padre non la faceva uscire nemmeno per fare la spesa» raccontano a Novellara.
Lo scorso 18 dicembre, dopo essere uscita per qualche ora dal centro che la ospitava, Saman posta un video su TikTok. Quindici secondi. È il giorno del suo compleanno. Lei che cammina in via Ugo Bassi, in centro a Bologna. Si vedono le sneakers e i jeans strappati sulle ginocchia. In sottofondo, Sfera Ebbasta canta: «Quando chiami tu mi chiedi: “Dove sei?». Saman aveva due account social. Uno su Instagram: «Alonegirl». La ragazza sola che sapeva di essere. L'altro, appunto, su TikTok: «Italiangirl». La ragazza che non doveva diventare.
L’Ucoii annuncia una fatwa contro l’infibulazione e i matrimoni combinati
«L'Unione delle Comunità Islamiche d'Italia emetterà una fatwa contro i matrimoni combinati forzati e l'altrettanto tribale usanza dell'infibulazione femminile». È quanto si legge sul sito internet della stessa Ucoii, che, dopo gli sviluppi del caso della giovane Saman Abbas, la ragazza pakistana scomparsa nel Reggiano, ha ritenuto di annunciare tale iniziativa, che verrà formalizzata, è stato precisato, «in concerto con l'Associazione Islamica degli Imam e delle Guide Religiose». L'ente religioso di rappresentanza dei musulmani più radicato in Italia fa inoltre sapere d'essersi preso a cuore la vicenda della povera giovane, col suo presidente, Yassine Lafram, che «ha sin da subito seguito i primi lanci di agenzia per conoscere e aggiornarsi» sull'accaduto.
Ora, com'è ovvio non si può che salutare positivamente la notizia di questa fatwa, che tecnicamente, per i fedeli musulmani, è una prescrizione religiosa vincolante come legge; anzi, c'è da augurarsi che essa possa risultare estremamente tempestiva ed efficace, al fine di prevenire nuove vicende come quella di Saman Abbas, mettendo al bando quelli che sempre l'Ucoii definisce «comportamenti che non possono trovare alcuna giustificazione religiosa, quindi assolutamente da condannare, e ancor di più da prevenire».
Detto ciò, la pur benvenuta iniziativa della rappresentanza islamica pone alcune criticità. Innanzitutto rispetto alla tempistica, che fa pensare che la fatwa in parola serva - come d'altra parte recita la stessa nota Ucoii - per rispondere a chi «mira ad infangare l'intera comunità islamica italiana», più che a rigettare certe pratiche disumane. Viceversa, se davvero l'organizzazione musulmana è in totale buona fede - cosa di cui nessuno a priori dubita -, le cose assumono un contorno ancora più allarmante; sì, perché se urge condannare formalmente i matrimoni combinati forzati e l'usanza dell'infibulazione femminile, significa che il Codice penale italiano, da solo, non basta.
Soprattutto, significa che, al di là delle apparenze, c'è tutto un sottobosco islamico che non solo non risulta integrato, ma che non ha affatto intenzione di esserlo. Da questo punto di vista, inevitabilmente c'è una quota di responsabilità anche da parte della cultura progressista che, allorquando si tratta di fede cristiana, rilancia ossessivamente il mantra della laicità, mentre di fronte ad altre, islamica in primis, ripiega docile sul ritornello della tolleranza, pur consapevole che minoritarie ma non irrilevanti frange musulmane calpestano i più elementari diritti delle donne.
Efficaci, al riguardo, sono le parole della giornalista Eugénie Bastié che pochi giorni fa, su Le Figaro, ha scritto che alcuni «ossessionati dall'idea che il sessismo sia una malattia occidentale, rifiutano la possibilità di un patriarcato d'importazione». Si afferma tutto questo, beninteso, non già per criticare l'iniziativa dell'Ucoii - che in sé, lo si ripete, resta da accogliere con favore -, bensì per rimarcare che un conto sono le belle parole e le iniziative di circostanza, e un altro è la volontà, che ci si augura vi sia davvero in questo caso, di porre fine a pratiche barbare, che ci si deve decidere a condannare anche al di là dei singoli fatti di cronaca.
Viceversa, se ci si limita ogni volta a chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati, vuol dire che manca la volontà di affrontare un problema che, se dobbiamo prestar fede all'Ucoii, esiste eccome. La tragica vicenda di Saman Abbas non è un caso isolato.
