
Agli atti la testimonianza di una ex dipendente. E il trattamento inumano riservato dalle coop anche ai profughi dall’Ucraina. Oggi inizia a Latina l’udienza preliminare del processo per bancarotta fraudolenta, frode nelle pubbliche forniture e autoriciclaggio che vede imputati, tra gli altri, la compagna, Liliane Murekatete, e la suocera, Marie Terese Mukamitsindo, del deputato con gli stivali Aboubakar Soumahoro. Il procedimento per i reati fiscali è, invece, già in fase dibattimentale. Intanto dagli atti spuntano storie sempre nuove. Come quella che riguarda presunte valigette piene di contanti trasportate sulla direttrice Latina-Bruxelles. A raccontarla agli inquirenti è stata un’ex operatrice socio-assistenziale che ha lavorato alle dipendenze della coop Karibu, gestita, insieme al consorzio Aid, sino al 2022, dai famigliari del parlamentare di origini ivoriane.La donna, Doriana M., agli investigatori che l’hanno ascoltata il 22 febbraio 2023, ha dichiarato: «Durante il periodo In cui sono stata occupata presso la Karibu, si diceva che la Mukamitsindo andava a Bruxelles con delle valigette. In un’occasione Rudolf W., dipendente della Karibu, mi confidò che la Mukamitsindo andava a Bruxelles portando con sé denaro contante. Successivamente venni a sapere che era notizia comunemente conosciuta all’interno dell’ufficio amministrativo, in particolare da parte di Simona D.. Credo anche che in virtù del rapporto privilegiato che aveva tale William, anche lui fosse a conoscenza di tali trasferimenti di denaro anche perché dal 2017 era l’incaricato alla consegna del contante per i pocket money».Si tratta di dichiarazioni per cui non sarà facile trovare i riscontri e che, forse, poco aggiungono ai reati, assai gravi, già contestati, a partire da quello di autoriciclaggio. Ma che riaccendono i riflettori sul Belgio. Come abbiamo rivelato nei giorni scorsi, l’Olaf (l’Ufficio europeo per la lotta antifrode di Bruxelles) sta indagando sull’utilizzo dei fondi comunitari da parte delle due coop sotto inchiesta. In Belgio la Mukamitsindo e la figlia Liliane hanno fondato ben due associazioni dalle ragioni sociali nebulose che propagandavano il diritto all’eleganza e alla bellezza, con tanto di team di esperti (estetiste comprese). Nelle carte delle inchieste di Latina compaiono anche le numerosissime spese voluttuarie effettuate con i soldi delle coop a Bruxelles.Inoltre, agli investigatori Liliane ha dichiarato di essere proprietaria in Belgio di ben tre appartamenti, anche se non è chiaro con che soldi siano stati acquistati. Adesso spunta la pista dei contanti. Suggestiva, ma tutta da dimostrare. La testimone Doriana, a processo, sarà chiamata a confermare queste dichiarazioni e magari in aula altri testimoni le corroboreranno. Gli stessi che, magari, confermeranno che Liliane, al contrario di quanto da lei sempre sostenuto, fosse perfettamente al corrente di quanto accadesse nelle cooperative e, anzi, le guidasse. Per esempio la già citata Doriana ha detto: «Si presentava come responsabile dell’ufficio di presidenza e ritengo che collaborasse con la madre, Mukamitsindo. Verso gennaio 2017, se non ricordo male, quest’ultima si sottopose a un intervento chirurgico e la Murekatete divenne la responsabile della cooperativa». Una versione confermata da Alessandro V.: «A causa di problemi di salute della Mukamitsindo, se non ricordo male nel 2018, la figlia Liliane prese la direzione della cooperativa Karibu, di fatto a mio avviso peggiorando la situazione nel centro». Stefania D. si è unita al coro: «È arrivata tra il 2016 e il 2017 e a suo dire ricopriva l’ufficio di presidenza che non si è mai capito cosa potesse significare, presumibilmente penso che collaborasse con la madre alla gestione della Karibu».Il