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2021-06-03
Un video e il fratello svelano l’orrore: «Saman consegnata allo zio e uccisa»
Ansa
«Vai dallo zio». Le ultime parole. Pronunciate da genitori accusati di aver ordinato l'omicidio della figlia. Accecati da un fondamentalismo tracimato in follia. «Vai Saman». Così Saman Abbas, la diciottenne pakistana che sognava di diventare italiana, sarebbe andata incontro al suo boia: lo zio, Danish Hasnain, 33 anni. Lui l'avrebbe aspettata alla fine di una stradina sterrata tra Guastalla e il Po, dove i campi si stendono a perdita d'occhio. Gli investigatori ora ne sono certi. Quella ragazza che voleva solo scappare da un matrimonio combinato in Pakistan sarebbe stata ammazzata per volere dei genitori: Shabbar Abbas e Nazia Shaheen. L'avrebbe raccontato agli inquirenti l'altro figlio, il fratello sedicenne di Saman, che sarà sentito nei prossimi giorni dai magistrati di Reggio Emilia. È stato poi lo zio, ha aggiunto, a uccidere la sorella. Per poi nascondere il cadavere. Forse sottoterra. O in una porcilaia. Oppure in un pozzo.
Sangue del suo sangue.
Peggio di Giovanni Brusca: u' verru, u' porcu, u' scannacristiani. La belva di Cosa nostra che si buttò pentito dopo l'arresto: aveva sciolto nell'acido il tredicenne Santino Di Matteo. Brusca è stato scarcerato dopo 25 anni di reclusione, nell'ovvia indignazione generale. Di Saman invece sembra non importare a nessuno. Vittima due volte: forse della sua atroce famiglia, sicuramente dei silenti ultrà del politicamente corretti. La mafia indigna. Il femminicidio islamico no.
La sconvolgente trama era già stata tratteggiata, grazie a due video recuperati dai carabinieri. Il primo viene ripreso dalla video sorveglianza lo scorso 29 aprile. Sono le 19.15: tre persone si dirigono verso i campi alle spalle dell'azienda agricola di Novellara, dove lavora Shabbar Abbas. Hanno due pale, un piede di porco, un secchio. Tornano sui loro passi alle 21.50: due ore e mezza più tardi. E tra di loro, gli investigatori riconoscono pure un cugino di Saman, Ijaz Ikram: arrestato in Francia sabato scorso mentre tentava di raggiungere Barcellona, la corte d'appello di Nimes ha dato via libera al suo ritorno in Italia.
Ikram si dichiara innocente. Per inquirenti invece la registrazione sarebbe la prova di un delitto premeditato.
Perché il secondo video è del giorno seguente: il 30 aprile 2021. È tarda sera. Le telecamere inquadrano la diciottenne. S'incammina lungo quella stradina isolata. Assieme a lei ci sono il padre e la madre. Che rientrano, più tardi, nel casolare. Senza di lei. Poco prima, ricostruiscono i magistrati, ci sarebbe stata una lite tra la ragazza e i genitori. Il motivo è sempre lo stesso: lei si rifiuta di sposare il cugino. Per questo, prima di Natale, chiede aiuto agli assistenti sociali. Va in una struttura protetta. Come una pentita di mafia, appunto. Ma poi, diventata maggiorenne, lo scorso aprile torna nella casa di famiglia: tra i campi a Novellara. Fino a sparire nel nulla.
Il padre e la madre, spiegano ancora i pm, volevano evitare che partisse di nuovo. L'aveva già fatto nell'estate 2020, quando era finita in Belgio. Proprio dove sarebbe tornata, giura il padre: «È viva, l'ho sentita l'altro ieri, è in Belgio», spiega qualche giorno fa dal Pakistan, dove si trova assieme alla moglie. Un lutto improvviso, assicura. Ma gli investigatori sospettano la fuga. L'uomo aggiunge, nell'intervista al Quotidiano Nazionale, che la figlia non ha il cellulare: «Le ho detto di rientrare anche lei in Italia, per raccontare tutto. Ma era già andata lì un'altra volta, l'anno scorso. Non so se torna».
No. Non è tornata. E mentre il padre sembra annaspare, il figlio sedicenne, rimasto da solo a Novellara, riferisce agli investigatori una versione ben più tragica: è stato lo zio Danish a uccidere la sorella. E i mandanti sarebbero i genitori. Perché lei rifiutava un matrimonio combinato: usanza su cui ieri, finalmente, l'Ucoii ha annunciato una fatwa.