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Il sedicenne ha raccontato l'omicidio della ragazza, che rifiutava le nozze forzate con un parente in Pakistan. Un filmato mostra come la giovane è stata tradita dai genitori. Via all'estradizione di un cugino dalla Francia.Apprezzabile iniziativa del maggiore ente religioso musulmano in Italia, ma per quei reati dovrebbe bastare il Codice penale.Lo speciale contiene due articoli.«Vai dallo zio». Le ultime parole. Pronunciate da genitori accusati di aver ordinato l'omicidio della figlia. Accecati da un fondamentalismo tracimato in follia. «Vai Saman». Così Saman Abbas, la diciottenne pakistana che sognava di diventare italiana, sarebbe andata incontro al suo boia: lo zio, Danish Hasnain, 33 anni. Lui l'avrebbe aspettata alla fine di una stradina sterrata tra Guastalla e il Po, dove i campi si stendono a perdita d'occhio. Gli investigatori ora ne sono certi. Quella ragazza che voleva solo scappare da un matrimonio combinato in Pakistan sarebbe stata ammazzata per volere dei genitori: Shabbar Abbas e Nazia Shaheen. L'avrebbe raccontato agli inquirenti l'altro figlio, il fratello sedicenne di Saman, che sarà sentito nei prossimi giorni dai magistrati di Reggio Emilia. È stato poi lo zio, ha aggiunto, a uccidere la sorella. Per poi nascondere il cadavere. Forse sottoterra. O in una porcilaia. Oppure in un pozzo. Sangue del suo sangue. Peggio di Giovanni Brusca: u' verru, u' porcu, u' scannacristiani. La belva di Cosa nostra che si buttò pentito dopo l'arresto: aveva sciolto nell'acido il tredicenne Santino Di Matteo. Brusca è stato scarcerato dopo 25 anni di reclusione, nell'ovvia indignazione generale. Di Saman invece sembra non importare a nessuno. Vittima due volte: forse della sua atroce famiglia, sicuramente dei silenti ultrà del politicamente corretti. La mafia indigna. Il femminicidio islamico no. La sconvolgente trama era già stata tratteggiata, grazie a due video recuperati dai carabinieri. Il primo viene ripreso dalla video sorveglianza lo scorso 29 aprile. Sono le 19.15: tre persone si dirigono verso i campi alle spalle dell'azienda agricola di Novellara, dove lavora Shabbar Abbas. Hanno due pale, un piede di porco, un secchio. Tornano sui loro passi alle 21.50: due ore e mezza più tardi. E tra di loro, gli investigatori riconoscono pure un cugino di Saman, Ijaz Ikram: arrestato in Francia sabato scorso mentre tentava di raggiungere Barcellona, la corte d'appello di Nimes ha dato via libera al suo ritorno in Italia. Ikram si dichiara innocente. Per inquirenti invece la registrazione sarebbe la prova di un delitto premeditato. Perché il secondo video è del giorno seguente: il 30 aprile 2021. È tarda sera. Le telecamere inquadrano la diciottenne. S'incammina lungo quella stradina isolata. Assieme a lei ci sono il padre e la madre. Che rientrano, più tardi, nel casolare. Senza di lei. Poco prima, ricostruiscono i magistrati, ci sarebbe stata una lite tra la ragazza e i genitori. Il motivo è sempre lo stesso: lei si rifiuta di sposare il cugino. Per questo, prima di Natale, chiede aiuto agli assistenti sociali. Va in una struttura protetta. Come una pentita di mafia, appunto. Ma poi, diventata maggiorenne, lo scorso aprile torna nella casa di famiglia: tra i campi a Novellara. Fino a sparire nel nulla. Il padre e la madre, spiegano ancora i pm, volevano evitare che partisse di nuovo. L'aveva già fatto nell'estate 2020, quando era finita in Belgio. Proprio dove sarebbe tornata, giura il padre: «È viva, l'ho sentita l'altro ieri, è in Belgio», spiega qualche giorno fa dal Pakistan, dove si trova assieme alla moglie. Un lutto improvviso, assicura. Ma gli investigatori sospettano la fuga. L'uomo aggiunge, nell'intervista al Quotidiano Nazionale, che la figlia non ha il cellulare: «Le ho detto di rientrare anche lei in Italia, per raccontare tutto. Ma era già andata lì un'altra volta, l'anno scorso. Non so se torna». No. Non è tornata. E mentre il padre sembra annaspare, il figlio sedicenne, rimasto da solo a Novellara, riferisce agli investigatori una versione ben più tragica: è stato lo zio Danish a uccidere la sorella. E i mandanti sarebbero i genitori. Perché lei rifiutava un matrimonio combinato: usanza su cui ieri, finalmente, l'Ucoii ha annunciato una fatwa. Il fratello era già finito davanti al tribunale dei minori: e l'inchiesta riguarderebbe proprio il primo allontanamento di Saman da casa, dopo l'intervento dei servizi sociali. Ora il sedicenne è in una località protetta, in attesa dell'incidente probatorio. È lui il sesto indagato, dopo i genitori, i due cugini e uno zio: tutti accusati di omicidio e occultamento di cadavere. È scomparsa da più di un mese. Nelle campagne del reggiano si continua a cercare Saman. Era arrivata dal Pakistan nel 2015, ancora adolescente. Le erano bastati pochi mesi per imparare l'italiano. Tanto da superare con facilità l'esame di licenza media. Roberta, l'assistente sociale che la seguiva, racconta di una diciottenne che «voleva