2022-10-15
Ma sui «veti» di Mattarella e Draghi nessuno aveva trovato da eccepire
L’ultimo governo ha avuto una squadra scelta all’oscuro dei leader di quasi tutti i partiti.Ma cosa si è messa in testa, Giorgia Meloni, con questa storia dei veti? Se chiedono in Forza Italia, ma se lo chiedono anche tanti commentatori che, per quanto poco inteneriti dalle vicende umane di Licia Ronzulli, hanno comunque accolto con una certa inquietudine il piglio decisionista della neo premier, seppur in pectore. Come se voler aver attorno una squadra di ministri di pieno fiducia e affidabilità fosse il necessario prodromo alla riconquista dell’Abissinia...Ma, a quanto pare, ci sono veti e veti. E ci sono premier decisionisti e premier decisionisti. L’esperienza del governo che sta salutando gli italiani proprio in questi giorni è a tal proposito eloquente. L’esecutivo di Mario Draghi ha infatti avuto diritto di veto e carta bianca praticamente su ogni aspetto, scelta dei ministri compresa. Ci si ricorderà, a tal proposito, di come i titolari dei vari dicasteri siano stati scelti dall’ex banchiere senza troppa partecipazione delle varie segreterie politiche. E spesso, anzi, proprio contro di loro, scegliendo nel mazzo gli esponenti più lontani dai mal di pancia interni verso il governo di emergenza nazionale che si andava costruendo. Hanno fatto le spese di tale politica l’allora segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, il leader leghista, Matteo Salvini, ma soprattutto la stessa Forza Italia. Ci si ricorda bene, infatti, l’esito di quella vicenda: alla fine, i tre ministri forzisti (Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna), scelti da Draghi tra i più centristi e inclini ad avallare le scelte di Mr Bce, anche a dispetto di Antonio Tajani e Silvio Berlusconi, hanno lasciato il partito. Certo, il governo Draghi nasceva in condizioni particolari, sotto la frusta del Covid e della conseguente crisi economica, in un clima - più o meno spontaneo - di union sacrée. E soprattutto, con un larghissimo, pressoché infinito, mandato da parte di Sergio Mattarella. Non risulta, tuttavia, che le regole costituzionali siano state modificate per l’occasione: segno che il nostro ordinamento, dunque, prevede un potere piuttosto esteso, da parte del presidente del Consiglio incaricato, di scegliersi la propria squadra, secondo le esigenze inderogabili del Paese, non dei partiti (o quanto meno di quelle che l’aspirante premier ritiene tali). Parlando di veti, ci si ricorderà anche di quando la formazione del primo governo Conte sembrò per un attimo arenarsi sullo scoglio della nomina di Paolo Savona quale nuovo ministro dell’Economia. In quel caso fu Mattarella che si mise di traverso, ritenendo che le idee dell’economista in relazione al destino dell’euro fossero inadatte al ruolo, o comunque sgradite in Europa. L’impasse fu superata affidando a Savona il più marginale dicastero per gli Affari europei. Un veto, questo sì, che ha pochi eguali nella storia repubblicana. Che Giorgia Meloni possa gradire profili diversi dalla Ronzulli, quindi, è perfettamente nell’ordine delle cose, oltre che delle prerogative costituzionali affidate a chi ha il compito di formare un esecutivo. Tanto più che, con tutto il rispetto, la Ronzulli ha un curriculum decisamente meno pesante di quello dell’attuale presidente della Consob. Questioni formali a parte, del resto, conta un punto politico semplice e ineludibile: chi ha i voti, ha il pallino in mano, con tanto di onori, ma anche di oneri. Berlusconi, che ha sempre mal sopportato i veti dei suoi alleati più piccoli, è il primo a saperlo.