Il fratello era già finito davanti al tribunale dei minori: e l'inchiesta riguarderebbe proprio il primo allontanamento di Saman da casa, dopo l'intervento dei servizi sociali. Ora il sedicenne è in una località protetta, in attesa dell'incidente probatorio. È lui il sesto indagato, dopo i genitori, i due cugini e uno zio: tutti accusati di omicidio e occultamento di cadavere.
È scomparsa da più di un mese.
Nelle campagne del reggiano si continua a cercare Saman. Era arrivata dal Pakistan nel 2015, ancora adolescente. Le erano bastati pochi mesi per imparare l'italiano. Tanto da superare con facilità l'esame di licenza media. Roberta, l'assistente sociale che la seguiva, racconta di una diciottenne che «voleva iscriversi al liceo», «cocciuta e determinata». Voleva diventare una dottoressa, invece deve interrompere gli studi. Per lei ci sono altri piani: un matrimonio combinato e la vita in Pakistan. Anni di scontri. Fino a quando, diventata maggiorenne, tenta di riavere la carta d'identità. Per questo, rientra a casa l'11 aprile 2021. Dove però ritrova la stessa claustrofobia. La solita arretratezza. «Il padre non la faceva uscire nemmeno per fare la spesa» raccontano a Novellara.
Lo scorso 18 dicembre, dopo essere uscita per qualche ora dal centro che la ospitava, Saman posta un video su TikTok. Quindici secondi. È il giorno del suo compleanno. Lei che cammina in via Ugo Bassi, in centro a Bologna. Si vedono le sneakers e i jeans strappati sulle ginocchia. In sottofondo, Sfera Ebbasta canta: «Quando chiami tu mi chiedi: “Dove sei?». Saman aveva due account social. Uno su Instagram: «Alonegirl». La ragazza sola che sapeva di essere. L'altro, appunto, su TikTok: «Italiangirl». La ragazza che non doveva diventare.
L’Ucoii annuncia una fatwa contro l’infibulazione e i matrimoni combinati
«L'Unione delle Comunità Islamiche d'Italia emetterà una fatwa contro i matrimoni combinati forzati e l'altrettanto tribale usanza dell'infibulazione femminile». È quanto si legge sul sito internet della stessa Ucoii, che, dopo gli sviluppi del caso della giovane Saman Abbas, la ragazza pakistana scomparsa nel Reggiano, ha ritenuto di annunciare tale iniziativa, che verrà formalizzata, è stato precisato, «in concerto con l'Associazione Islamica degli Imam e delle Guide Religiose». L'ente religioso di rappresentanza dei musulmani più radicato in Italia fa inoltre sapere d'essersi preso a cuore la vicenda della povera giovane, col suo presidente, Yassine Lafram, che «ha sin da subito seguito i primi lanci di agenzia per conoscere e aggiornarsi» sull'accaduto.
Ora, com'è ovvio non si può che salutare positivamente la notizia di questa fatwa, che tecnicamente, per i fedeli musulmani, è una prescrizione religiosa vincolante come legge; anzi, c'è da augurarsi che essa possa risultare estremamente tempestiva ed efficace, al fine di prevenire nuove vicende come quella di Saman Abbas, mettendo al bando quelli che sempre l'Ucoii definisce «comportamenti che non possono trovare alcuna giustificazione religiosa, quindi assolutamente da condannare, e ancor di più da prevenire».
Detto ciò, la pur benvenuta iniziativa della rappresentanza islamica pone alcune criticità. Innanzitutto rispetto alla tempistica, che fa pensare che la fatwa in parola serva - come d'altra parte recita la stessa nota Ucoii - per rispondere a chi «mira ad infangare l'intera comunità islamica italiana», più che a rigettare certe pratiche disumane. Viceversa, se davvero l'organizzazione musulmana è in totale buona fede - cosa di cui nessuno a priori dubita -, le cose assumono un contorno ancora più allarmante; sì, perché se urge condannare formalmente i matrimoni combinati forzati e l'usanza dell'infibulazione femminile, significa che il Codice penale italiano, da solo, non basta.