iscriversi al liceo», «cocciuta e determinata». Voleva diventare una dottoressa, invece deve interrompere gli studi. Per lei ci sono altri piani: un matrimonio combinato e la vita in Pakistan. Anni di scontri. Fino a quando, diventata maggiorenne, tenta di riavere la carta d'identità. Per questo, rientra a casa l'11 aprile 2021. Dove però ritrova la stessa claustrofobia. La solita arretratezza. «Il padre non la faceva uscire nemmeno per fare la spesa» raccontano a Novellara. Lo scorso 18 dicembre, dopo essere uscita per qualche ora dal centro che la ospitava, Saman posta un video su TikTok. Quindici secondi. È il giorno del suo compleanno. Lei che cammina in via Ugo Bassi, in centro a Bologna. Si vedono le sneakers e i jeans strappati sulle ginocchia. In sottofondo, Sfera Ebbasta canta: «Quando chiami tu mi chiedi: “Dove sei?». Saman aveva due account social. Uno su Instagram: «Alonegirl». La ragazza sola che sapeva di essere. L'altro, appunto, su TikTok: «Italiangirl». La ragazza che non doveva diventare. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/video-fratello-saman-zio-uccisa-2653211240.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lucoii-annuncia-una-fatwa-contro-linfibulazione-e-i-matrimoni-combinati" data-post-id="2653211240" data-published-at="1622664541" data-use-pagination="False"> L’Ucoii annuncia una fatwa contro l’infibulazione e i matrimoni combinati «L'Unione delle Comunità Islamiche d'Italia emetterà una fatwa contro i matrimoni combinati forzati e l'altrettanto tribale usanza dell'infibulazione femminile». È quanto si legge sul sito internet della stessa Ucoii, che, dopo gli sviluppi del caso della giovane Saman Abbas, la ragazza pakistana scomparsa nel Reggiano, ha ritenuto di annunciare tale iniziativa, che verrà formalizzata, è stato precisato, «in concerto con l'Associazione Islamica degli Imam e delle Guide Religiose». L'ente religioso di rappresentanza dei musulmani più radicato in Italia fa inoltre sapere d'essersi preso a cuore la vicenda della povera giovane, col suo presidente, Yassine Lafram, che «ha sin da subito seguito i primi lanci di agenzia per conoscere e aggiornarsi» sull'accaduto. Ora, com'è ovvio non si può che salutare positivamente la notizia di questa fatwa, che tecnicamente, per i fedeli musulmani, è una prescrizione religiosa vincolante come legge; anzi, c'è da augurarsi che essa possa risultare estremamente tempestiva ed efficace, al fine di prevenire nuove vicende come quella di Saman Abbas, mettendo al bando quelli che sempre l'Ucoii definisce «comportamenti che non possono trovare alcuna giustificazione religiosa, quindi assolutamente da condannare, e ancor di più da prevenire». Detto ciò, la pur benvenuta iniziativa della rappresentanza islamica pone alcune criticità. Innanzitutto rispetto alla tempistica, che fa pensare che la fatwa in parola serva - come d'altra parte recita la stessa nota Ucoii - per rispondere a chi «mira ad infangare l'intera comunità islamica italiana», più che a rigettare certe pratiche disumane. Viceversa, se davvero l'organizzazione musulmana è in totale buona fede - cosa di cui nessuno a priori dubita -, le cose assumono un contorno ancora più allarmante; sì, perché se urge condannare formalmente i matrimoni combinati forzati e l'usanza dell'infibulazione femminile, significa che il Codice penale italiano, da solo, non basta. Soprattutto, significa che, al di là delle apparenze, c'è tutto un sottobosco islamico che non solo non risulta integrato, ma che non ha affatto intenzione di esserlo. Da questo punto di vista, inevitabilmente c'è una quota di responsabilità anche da parte della cultura progressista che, allorquando si tratta di fede cristiana, rilancia ossessivamente il mantra della laicità, mentre di fronte ad altre, islamica in primis, ripiega docile sul ritornello della tolleranza, pur consapevole che minoritarie ma non irrilevanti frange musulmane calpestano i più elementari diritti delle donne. Efficaci, al riguardo, sono le parole della giornalista Eugénie Bastié che pochi giorni fa, su Le Figaro, ha scritto che alcuni «ossessionati dall'idea che il sessismo sia una malattia occidentale, rifiutano la possibilità di un patriarcato d'importazione». Si afferma tutto questo, beninteso, non già per criticare l'iniziativa dell'Ucoii - che in sé, lo si ripete, resta da accogliere con favore -, bensì per rimarcare che un conto sono le belle parole e le iniziative di circostanza, e un altro è la volontà, che ci si augura vi sia davvero in questo caso, di porre fine a pratiche barbare, che ci si deve decidere a condannare anche al di là dei singoli fatti di cronaca. Viceversa, se ci si limita ogni volta a chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati, vuol dire che manca la volontà di affrontare un problema che, se dobbiamo prestar fede all'Ucoii, esiste eccome. La tragica vicenda di Saman Abbas non è un caso isolato.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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