mediatore linguistico Youssef K. ha offerto una versione di una Liliane super operativa nella primavera del 2022, quando la donna aveva già partorito e con il marito era sul punto di acquistare la villetta di Casal Palocco in cui vivono. Sono le settimane a ridosso dell’esplosione dello scandalo (autunno del 2022) e della campagna elettorale di Soumahoro. Ecco che cosa ha dichiarato Youssef: «Ricordo, poi, di aver visto in due occasioni, a partire da marzo/aprile 2022 presso l’ufficio Aid di Latina, Liliane che parlava con la madre e il fratello. La stessa si spostava, con loro, a bordo del furgoncino riportante il logo “Sprar Aid”, per recarsi presso le varie strutture». Operazioni che avrebbe svolto avendo per la testa la ristrutturazione della nuova casa. «Un mio amico mi riferì che Liliane chiedeva se ci fosse qualche elettricista per fare del favori presso la villetta che avevano acquistato a Roma». Ma, nel frattempo, Youssef e il collega Mohamed E. non riuscivano a spuntare contratti regolari per poter ottenere permessi di soggiorno definitivi. «Mi offrirono circa 1.200 euro al mese (era l’inizio di maggio del 2022, ndr) ma, ad oggi», spiega Mohamed nel gennaio del 2023, «ho percepito all’incirca 200 euro senza aver mal stipulato un contratto di lavoro». In seguito alle sue rimostranze, ad agosto del 2022, gli sarebbe stato fatto firmare «una nota relativa al conferimento di una prestazione occasionale riportante l’importo massimo di 5.000 euro l’anno». Youssef rivendica un credito di 25.000 euro per il lavoro svolto e mai pagato e aggiunge: «Per avere quanto mi spettava, mi hanno chiesto di domandare a dei miei conoscenti di emettere false fatture in modo tale da consentire loro di procedere ai pagamenti». E le fatture avrebbero dovuto essere di «importo cospicuo». Ma se la Uiltucs di Latina, guidata dal combattivo Gianfranco Cartisano, dopo aver denunciato il penoso trattamento riservato ai lavoratori, ha ottenuto che molti di questi venissero ammessi come parti civili nei processi, difficilmente gli sventurati ospiti delle cooperative, oggi affidate ai commissari liquidatori, troveranno adeguato risarcimento. In quelle specie di gulag per migranti che erano, stando alle accuse della Procura di Latina e della Guardia di finanza, gli alloggi gestiti dalle cooperative dei famigliari di Soumahoro, sono finiti non senza danni anche diversi rifugiati ucraini. Toccante è la testimonianza di una mamma, Olga, e del suo bambino, che in quel momento frequentava la seconda elementare.La donna, affidata al consorzio Aid, nel 2019 ha presentato denuncia ai carabinieri con l’aiuto di un’interprete, Ulyana. Viveva in un piccolo appartamento con una sala, due stanze da letto e due bagni, insieme con altre tre signore, tutte richiedenti asilo come Olga, e i loro tre figli. «In ogni camera, dove non ci sono armadi, dormono quattro persone, in letti attaccati uno all’altro e con materassi sporchissimi, molto vecchi e rovinati», si legge nella denuncia. A causa delle cattive condizioni igieniche il figlio della quarantaseienne ucraina avrebbe avuto un’infezione da stafilococco aureus. Foto e referto agli atti attestano la presenza nel piccolo, al momento della visita, di numerose colonie del batterio, di un’ulcera sulla guancia, di eruzioni cutanee sotto forma di bolle e di un attacco d’asma. Il verbale continua: «Per poter guarire, il bambino dovrebbe abitare e soprattutto dormire in un posto pulito, in condizioni igieniche normali e non come avviene adesso che, per questioni di spazio e di scarsa pulizia, è costretto a dormire in una stanza con altre persone e su di un materasso molto sporco, con il rischio di infettare gli altri bambini o di aggravarsi». Quando un dottore prescrisse alcuni controlli sul