Soprattutto, significa che, al di là delle apparenze, c'è tutto un sottobosco islamico che non solo non risulta integrato, ma che non ha affatto intenzione di esserlo. Da questo punto di vista, inevitabilmente c'è una quota di responsabilità anche da parte della cultura progressista che, allorquando si tratta di fede cristiana, rilancia ossessivamente il mantra della laicità, mentre di fronte ad altre, islamica in primis, ripiega docile sul ritornello della tolleranza, pur consapevole che minoritarie ma non irrilevanti frange musulmane calpestano i più elementari diritti delle donne.
Efficaci, al riguardo, sono le parole della giornalista Eugénie Bastié che pochi giorni fa, su Le Figaro, ha scritto che alcuni «ossessionati dall'idea che il sessismo sia una malattia occidentale, rifiutano la possibilità di un patriarcato d'importazione». Si afferma tutto questo, beninteso, non già per criticare l'iniziativa dell'Ucoii - che in sé, lo si ripete, resta da accogliere con favore -, bensì per rimarcare che un conto sono le belle parole e le iniziative di circostanza, e un altro è la volontà, che ci si augura vi sia davvero in questo caso, di porre fine a pratiche barbare, che ci si deve decidere a condannare anche al di là dei singoli fatti di cronaca.
Viceversa, se ci si limita ogni volta a chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati, vuol dire che manca la volontà di affrontare un problema che, se dobbiamo prestar fede all'Ucoii, esiste eccome. La tragica vicenda di Saman Abbas non è un caso isolato.
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Riduci
Il sedicenne ha raccontato l'omicidio della ragazza, che rifiutava le nozze forzate con un parente in Pakistan. Un filmato mostra come la giovane è stata tradita dai genitori. Via all'estradizione di un cugino dalla Francia.Apprezzabile iniziativa del maggiore ente religioso musulmano in Italia, ma per quei reati dovrebbe bastare il Codice penale.Lo speciale contiene due articoli.«Vai dallo zio». Le ultime parole. Pronunciate da genitori accusati di aver ordinato l'omicidio della figlia. Accecati da un fondamentalismo tracimato in follia. «Vai Saman». Così Saman Abbas, la diciottenne pakistana che sognava di diventare italiana, sarebbe andata incontro al suo boia: lo zio, Danish Hasnain, 33 anni. Lui l'avrebbe aspettata alla fine di una stradina sterrata tra Guastalla e il Po, dove i campi si stendono a perdita d'occhio. Gli investigatori ora ne sono certi. Quella ragazza che voleva solo scappare da un matrimonio combinato in Pakistan sarebbe stata ammazzata per volere dei genitori: Shabbar Abbas e Nazia Shaheen. L'avrebbe raccontato agli inquirenti l'altro figlio, il fratello sedicenne di Saman, che sarà sentito nei prossimi giorni dai magistrati di Reggio Emilia. È stato poi lo zio, ha aggiunto, a uccidere la sorella. Per poi nascondere il cadavere. Forse sottoterra. O in una porcilaia. Oppure in un pozzo. Sangue del suo sangue. Peggio di Giovanni Brusca: u' verru, u' porcu, u' scannacristiani. La belva di Cosa nostra che si buttò pentito dopo l'arresto: aveva sciolto nell'acido il tredicenne Santino Di Matteo. Brusca è stato scarcerato dopo 25 anni di reclusione, nell'ovvia indignazione generale. Di Saman invece sembra non importare a nessuno. Vittima due volte: forse della sua atroce famiglia, sicuramente dei silenti ultrà del politicamente corretti. La mafia indigna. Il femminicidio islamico no. La sconvolgente trama era già stata tratteggiata, grazie a due video recuperati dai carabinieri. Il primo viene ripreso dalla video sorveglianza lo scorso 29 aprile. Sono le 19.15: tre persone si dirigono verso i campi alle spalle dell'azienda agricola di Novellara, dove lavora Shabbar Abbas. Hanno due pale, un piede di porco, un secchio. Tornano sui loro passi alle 21.50: due ore e mezza più tardi. E tra di loro, gli investigatori riconoscono pure un cugino di Saman, Ijaz Ikram: arrestato in Francia sabato scorso mentre tentava di raggiungere Barcellona, la corte d'appello di Nimes ha