Per dire che l’Egitto non è sicuro, il giudice di Catania evoca pena di morte (c’è pure negli Usa e in Giappone), abusi sui gay, limiti alla stampa libera: ciò di cui la sinistra qui accusa l’esecutivo. Roma e Bologna intanto si contraddicono sulla gerarchia delle norme.
Per dire che l’Egitto non è sicuro, il giudice di Catania evoca pena di morte (c’è pure negli Usa e in Giappone), abusi sui gay, limiti alla stampa libera: ciò di cui la sinistra qui accusa l’esecutivo. Roma e Bologna intanto si contraddicono sulla gerarchia delle norme.Chi legge La Verità se lo aspettava: nonostante il nuovo decreto Paesi sicuri, trasformato nell’emendamento al dl Flussi depositato ieri alla Camera, i giudici non si sarebbero dati per vinti. Anzi, avrebbero continuato a vanificare i provvedimenti di trattenimento dei migranti nei Cpr; lunedì è successo a Catania. Le toghe si fanno forti della sentenza della Corte Ue, la quale ordina ai tribunali di verificare se la designazione delle mete di rimpatrio rispetti i crismi del diritto europeo. E già qui starebbe un primo inghippo. Il verdetto del Lussemburgo, in effetti, dispone che i magistrati si pronuncino se e quando lo straniero presenta ricorso; i giudici, invece, da Roma alla Sicilia, stanno questionando gli elenchi governativi già in fase di convalida delle misure emesse dai questori. Dopodiché, in ballo non ci sono sottigliezze da leguleio. Sono le motivazioni addotte dai tribunali a sembrare zoppicanti.Il presidente di sezione catanese, Massimo Escher, certifica che l’Egitto non è sicuro. Come mai tanti italiani ci vanno in vacanza? Se l’è domandato Matteo Salvini, ricordando la tragedia di Giulio Regeni, «che merita giustizia», ma sottolineando pure che «quasi un milione» di nostri concittadini viaggia tra le piramidi e il Mar Rosso. «Facciamo ridere», ha insistito il vicepremier, se diciamo che in Egitto si può andare in villeggiatura, ma «è un Paese dove non posso espellere l’accoltellatore di un controllore». Il riferimento, ovviamente, è al capotreno ferito a Genova l’altro ieri. Dunque, cosa ci sarebbe in riva al Nilo di peggiore dei coccodrilli, secondo il giudice della Trinacria?Primo: in Egitto vige la pena di morte. Già. Cosa dire, allora, degli Usa? E del Giappone? Non potremmo rispedire a casa un americano o un nipponico irregolari solo se fossero stati davvero condannati alla pena capitale; che le loro nazioni di provenienza la prevedano, in sé, non è rilevante.Il magistrato però aggiunge che, in Egitto, vi sono «restrizioni alla libertà personale e alla libertà di parola e di stampa», oltre che alla libertà di culto. Non mancano violazioni del diritto «a un equo processo». Quanto frequenti? Il dispositivo cita degli «episodi»; la direttiva Ue si preoccupa di persecuzioni che avvengano «generalmente e costantemente».Ad abundantiam: il Cairo è terra di abusi su persone Lgbti, donne, minori. In più, non ha ratificato le convenzioni che vietano maltrattamenti e torture.L’Egitto è un faro di civiltà? Per niente. Ma se per escluderlo dalla lista dei Paesi sicuri bastano le denunce del magistrato catanese, quale Paese al mondo potrebbe essere considerato sicuro? Della pena di morte negli Stati Uniti e in Giappone abbiamo detto. Ma cosa pensare della «detenzione preventiva»? Non se n’è contestato l’utilizzo persino in Italia? Stando al Consiglio d’Europa, qui gli agenti di polizia si macchiano di discriminazioni razziali. Quanto a libertà di stampa e a tutela delle minoranze sessuali, non occorre nemmeno preoccuparsi di ciò che avviene in tre quarti del pianeta, che sicuro non saremmo in grado di ospitare; è sufficiente sfogliare un quotidiano del gruppo Gedi per apprendere