2021-05-05
Verbali congelati per blindare il processo al Cane a sei zampe?
Marta Cartabia si è svegliata: ha alzato il telefono e ha parlato con il procuratore generale di Cassazione, Giovanni Salvi, chiedendo lumi su ciò che sta accadendo nelle Procure d'Italia a seguito delle rivelazioni di un pentito a orologeria. Il caso è quello suscitato dalle testimonianze a rate di Piero Amara, ex avvocato dell'Eni che da un paio d'anni pare essere diventato l'oracolo di molti pm, i quali incardinano grandi processi, ma talvolta danno la sensazione che invece preferiscano insabbiarli.Se il Guardasigilli si è svegliato, informando il mondo di «monitorare la situazione», non si hanno invece segnali di risveglio sul Colle, che pure, essendo il presidente della Repubblica anche il capo del Consiglio superiore della magistratura, dovrebbe avere altrettanto interesse a «monitorare» e, diciamo noi, forse anche a intervenire. Se ci troviamo in questa situazione lo si deve anche ai pasticci con cui è stato protetto il Csm, che dopo lo scandalo Palamara, avrebbe dovuto essere riformato e invece è stato congelato, come quel pesce avanzato che si mette in freezer nonostante puzzi dalla testa.Ovviamente, noi confidiamo che prima o poi anche il Quirinale si accorga del cortocircuito in cui è finita la giustizia e provveda a mettervi mano: in passato, sollecitammo lo scioglimento del Csm e l'organizzazione di nuove elezioni del parlamentino dei magistrati. Oggi ci pare più attuale una riforma complessiva del sistema che tagli le unghie alle correnti ma, oltre a ciò, crediamo sia necessario un intervento che ponga fine alla spartizione delle nomine ai vertici degli uffici giudiziarie e la finzione dell'azione disciplinare a carico delle toghe. Non parliamo dei giudici beccati con la mazzetta in bocca, ma anche di chi ha trasformato la propria funzione in uno strumento di potere o di lotta politica, una tendenza a cui, dopo trent'anni, occorre porre rapidamente fine.Ciò detto, vorremmo tornare al caso che ha suscitato l'ennesimo terremoto nei tribunali più importanti d'Italia, ossia Milano e Roma. La colpa è certamente di Piero Amara e delle sue testimonianze esplosive ancorché tutte da verificare. Tuttavia, ci domandiamo perché nei confronti suoi e delle sue rivelazioni si sia proceduto con tanta lentezza. Non tanto per la pericolosità di ciò che l'ex legale dell'Eni ha confidato ai magistrati, cosa che sarebbe stata legittima visto che l'uomo aveva tirato in ballo manager, ex ministri e presidenti del Consiglio, alludendo all'esistenza di una pericolosa loggia segreta denominata Ungheria. No, la cautela e il riserbo sarebbero stati più che giustificati dato il materiale scottante che i pm sono chiamati a maneggiare. Ciò che stupisce e che ci induce ad alzare il sopracciglio è che, invece di accertare se Amara stesse dicendo il vero o il falso, si sia temporeggiato per mesi, quasi non si avesse intenzione di agire.Oggi si è saputo che l'avvocato è finito nel registro degli indagati con svariate accuse. Una di queste riguarda la partecipazione a un'associazione segreta, cosa che, dopo la vicenda P2, la legge vieta. L'altra invece riguarderebbe il traffico di influenze, il millantato credito e forse anche la calunnia. Insomma, da un lato si dà credito all'ipotesi di una loggia massonica di cui facevano parte politici e alti funzionari dello Stato, dall'altro si pensa che Amara si sia inventato tutto e sia un gran pallonaro.I pm, in pratica, si tengono aperte tutte le strade e diranno le inchieste che cosa ci sia di vero in ciò che il superteste ha messo a verbale. Tuttavia, resta un interrogativo: perché queste ipotesi non sono state formulate fin dall'inizio? Perché cioè, non si è iscritto subito Amara nel registro degli indagati ipotizzando le varie fattispecie di reato? Le sue rivelazioni risalgono a quasi due anni fa e all'epoca il legale era il grande accusatore del processo Eni, arrivato fino al punto di inzaccherare il presidente del collegio giudicante del processo milanese, il quale fin dal principio non si era dimostrato facilmente influenzabile né dalla difesa né dall'accusa. Cosa sarebbe successo se la sua deposizione contro il giudice fosse stata ammessa? Probabilmente, il presidente del collegio sarebbe risultato incompatibile e avrebbe dovuto dimettersi ed essere sostituito. E se invece si fosse saputo che Amara era indagato per calunnia o per millantato credito, come avrebbe reagito la Corte? Gli avrebbe dato credito perdendo tempo dietro alle sue accuse o avrebbe liquidato la faccenda più rapidamente? E che avrebbe fatto la Procura, avrebbe capito che il processo per le tangenti non stava in piedi o avrebbe insistito, come ha fatto fino all'ultimo, a chiedere condanne esemplari?Ecco, queste sono le domande che ci facciamo. E che ci piacerebbe, una volta risvegliati, si facessero anche coloro che hanno competenza per approfondire.