dato via libera al suo ritorno in Italia. Ikram si dichiara innocente. Per inquirenti invece la registrazione sarebbe la prova di un delitto premeditato. Perché il secondo video è del giorno seguente: il 30 aprile 2021. È tarda sera. Le telecamere inquadrano la diciottenne. S'incammina lungo quella stradina isolata. Assieme a lei ci sono il padre e la madre. Che rientrano, più tardi, nel casolare. Senza di lei. Poco prima, ricostruiscono i magistrati, ci sarebbe stata una lite tra la ragazza e i genitori. Il motivo è sempre lo stesso: lei si rifiuta di sposare il cugino. Per questo, prima di Natale, chiede aiuto agli assistenti sociali. Va in una struttura protetta. Come una pentita di mafia, appunto. Ma poi, diventata maggiorenne, lo scorso aprile torna nella casa di famiglia: tra i campi a Novellara. Fino a sparire nel nulla. Il padre e la madre, spiegano ancora i pm, volevano evitare che partisse di nuovo. L'aveva già fatto nell'estate 2020, quando era finita in Belgio. Proprio dove sarebbe tornata, giura il padre: «È viva, l'ho sentita l'altro ieri, è in Belgio», spiega qualche giorno fa dal Pakistan, dove si trova assieme alla moglie. Un lutto improvviso, assicura. Ma gli investigatori sospettano la fuga. L'uomo aggiunge, nell'intervista al Quotidiano Nazionale, che la figlia non ha il cellulare: «Le ho detto di rientrare anche lei in Italia, per raccontare tutto. Ma era già andata lì un'altra volta, l'anno scorso. Non so se torna». No. Non è tornata. E mentre il padre sembra annaspare, il figlio sedicenne, rimasto da solo a Novellara, riferisce agli investigatori una versione ben più tragica: è stato lo zio Danish a uccidere la sorella. E i mandanti sarebbero i genitori. Perché lei rifiutava un matrimonio combinato: usanza su cui ieri, finalmente, l'Ucoii ha annunciato una fatwa. Il fratello era già finito davanti al tribunale dei minori: e l'inchiesta riguarderebbe proprio il primo allontanamento di Saman da casa, dopo l'intervento dei servizi sociali. Ora il sedicenne è in una località protetta, in attesa dell'incidente probatorio. È lui il sesto indagato, dopo i genitori, i due cugini e uno zio: tutti accusati di omicidio e occultamento di cadavere. È scomparsa da più di un mese. Nelle campagne del reggiano si continua a cercare Saman. Era arrivata dal Pakistan nel 2015, ancora adolescente. Le erano bastati pochi mesi per imparare l'italiano. Tanto da superare con facilità l'esame di licenza media. Roberta, l'assistente sociale che la seguiva, racconta di una diciottenne che «voleva iscriversi al liceo», «cocciuta e determinata». Voleva diventare una dottoressa, invece deve interrompere gli studi. Per lei ci sono altri piani: un matrimonio combinato e la vita in Pakistan. Anni di scontri. Fino a quando, diventata maggiorenne, tenta di riavere la carta d'identità. Per questo, rientra a casa l'11 aprile 2021. Dove però ritrova la stessa claustrofobia. La solita arretratezza. «Il padre non la faceva uscire nemmeno per fare la spesa» raccontano a Novellara. Lo scorso 18 dicembre, dopo essere uscita per qualche ora dal centro che la ospitava, Saman posta un video su TikTok. Quindici secondi. È il giorno del suo compleanno. Lei che cammina in via Ugo Bassi, in centro a Bologna. Si vedono le sneakers e i jeans strappati sulle ginocchia. In sottofondo, Sfera Ebbasta canta: «Quando chiami tu mi chiedi: “Dove sei?». Saman aveva due account social. Uno su Instagram: «Alonegirl». La ragazza sola che sapeva di essere. L'altro, appunto, su TikTok: «Italiangirl». La ragazza che non doveva diventare. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/video-fratello-saman-zio-uccisa-2653211240.