
Alessandra Ricci non dovrebbe essere riconfermata alla guida di Sace. A quanto apprende La Verità, la decisione, maturata nei vertici governativi, sarebbe la conseguenza diretta di una gestione che ha suscitato critiche sia sul piano delle strategie operative sia sul fronte del clima interno all’azienda. Il ministero dell’Economia e delle finanze, cui spetta la nomina della governance, si prepara a un ricambio ai vertici. In pole per la presidenza si cerca una figura istituzionale vicina agli ambienti governativi, che prenderebbe il posto di Filippo Giansante. Quest’ultimo era stato nominato in Sace dopo il veto del Mef ad Alessandro Rivera, confermando come la presidenza della società, nel tempo, sia stata ricoperta da figure di altissimo profilo come Mario Draghi e Lorenzo Bini Smaghi. Per la nomina dell’amministratore delegato, scelto di concerto con Palazzo Chigi, si starebbe puntando sulla figura di Valerio Borghese, nipote dello storico di comandante della X Mas. Già whistleblower in Mps grazie a cui si scoperchiò lo scandalo di Siena, attualmente operativo in ambito finanziario all’interno della Cassa depositi e prestiti, potrebbe essere l’asso nella manica del governo per dare una svolta alla gestione della società. Alla base del cambio ai vertici, vi sono le scelte contestate dell’amministratore uscente. Sotto la guida Ricci, Sace ha ampliato massicciamente il ricorso alle cosiddette «push strategy», operazioni di garanzia a gruppi stranieri per oltre 10 miliardi di euro, spesso senza alcun ritorno certo per l’economia italiana. Le garanzie sarebbero state concesse anche in contesti giuridici esteri non controllabili. Questo avrebbe esposto lo Stato a rischi legali gravi e alla possibilità di non recuperare i crediti in caso di default.
Altro fronte delicato riguarda la recente possibilità (introdotta quest’anno da Sace) di concedere garanzie pubbliche su operazioni di rifinanziamento. Si tratterebbe di un bel favore alle banche che possono liberarsi del rischio di credito anche su finanziamenti già concessi in passato, trasferendolo allo Stato.
A rafforzare il quadro critico c’è poi il profondo malcontento interno. Le rappresentanze sindacali Fisac Cgil e First Cisl hanno indetto uno sciopero per il 22 maggio, denunciando un clima di tensione, gestione unilaterale e violazioni degli accordi sottoscritti, come quelli del giugno 2024 e del febbraio 2025. Non era mai successo in 70 anni di storia dell’azienda. I lavoratori parlano apertamente di intimidazioni, fuga di professionalità qualificate e percorsi di carriera inesistenti. Le riorganizzazioni interne vengono definite caotiche, con organigrammi inefficaci e incarichi assegnati senza criterio. Anche lo smart working sarebbe stato gestito in contrasto con quanto pattuito. Nonostante i risultati economici positivi per gran parte dovuti alla gestione di un patrimonio di 3 miliardi di liquidità sul conto Sace, il personale non avrebbe visto adeguati riconoscimenti, né economici né professionali al netto di quanto già previsto dal Ccnl. Lo sciopero sarà il primo atto concreto di una protesta che riflette l’urgenza di un cambio di passo ai vertici.