che, con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, omosessuali e giornalisti antigovernativi se la passano male. Sono pretestuose le accuse al Belpaese governato dalla destra? Oppure non siamo il luogo più adatto a offrire asilo?Se c’è qualcosa di generale e costante, sono le bizzarrie nei pronunciamenti dei magistrati. A partire dalla sentenza apripista sull’Albania. Alcuni suoi difetti li ha messi in luce il professor Mario Savino, dell’Università della Tuscia.Il tribunale di Roma si era aggrappato alla sentenza europea per escludere che siano lecite eccezioni «personali» nella definizione di un Paese come posto sicuro. Quel verdetto, tuttavia, si concentra sui territori: devono essere sicuri nella loro interezza. Se uno Stato possa non esserlo per una categoria di individui, tipo gli appartenenti alla comunità Lgbt, sarebbe, secondo Savino, questione controversa, su cui la Corte Ue dovrà esprimersi. Egli ne deduce che «l’assunto del tribunale di Roma circa la simmetria perfetta tra eccezioni territoriali e personali» sia «fallace». Ancora: la sentenza del Lussemburgo «chiarisce che un giudice può sindacare la designazione del Paese terzo come sicuro quando tale designazione rappresenti “l’elemento decisivo della decisione di rigetto” della domanda di asilo». Al contrario, il tribunale di Roma ha attivato «il proprio sindacato d’ufficio a prescindere». Ossia, senza accertare se la designazione del Paese d’origine come sicuro potesse «rappresentare “l’elemento decisivo”» nel rifiuto di accogliere il richiedente asilo. I magistrati appaiono addirittura in contraddizione tra loro. Nella Capitale, Silvia Albano, trincerandosi dietro il primato dell’ordinamento dell’Unione, aveva liquidato la lista dei Paesi sicuri perché, fino a inizio ottobre, era contenuta in un decreto ministeriale: una fonte del diritto subordinata alle direttive di Bruxelles. Eppure, nel motivare il rinvio alla Corte europea della norme italiana, il tribunale di Bologna ha citato proprio quel decreto lì. Lamentando un’incongruenza: il Viminale ammetteva che il Bangladesh fosse sicuro solo in parte; adesso, senza aver aggiornato la scheda tecnica, il governo afferma che il Bangladesh è tutto sicuro. D’accordo. Ma, di grazia, a quale gerarchia delle fonti vogliamo attenerci? Il decreto ministeriale non era fonte secondaria? Dinanzi all’oracolo dell’Ue diventa carta straccia, però può essere sfruttato per questionare la legge italiana? Lo sentite anche voi il rumore di unghie sugli specchi?
Vladimir Putin e Steve Witkoff (Ansa)
Putiferio per le soffiate su una chiamata in cui il mediatore Usa, atteso al Cremlino, dava consigli a Mosca. Il «Guardian» evoca lo zampino di Cia o servizi ucraini, che ad Abu Dhabi hanno visto gli 007 dello zar.
Le manovre diplomatiche per far concludere la crisi ucraina potrebbero trovarsi davanti a uno scoglio. Uno dei principali negoziatori americani, Steve Witkoff, è infatti finito nella bufera, dopo che Bloomberg News ha pubblicato la trascrizione di una telefonata da lui avuta con il consigliere di Vladimir Putin, Yuri Ushakov, lo scorso 14 ottobre. Dal testo è emerso che l’inviato americano ha dato all’interlocutore dei consigli su come lo zar avrebbe dovuto affrontare il colloquio telefonico con Donald Trump, che si sarebbe tenuto due giorni dopo.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Nel parco di Villa Torlonia a Roma, fu il buen retiro di Giovanni Torlonia. Superbo esempio dell'eclettismo Art Nouveau, è sopravvissuta alla guerra, all'incuria e ad un incendio.
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Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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