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lucoii-annuncia-una-fatwa-contro-linfibulazione-e-i-matrimoni-combinati" data-post-id="2653211240" data-published-at="1622664541" data-use-pagination="False"> L’Ucoii annuncia una fatwa contro l’infibulazione e i matrimoni combinati «L'Unione delle Comunità Islamiche d'Italia emetterà una fatwa contro i matrimoni combinati forzati e l'altrettanto tribale usanza dell'infibulazione femminile». È quanto si legge sul sito internet della stessa Ucoii, che, dopo gli sviluppi del caso della giovane Saman Abbas, la ragazza pakistana scomparsa nel Reggiano, ha ritenuto di annunciare tale iniziativa, che verrà formalizzata, è stato precisato, «in concerto con l'Associazione Islamica degli Imam e delle Guide Religiose». L'ente religioso di rappresentanza dei musulmani più radicato in Italia fa inoltre sapere d'essersi preso a cuore la vicenda della povera giovane, col suo presidente, Yassine Lafram, che «ha sin da subito seguito i primi lanci di agenzia per conoscere e aggiornarsi» sull'accaduto. Ora, com'è ovvio non si può che salutare positivamente la notizia di questa fatwa, che tecnicamente, per i fedeli musulmani, è una prescrizione religiosa vincolante come legge; anzi, c'è da augurarsi che essa possa risultare estremamente tempestiva ed efficace, al fine di prevenire nuove vicende come quella di Saman Abbas, mettendo al bando quelli che sempre l'Ucoii definisce «comportamenti che non possono trovare alcuna giustificazione religiosa, quindi assolutamente da condannare, e ancor di più da prevenire». Detto ciò, la pur benvenuta iniziativa della rappresentanza islamica pone alcune criticità. Innanzitutto rispetto alla tempistica, che fa pensare che la fatwa in parola serva - come d'altra parte recita la stessa nota Ucoii - per rispondere a chi «mira ad infangare l'intera comunità islamica italiana», più che a rigettare certe pratiche disumane. Viceversa, se davvero l'organizzazione musulmana è in totale buona fede - cosa di cui nessuno a priori dubita -, le cose assumono un contorno ancora più allarmante; sì, perché se urge condannare formalmente i matrimoni combinati forzati e l'usanza dell'infibulazione femminile, significa che il Codice penale italiano, da solo, non basta. Soprattutto, significa che, al di là delle apparenze, c'è tutto un sottobosco islamico che non solo non risulta integrato, ma che non ha affatto intenzione di esserlo. Da questo punto di vista, inevitabilmente c'è una quota di responsabilità anche da parte della cultura progressista che, allorquando si tratta di fede cristiana, rilancia ossessivamente il mantra della laicità, mentre di fronte ad altre, islamica in primis, ripiega docile sul ritornello della tolleranza, pur consapevole che minoritarie ma non irrilevanti frange musulmane calpestano i più elementari diritti delle donne. Efficaci, al riguardo, sono le parole della giornalista Eugénie Bastié che pochi giorni fa, su Le Figaro, ha scritto che alcuni «ossessionati dall'idea che il sessismo sia una malattia occidentale, rifiutano la possibilità di un patriarcato d'importazione». Si afferma tutto questo, beninteso, non già per criticare l'iniziativa dell'Ucoii - che in sé, lo si ripete, resta da accogliere con favore -, bensì per rimarcare che un conto sono le belle parole e le iniziative di circostanza, e un altro è la volontà, che ci si augura vi sia davvero in questo caso, di porre fine a pratiche barbare, che ci si deve decidere a condannare anche al di là dei singoli fatti di cronaca. Viceversa, se ci si limita ogni volta a chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati, vuol dire che manca la volontà di affrontare un problema che, se dobbiamo prestar fede all'Ucoii, esiste eccome. La tragica vicenda di Saman Abbas non è un caso isolato.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Un concetto già smentito da Fdi che in un dossier sulle fake news relative proprio all’oro di Bankitalia, ha precisato l’infondatezza dell’allarmismo basato sulla errata idea di volersi impossessare delle riserve auree per ridurre il debito. E nello stesso documento si ricordava invece come questa idea non dispiacesse al governo di sinistra di Romano Prodi del 2007. Peraltro nel dossier si precisa che la finalità dell’emendamento è di «non far correre il rischio all’Italia che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani».
