2022-08-21
«Vi vendevo il mio miele, ora sono al fronte»
Parla Vladimir, un ex manager di un’azienda alimentare che, allo scoppio del conflitto, si è arruolato senza pensarci due volte: «Ero abituato a stare in ufficio in giacca e cravatta, ora le nostre vite sono come congelate. Temiamo l’inverno, sarà durissimo».Niccolò Celesti dal fronte di KhersonLa prima cosa che noti di Vladimir è il suo fare gentile, la voce pacata, lo sguardo dolce. Abbiamo imparato a conoscerlo durante la guerra a Kiev, eravamo ospiti nel bunker della sua squadra il cui compito era di visionare come in una «cabina di regia» i filmati di telecamere e droni nella zona di Irpin e Bucha.Lo abbiamo ritrovato quattro mesi dopo a centinaia di chilometri da Kiev mentre è al comando di una delle unità che stanno facendo la differenza nella guerra di posizione che si è sviluppata in questa area vicino alla città di Kherson occupata dai russi.Durante il sopralluogo in quella che prima della guerra era una casa di risposo in costruzione, diventata poi una base di lancio di missili Grad, veniamo sorpresi da un fitto lancio di bombe a grappolo e siamo costretti a metterci al riparo dentro la struttura in gran parte crollata. Qui, nell’attesa, troviamo il tempo di fargli qualche domanda per capire il punto di vista di un uomo normale, che prima delle guerra non aveva alcuna intenzione di entrare a far parte dell’esercito e che non aveva mai combattuto prima. Gli chiediamo cosa facesse dunque prima della guerra.«Avevo», racconta, «una fabbrica con 50 dipendenti, producevo ed esportavo miele in tutta Europa anche in Italia ma prima della guerra stavo pensando a diversificare il mio business, ho venduto la fabbrica e l’attività e stavo pensando su che altro business buttarmi. II 24 febbraio, quando è scoppiata la guerra, ho capito che prima di fare un altro lavoro avrei dovuto combattere per il mio Paese, quel giorno non ho avuto bisogno di parlare con la mia fidanzata, la mia futura moglie, ci siamo guardati negli occhi e lei mi ha detto: “ho capito, ti sosterrò nella tua scelta”. Cosi l’indomani ho preso mio figlio, l’ho portato dalla mia ex moglie e li ho fatti partire insieme con i miei genitori, sono andato direttamente ad arruolarmi e cosi ci incontrammo con voi reporter nel bunker alla periferia di Kiev». Chiediamo allora a Vladimir come si sia trovato a comandare un’unità. «Quando avevo 22 anni», spiega, «stavo facendo l’università di marketing e parallelamente feci un corso per diventare ufficiale dell’esercito e lo divenni: se segui l’università o fai questo percorso militare non sei obbligato a fare il servizio di leva. Quando sono entrato nei volontari non avevo un addestramento militare avevo una conoscenza teorica del comando e delle procedure e sopratutto dei gradi». Poi è arrivato il conflitto. «La pratica», racconta, «in guerra la fai velocemente. Così quando siamo venuti a combattere qui al Sud dove ormai teniamo duro da mesi e stiamo avanzando, mi hanno affidato il comando di questa unità dove ci sono alcuni ragazzi che hanno anche combattuto più a lungo di me. Il mio vice ad esempio è un soldato che è stato premiato per meriti di guerra, è stato ferito 3 volte in combattimento, gli altri ragazzi vengono da diversi livelli sociali, alcuni sono ricchi di famiglia e potrebbero starsene in vacanza, altri sono stati richiamati alle armi dall’esercito, alcuni sono stranieri, uno è appena uscito dopo 15 anni di galera, eppure si è formato un gruppo affiatato dove ci si guarda le spalle a vicenda. Con loro siamo una grande famiglia, non ho mai avuto problemi di nessun tipo, prendiamo le decisioni insieme, ascolto la loro voce, ho buon senso e la conoscenza della catena di comando, inoltre qui siamo in guerra, i ragazzi