pargolo, che aveva un occhio gonfio e bolle su parte del corpo, la mamma chiese aiuto alla coop, spiegando di avere bisogno di essere accompagnata alla Asl o in ospedale, ma si sarebbe sentita rispondere «che erano fatti loro» e che agli interlocutori «non interessava nulla». Per questo, «Olga, per curare il figlio, ha dovuto effettuare quegli esami e la visita dermatologica, privatamente, pagandoli con quei pochi euro che era riuscita a mettere da parte con i 5 euro che le davano quotidianamente per lei e per il figlio».Nel frattempo Liliane Murekatete, dirigente della Karibu, poteva partorire in una clinica privata con camera singola (il supplemento da 450 euro era stato pagato con i soldi della Karibu). Ma se una sola denuncia potrebbe apparire di parte, allora conviene leggere le testimonianze degli operatori che hanno lavorato per Marie Terese e i suoi figli, Liliane in testa. Loreta P., dopo aver accusato i suoi ex datori di lavoro di «negligenza» e «menefreghismo», ha dichiarato: «Per quanto riguarda il progetto Sprar, gli immobili erano in pessime condizioni igienico sanitarie, addirittura in alcune occasioni vidi che c’erano anche le blatte». La Mukamitsindo avrebbe preso provvedimenti solo in vista delle visite ispettive. «Sono stata testimone anche della mancanza di acqua calda, degli scarichi non funzionanti e materassi ammuffiti», ha concluso Loreta. Doriana le ha fatto eco: «In alcuni casi nelle abitazioni ho trovato delle blatte e delle cimici nei materassi. Per le blatte ogni tanto mi mandavano dei prodotti con i quali provvedevo io stessa alla disinfestazione, mentre per le cimici nulla potei fare poiché occorreva cambiare probabilmente i materassi». In un appartamento che ospitava mamme e due neonati, un infisso sarebbe sigillato con il silicone impedendo il ricambio dell’aria. «Nella stessa abitazione ricordo che mancava l’acqua calda e in cucina c’erano perdite di gas. Addirittura ricordo che, in alcuni casi, mancava il latte per i neonati tanto che una volta una mamma dovette dare al suo neonato un biberon contenente acqua e yogurt alla fragola», ha rincarato Doriana. La quale, in un’altra occasione, aveva parlato anche di «vermi lunghi così».Stefano C. ha spiegato, che a causa della mancanza di liquidità, a partire dal 2019 aveva registrato «difficoltà nel cambio delle lenzuola e nelle forniture di vestiario», mentre «in alcuni periodi succedeva che non venissero acquistati generi alimentari durante la settimana, per cui o ci si arrangiava con quello che c’era». Alessandro V. ha aggiunto particolari al triste scenario: «Per alcuni periodi è mancata l’acqua calda, i riscaldamenti non funzionavano, scarseggiavano i detersivi, gli alimenti risultavano non graditi agli ospiti. I ragazzi manifestarono nei miei confronti la loro insoddisfazione a tal punto che, ricordo, ad aprile o a maggio del 2018 gli stessi migranti, per protesta, bloccarono il centro di accoglienza […]. Grazie all’intervento delle istituzioni e di Liliane Murekatete per conto della Karibu, riuscimmo a sbloccare la situazione con delle promesse. Inizialmente la situazione migliorò, ma nel corso del 2018 ci fu nuovamente un costante peggioramento della situazione». Secondo i testimoni, dieci minori non accompagnati avrebbero vissuto per un lungo periodo con pochissimo cibo, senza acqua calda per la rottura della caldaia mai riparata e senza ricambio della biancheria personale e comune. Non avrebbero nemmeno ricevuto i soldi dei pocket money e per questo erano alla continua ricerca di lavoretti in autolavaggi o negozi di frutta e verdura. Questa era l’Italia dell’accoglienza ai tempi dei buoni.
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Giusi Bartolozzi (Ana)
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