Per due volte la Banca centrale europea ha puntato i piedi, probabilmente spinta dal retropensiero che il governo voglia mettere le mani sull’oro detenuto e gestito da Bankitalia, per venderlo. Ma anche su questo punto da Fdi hanno tranquillizzato. Nel documento esplicativo precisano che «al contrario, vogliamo affermare che la proprietà dell’oro detenuto dalla Banca d’Italia è dello Stato proprio per proteggere le riserve auree da speculazioni». Il capitale dell’istituto centrale è diviso in 300.000 quote e nessun azionista può detenere più del 5%. I principali soci di Via Nazionale sono grandi banche e casse di previdenza. Dai dati pubblicati sul sito Bankitalia, primo azionista risulta Unicredit (15.000 quote pari al 5%), seguono con il 4,93% ciascuna Inarcassa (la Cassa di previdenza di ingegneri e architetti), Fondazione Enpam (Ente di previdenza dei medici e degli odontoiatri) e la Cassa forense. Del 4,91% la partecipazione detenuta da Intesa Sanpaolo. Al sesto posto tra gli azionisti, troviamo la Cassa di previdenza dei commercialisti con il 3,66%. Seguono Bper Banca con il 3,25%, Iccrea Banca col 3,12%, Generali col 3,02%. Pari al decimo posto, con il 3% ciascuna, Inps, Inail, Cassa di sovvenzioni e risparmio fra il personale della Banca d'Italia, Cassa di Risparmio di Asti. Primo azionista a controllo straniero è la Bmnl (Gruppo Bnp Paribas) col 2,83% seguita da Credit Agricole Italia (2,81%). Bff Bank (partecipata da fondi italiani e internazionali) detiene l’1,67% mentre Banco Bpm (i cui principali azionisti sono Credit Agricole con circa il 20% e Blackrock con circa il 5%) ha l’1,51%.
Un motivo fondato quindi per esplicitare che le riserve auree sono di proprietà di tutti gli italiani. Il che, a differenza di quanto sostenuto da politici e analisti di sinistra, «non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. Non si comprende quindi la levata di scudi di queste ore nei confronti della proposta di Fdi. A meno che, ed è lecito domandarselo, chi oggi si agita non abbia altri motivi per farlo».
C’è poi il fatto che «alcuni Stati, anche membri dell’Ue, hanno già chiarito che la proprietà delle riserve appartiene al popolo, nella propria legislazione, mettendolo nero su bianco, a dimostrazione del fatto che ciò è perfettamente compatibile con i Trattati europei». Pertanto si tratta di un emendamento «di buon senso».
La riformulazione della proposta potrebbe essere presentata oggi, come annunciato dal capogruppo di Fdi in Senato, Lucio Malan. «Si tratta di dare», ha specificato, «una formulazione che dia maggiore chiarezza». Nella risposta alle richieste della presidente della Bce, Christine Lagarde, il ministro Giorgetti, avrebbe precisato che la disponibilità e gestione delle riserve auree del popolo italiano sono in capo alla Banca d’Italia in conformità alle regole dei Trattati e che la riformulazione della norma trasmessa è il frutto di apposite interlocuzioni con quest’ultima per addivenire a una formulazione pienamente coerente con le regole europee.
Risolto questo fronte, altri agitano l’iter della manovra. L’obiettivo è portare la discussione in Aula per il weekend. Il lavoro è tutto sulle coperture. Ci sono i malumori delle forze dell’ordine per la mancanza di nuovi fondi, rinviati a quando il Paese uscirà dalla procedura di infrazione, e ieri quelli dei sindacati dei medici, Anaao Assomed e Cimo-Fesmed, che hanno minacciato lo stato di agitazione se saranno confermate le voci «del tentativo del ministero dell’Economia di bloccare l’emendamento, peraltro segnalato, a firma Francesco Zaffini, presidente della commissione Sanità del Senato con il sostegno del ministro della Salute», che prevede un aumento delle indennità di specificità dei medici, dirigenti sanitari e infermieri. In ballo, affermano le due sigle, ci sono circa 500 milioni già preventivati. E reclamano che il Mef «licenzi al più presto la pre-intesa del Ccnl 2022-2024 per consentire la firma e quindi il pagamento di arretrati e aumenti».
Intanto in una riformulazione del governo l’aliquota della Tobin Tax è stata raddoppiata dallo 0,2% allo 0,4%.
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Riduci
John Elkann (Ansa)
Fatta la doverosa e sincera premessa, non riusciamo a comprendere perché da ieri le opposizioni italiane stiano inondando i media di comunicati stampa che chiamano in causa il governo Meloni, al quale si chiede di riferire in aula in relazione a quella che è una trattativa tra privati. O meglio: è sacrosanta la richiesta di attenzione per la tutela dei livelli occupazionali, come succede in tutti i casi in cui un grande gruppo imprenditoriale passa di mano: ciò che si comprende meno, anzi non si comprende proprio, sono gli appelli al governo a intervenire per salvaguardare la linea editoriale delle testate in vendita.
