2022-04-06
L’urlo del Donbass: «Macellati anche noi ma l’Occidente tace»
La presidente della commissione sui crimini ucraini a Lugansk: «Ci sono barbarie e fosse comuni da 8 anni. Ma voi dove eravate?».«Ora parlate di genocidio? E negli ultimi otto anni dove siete stati?». Anna Soroka è vice ministro degli Esteri e presidente della Commissione speciale per i crimini politici dei battaglioni ucraini della Repubblica popolare di Lugansk. Da qualche tempo una parte del suo lavoro consiste nel raccogliere materiale su quanto è avvenuto nella sua terra dal 2014 a oggi. Si tratta di collezionare testimonianze, fotografie e racconti dei morti del Donbass. O, peggio, si tratta di identificare corpi estratti dalle fosse comuni. «Sono dottore in legge», ci racconta. «Prima della guerra ero ufficiale della polizia ucraina. Ma quando ho visto che cosa avveniva, quando hanno iniziato a bombardarci, ho sentito il dovere di schierarmi dalla parte del nostro popolo, e non del governo ucraino, perché il mio giuramento di fedeltà era verso il popolo. Sono stata testimone diretta dei crimini compiuti dall’Ucraina. E per me è stato molto doloroso, da donna di legge, vedere che lo Stato in cui vivevo violava ogni norma possibile. Tutti però hanno dimenticato che cosa è successo qui. Forse voi non lo sapete, ma qui ci hanno tagliato l’acqua, i telefoni, abbiamo avuto periodi in cui non si potevano nemmeno pagare le pensioni. Noi vogliamo solo che tutto questo finisca: se avessimo una macchina del tempo vorremmo tornare a come si viveva prima del 2014». Il suo tono è calmo, non s’incrina nemmeno quando le chiediamo di Bucha, delle foto dei cadaveri sulle strade, dell’accusa rivolta ai russi di essere criminali di guerra e macellai. «Credo che si tratti di falsa informazione. Siamo abituati da troppo tempo a vedere come lavorano gli ucraini, a vedere come creano le notizie ad arte. Forse se si facesse una indagine indipendente la verità verrebbe fuori. Mi viene quasi da ridere a pensare che l’Occidente crede per partito preso a quello che viene raccontato. Abbiamo persino visto dei morti a terra con le fasce bianche, che sono quelle che contraddistinguono i filorussi». Che i corpi freddi siano russi o ucraini, lo spettacolo offerto dalle immagini del conflitto è abominevole. E non è affatto diverso da quello fornito dalle immagini raccolte nel Donbass negli ultimi anni. Scorrendo le fotografie si rintraccia un identico orrore, una eguale brutalità. «Anche noi abbiamo trovato fosse comuni. A partire dal 2021 abbiamo cominciato ad aprirle, a disseppellire i corpi nel tentativo di dare un nome a chi era stato buttato lì dentro. L’Occidente vuole far passare gli ucraini per buoni e noi per bestie, ma le cose stanno in maniera diversa», dice il viceministro. «È dal 2014 che noi subiamo bombardamenti, e mentre le bombe cadevano e la gente moriva il governo ucraino diceva che ci bombardavamo da soli, o che i morti erano causati dall’esplosione delle caldaie o cose di questo tipo. I massacri e le persecuzioni non sono avvenuti soltanto nel territorio delle nostre repubbliche, ma anche nei territori sotto controllo ucraino. Chi parlava russo o non era d’accordo con il governo è stato costretto a vivere nel terrore, rischiava di essere ucciso o incarcerato. Di fatto il governo ucraino ha lasciato mano libera ai vari battaglioni, ad esempio Aidar, che hanno ucciso, torturato e fatto sparire chiunque si rifiutasse di sostenerli. Chi parlava russo rischiava la vita». Riportiamo il discorso su Bucha, e il viceministro non mostra dubbi: a suo dire, ciò a cui stiamo assistendo è una manipolazione mediatica. «Noi siamo abituati a questo genere di cose, al mondo in cui si comportano il governo ucraino e i suoi sostenitori occidentali, a partire dagli Stati Uniti. I fatti vengono capovolti, ogni volta», spiega. «Il bianco diventa nero, i buoni diventano cattivi, tutto è ribaltato. Io vi posso raccontare che cosa è successo da quando è iniziata questa guerra, circa otto anni fa. Non parlo soltanto di crimini, ma di cose davvero selvagge. Cito solo alcuni fatti inconfutabili, che sono stati riconosciuti come veri persino dai giudici ucraini: la strage di Odessa, i bombardamenti del 2 giugno 2014 su Lugansk, il bombardamento del 2 luglio 2014 a Stanytsa Luganskaia. In luglio e agosto del 2014 sono morte 360 persone solo per i bombardamenti aerei, senza contare i morti per gli altri attacchi. Lugansk era circondata da ogni parte, solo gli ucraini potevano bombardare, quindi non sto inventando nulla». Dopo le bombe, sono arrivati i militari e le milizie sul terreno: Azov, Aidar... Gli stessi guerrieri brutali che oggi vengono intervistati dai giornali italiani. «Lo Stato ucraino ha sempre fatto finta di non vedere che cosa facevano questi battaglioni, che hanno potuto agire indisturbati. Tutto questo è avvenuto con il benestare dell’Occidente, e degli Usa in particolare. Nessuno ha aperto bocca su questi crimini», accusa la Soroka. «Ma ripeto, anche nei territori ucraini sono state approvate leggi pesantemente discriminatorie. Vi chiedo una cosa: pensate alla Catalogna o ai Paesi Baschi. Vi risulta che siano mai stati bombardati? Perché in Belgio si possono parlare tre lingue e qui a noi è vietato per legge di parlare russo? A voi sembra normale?». No, in effetti non lo è. È vero che non tutti, in Ucraina, la pensano come i russofoni delle repubbliche popolari. Ma agli uomini e alle donne del Donbass è chiarissimo quale sia il versante su cui collocarsi. «Per noi l’operazione russa è stata una operazione di salvataggio», continua la Soroka. «Vi invito a guardare come sono le città sul confine con l’Ucraina. Non c’è più una casa intera, le persone - bambini compresi - vivono ancora nelle cantine. E questo accade da anni. Se gli ucraini avessero voluto la pace avrebbero potuto rispettare gli accordi di Minsk già dal 2015. Noi li abbiamo sempre rispettati: è l’Ucraina che li ha violati. Noi qui siamo nella nostra terra», sospira, «il nostro obiettivo è solo tornare a vivere dignitosamente. Noi vogliamo vivere in pace, vogliamo avere la libertà di parlare russo, e ovviamente consentiremo di parlare anche l’ucraino. Vorremmo poter riprendere a vivere, siamo un popolo di lavoratori e vorremmo che riprendessero a funzionare le industrie, che la gente potesse tornare a vivere nelle proprie case». Vorrebbero la pace, ma la pace non c’è. Otto anni sono passati, i giorni scorrevano sorvolando le fosse comuni.