sanno che se do un ordine quell’ordine va eseguito ma sanno anche che non gli farei mai rischiare la vita senza senso». Poi aggiunge: «Anche se a volte li devo mandare in una situazione difficile, loro sanno che anche io come loro farò il mio turno, perché sono il comandante ma non ho nessun privilegio, vado sulla linea zero davanti ai russi come tutti loro, dormiamo tutti insieme, non ci sono favoritismi per nessuno qui».Domandiamo come l’esercito supporti il loro lavoro. Vladimir replica: «L’esercito ci fornisce le armi, quelle che sono disponibili e non mi posso lamentare. Abbiamo la speranza che i nostri partner dall’estero ci daranno una mano, noi di armi straniere ne abbiamo viste poche ma quelle poche ci hanno aiutato già tanto, abbiamo una mitragliatrice su ruote del 1946 e i bazooka il cui anno di produzione è il 1965. Stiamo aspettando le armi straniere e quando arriveranno, il giorno della nostra vittoria sarà sempre più vicino, oltre alle armi ci vengono fornite cose basilari come divise, scarpe, cibo, pale, accette, giubbotti e elmetti e anche qualche mezzo. Purtroppo questo non ci basta lo stesso e quindi ricorriamo all’aiuto dei volontari. Quello che non hanno i volontari lo compariamo da soli con i nostri soldi. Quando stavamo venendo qui come volontari per difendere il nostro Paese non pensavamo neanche a uno stipendio, invece non abbiamo solo lo stipendio ma anche una paga per ogni uscita sulle posizioni e per i combattimenti. Con questi soldi facciamo la raccolta tra di noi e compriamo tutto ciò che ci manca o che può darci una mano, che siano quad o moto o visori notturni. Però», aggiunge, «abbiamo tante speranze nei volontari perché anche noi abbiamo delle famiglie che bisogna nutrire e mantenere e non è facile ora senza lavoro e con il Paese da ricostruire». Condividiamo ormai gli stessi spazi da giorni in questa che è la loro base, vediamo che sono costretti a vivere in uno scantinato di una casa in costruzione, le condizioni igieniche non sono ottimali: il bagno esterno, la finestra allargata per poter saltare giù durante i bombardamenti, le giornate passate ad aspettare con il cellulare in mano, i problemi personali di ognuno. E qui, rispetto alle posizioni in trincea, è come stare in hotel. Chiediamo a Vladimir come gestisca mentalmente questa situazione.«Effettivamente», risponde, «non mi sarei mai aspettato di trovarmi in questa situazione e oltre tutto dovrà arrivare l’inverno che in questo territorio sarà durissimo. Quando siamo arrivati in questa casa ho contattato il proprietario chiedendogli se potevano stare qui e creare la nostra base, ci ha detto che andava bene e che avremmo dovuto pagare le spese di elettricità e acqua finché ci saranno. Siamo un gruppo di circa 15-20 componenti e dobbiamo usare lo scantinato della parte che è in costruzione, per motivi di sicurezza non possiamo dormire nelle stanze che ci sono disponibili nella parte di casa finita al piano terra. Oltre a questo non sappiamo per quanto tempo dovremo stare qui, domani potremmo avanzare verso Kherson e sicuramente anche la nostra base dovrà avanzare. Io sono abituato a vestirmi in giacca e cravatta, andare in ufficio con la mia macchina e la domenica io e mio figlio andiamo in campagna con il metal detector, questo è il nostro hobby di famiglia. Per noi ora», conclude, «è tutto “congelato”, è come se le nostre vite fossero in pausa e stiamo aspettando gli eventi, per questo passiamo le nostre giornate non operative facendo le cose di base, cuciniamo, laviamo i nostri vestiti, puliamo le armi, andiamo a sparare e aspettiamo, aspettiamo così tanto che anche solo avere voi reporter qui è già di per se un grande svago per tutta l’unita».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)