L’agitazione in casa dem tocca livelli di puro umorismo: «Di fronte a quanto sta avvenendo nelle redazioni di Repubblica e Stampa», dichiara il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia, «il governo italiano non può restare silente e fermo. Chigi deve assumere un’iniziativa immediata di fronte a quella che appare come una vera e propria dismissione di un patrimonio della democrazia italiana. Per la tutela di beni e capitali strategici di interesse nazionale viene spesso evocato il Golden power. Utilizzato da questo governo per molto meno». Secondo Boccia, il governo dovrebbe bloccare l’operazione oppure intervenire direttamente ponendo condizioni. Siamo, com’è ben chiaro, di fronte al delirio politico in purezza, senza contare il fatto che quando il governo ha utilizzato il Golden power nel caso Unicredit-Bpm, il Pd ha urlato allo scandalo per l’«interventismo» dell’esecutivo. Come abbiamo detto, sono sacrosante le preoccupazioni sul mantenimento dei livelli occupazionali, molto meno comprensibili invece quelle su qualità e pluralismo dell’informazione, soprattutto se collegate alla richiesta al governo di riferire in aula firmata da Pd, Avs, M5s e +Europa.
Cosa dovrebbe fare nel concreto Giorgia Meloni? Convocare gli Elkann e Kyriakou e farsi garantire che le testate del gruppo Gedi continueranno a pubblicare gli stessi articoli anche dopo l’eventuale vendita? E a che titolo un governo potrebbe mai intestarsi un’iniziativa di questo tipo, senza essere accusato di invadere un territorio che non è di propria competenza? Con quale coraggio la sinistra che ha costantemente accusato il centrodestra di invadere il sacro terreno della libertà di stampa, ora si lamenta dell’esatto contrario? Non si sa: quello che si sa è che quando il gruppo Stellantis, di proprietà degli Elkann, ha prosciugato uno dopo l’altro gli stabilimenti di produzione di auto in Italia tutto questo allarme da parte de partiti di sinistra non lo abbiamo registrato.
Ma le curiosità (eufemismo) non finiscono qui. Riportiamo una significativa dichiarazione del co-leader di Avs, Angelo Bonelli: «La vendita de La Repubblica, La Stampa, Huffington, delle radio e dei siti connessi all’armatore greco Kyriakou», argomenta Bonelli, «è un fatto che desta profonda preoccupazione anche per la qualità della nostra democrazia. L’operazione riguarda una trattativa tra l’erede del gruppo Gedi, John Elkann, e la società ellenica Antenna Group, controllata da Theodore Kyriakou, azionista principale e presidente del gruppo. Kyriakou può contare inoltre su un solido partner in affari: il principe saudita Mohammed Bin Salman Al Saud, che tre anni fa ha investito 225 milioni di euro per acquistare il 30% di Antenna Group». E quindi? «Il premier», deduce con una buona dose di sprezzo del ridicolo Sherlock Holmes Bonelli, «all’inizio di quest’anno, ha guidato una visita di Stato in Arabia Saudita, conclusa con una dichiarazione che auspicava una nuova fase di cooperazione e sviluppo dei rapporti tra Italia e il regno del principe ereditario. Se la vendita dovesse avere questo esito, si aprirebbe un problema serio che riguarda i livelli occupazionali e, allo stesso tempo, la qualità della nostra democrazia. La concentrazione dell’informazione radiotelevisiva, della stampa e del Web sarebbe infatti praticamente schierata sulle posizioni del governo e della sua presidente». Avete letto bene: secondo il teorema Bonelli, Bin Salman è socio di Kyriakou, Bin Salman ha ricevuto Meloni in visita (come altre centinaia di leader di tutto il mondo), quindi Meloni sta mettendo le mani su Repubblica, Stampa e tutto il resto.
Quello che sfugge a Bonelli è che Bin Salman è, come è arcinoto, in eccellenti rapporti con Matteo Renzi, e guarda caso La Verità è in grado di rivelare che il leader di Italia viva starebbe giocando, lui sì, un ruolo di mediazione in questa operazione. Renzi avrebbe pure già in mente il nuovo direttore di Repubblica: il prescelto sarebbe Emiliano Fittipaldi, attuale direttore del quotidiano Domani, giornale di durissima opposizione al governo. In ogni caso, per rasserenare gli animi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’informazione, Alberto Barachini, ha convocato i vertici di Gedi e i Cdr di Stampa e Repubblica, «in relazione», si legge in una nota, «alla vicenda della ventilata cessione delle due testate del gruppo».
