2024-11-04
Usa 2024: quali saranno le conseguenze per Roma in Africa e Medio Oriente
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Giorgia Meloni durante un incontro con il presidente tunisino Kais Saied (Ansa)
Arrivati ormai alla vigilia del voto americano, è forse utile interrogarsi su che cosa cambierebbe per la politica mediorientale e africana dell’Italia in caso di vittoria di Donald Trump o di Kamala Harris.A livello generale, da presidente, la candidata dem proseguirebbe sostanzialmente sulla linea tracciata da Joe Biden. E non è affatto detto che per Roma sarebbe una buona notizia. Innanzitutto, la Harris avrebbe intenzione di nominare consigliere per la sicurezza nazionale quel Phil Gordon che, nel 2015, fu tra gli artefici del controverso accordo sul nucleare iraniano. Questo vuol dire che, con ogni probabilità, la candidata dem non rinuncerebbe alla politica distensiva, portata avanti da Biden nei confronti di Teheran. Ciò contribuirebbe però a isolare ulteriormente Israele e a gettare di nuovo i sauditi tra le braccia di russi e cinesi. In questo quadro, l’Iran si sentirebbe maggiormente baldanzoso e potrebbe cercare di rafforzare il network terroristico regionale che, al momento, Israele è riuscito a decapitare o comunque a indebolire. Senza trascurare che, sulla scia di Mosca, Teheran sta rafforzando anche i suoi legami con i Paesi golpisti del Sahel: Mali, Niger e Burkina Faso. Infine, ma non meno importante, il Partito democratico appare storicamente più accomodante nei confronti della Fratellanza musulmana. Questa circostanza potrebbe compromettere ulteriormente i rapporti tra Washington e il presidente tunisino, Kais Saied, su cui Roma ha deciso invece di puntare per costruire una partnership in materia di contrasto all’immigrazione clandestina. Ricordiamo che Saied è osteggiato in patria dal partito Ennahda, che è storicamente legato alla Fratellanza musulmana. Insomma, una vittoria della Harris rischia di rendere ancora più instabile Medio Oriente, Maghreb e Sahel: non esattamente una buona notizia per l’Italia.Di contro, in caso di ritorno alla Casa Bianca, Trump ripristinerebbe la politica della “massima pressione” su Teheran, promuovendo al contempo la rinnovata convergenza tra israeliani e sauditi. Rispolvererebbe, in altre parole, la logica degli Accordi di Abramo che metterebbe gli ayatollah all’angolo, impedendo loro di conseguire l’arma atomica. Ciò infliggerebbe un duro colpo anche alla loro capacità di ricostituire il proprio network regionale. Inoltre, in questa situazione, il regime khomeinista si troverebbe in difficoltà nello stesso Sahel. Un ulteriore aspetto da considerare è che Trump, quando fu presidente, assunse una linea ostile nei confronti della Fratellanza musulmana: il che rappresenterebbe una buona notizia per Roma soprattutto nei suoi rapporti con Tunisi. Infine, cosa ancora più importante, non è escludibile che Trump possa cercare di estendere gli accordi di Abramo al Maghreb: soprattutto Tunisi e Tripoli, nel recente passato, sono sembrate timidamente aprire alla possibilità di una normalizzazione dei rapporti con Israele. Se ciò dovesse accadere, il governo di Giorgia Meloni potrebbe fungere da mediatore, integrando gli Accordi di Abramo nel Piano Mattei. D’altronde, i repubblicani non si fidano di Emmanuel Macron in Nord Africa. Una ragione in più per portarli a scommettere sull’attuale inquilina di Palazzo Chigi.
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)
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