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Riduci
Il premier, intervenendo alla prima edizione dei Margaret Thatcher Awards, evento organizzato all’Acquario Romano dalla fondazione New Direction, il think tank dei Conservatori europei: «Non si può rispettare gli altri se non si cerca di capirli, ma non si può chiedere rispetto se non si difende ciò che si è e non si cerca di dimostrarlo. Questo è il lavoro che ogni conservatore fa, ed è per questo che voglio ringraziarvi per combattere in un campo in cui sappiamo che non è facile combattere. Sappiamo di essere dalla parte giusta della storia».
«Grazie per questo premio» – ha detto ancora la premier – «che mi ha riportato alla mente le parole di un grande pensatore caro a tutti i conservatori, Sir Roger Scruton, il quale disse: “Il conservatorismo è l’istinto di aggrapparsi a ciò che amiamo per proteggerlo dal degrado e dalla violenza, e costruire la nostra vita attorno ad esso”. Essere conservatori significa difendere ciò che si ama».
Pier Silvio Berlusconi (Getty Images)
Forza Italia, poi, è un altro argomento centrale ed è anche l’occasione per ribadire un concetto che negli ultimi mesi aveva già espresso: «Il mio pensiero non cambia, c’è la necessità di un rinnovamento nella classe dirigente del partito». Esprime gratitudine per il lavoro svolto dal segretario nazionale, Antonio Tajani, e da tutta la squadra di Forza Italia che «ha tenuto in piedi il partito dopo la scomparsa di mio padre, cosa tutt’altro che facile». Ma confessa che per il futuro del partito «servirebbero facce nuove, idee nuove e un programma rinnovato, che non metta in discussione i valori fondanti di Forza Italia, che sono i valori fondanti del pensiero e dell'agire politico di Silvio Berlusconi, ma valori che devono essere portati a ciò che è oggi la realtà». E fa una premessa insolita: «Non mi occupo di politica, ma chi fa l’imprenditore non può essere distante dalla politica. Che io e Marina ci si appassioni al destino di Forza Italia, siamo onesti, è naturale. Tra i lasciti di mio padre tra i più grandi, se non il più grande, c’è Forza Italia». Tajani è d’accordo e legge nelle parole di Berlusconi «sollecitazioni positive, in perfetta sintonia sulla necessità del rinnovamento e di guardare al futuro, che poi è quello che stiamo già facendo».
In qualità di esperto di comunicazione, l’ad di Mediaset, traccia anche il punto della situazione sullo stato di salute dell’editoria italiana, toccando i tasti dolenti delle paventate vendite di Stampa e Repubblica, appartenenti al gruppo Gedi. La trattativa tra Gedi e il gruppo greco AntennaUno, guidato dall’armatore Theodore Kyriakou, scatena l’agitazione dei giornalisti. «Il libero mercato è sovrano, ma è un dispiacere vedere un prodotto italiano andare in mano straniera». Pier Silvio Berlusconi elogia, invece, Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport: «Cairo è un editore puro, ormai l’unico in Italia, e ha fatto un lavoro eccellente: Corriere e Gazzetta hanno un’anima coerente con la loro storia».
Una stoccata sulla patrimoniale: «Non la ritengo sbagliata, ma la parola patrimoniale, secondo me, non va bene. Così com’era sbagliatissima l’espressione “extra profitti”, cosa vuol dire extra? Non vuol dire niente e mi sembra onestamente fuori posto che in certi momenti storici dell’economia di particolare fragilità, ci possano essere delle imposte una tantum che vengono legate a livello di profitto delle aziende».
Un tema di stretta attualità, specialmente dopo le dichiarazioni di Donald Trump, è il ruolo dell’Europa nel mondo. «Di sicuro ciò che è stato fatto fino a oggi non è sufficiente, ma l’Europa deve riuscire a esistere, ad agire e a difendersi. Di questo sono certo. Prima di tutto da cittadino italiano ed europeo e ancor di più da imprenditore italiano ed europeo».
Quanto al controllo del gruppo televisivo tedesco ProSieben, Pier Silvio Berlusconi assicura che «in Germania faremo il possibile per mantenere l’occupazione del gruppo così com’è, al momento non c’è nessun piano di licenziamento». Ora Mfe guarda alla Francia? «Lì ci sono realtà consolidate private come Tf1 e M6: entrare in Francia sarebbe un sogno, ma al momento non vedo spiragli».
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