2018-09-14
Addio a Guido Ceronetti, uno scettico mai ostaggio della corrente
È morto a 91 anni l'intellettuale invisibile più urticante del nostro terzo millennio. Giornalista, scrittore, filosofo, traduttore di classici, drammaturgo, teatrante orgoglioso delle sue marionette, polemista instancabile e dolcemente insopportabile.«L'uomo è perduto qualunque cosa faccia». Ottimismo sfrenato, cappello floscio e camicia felpata a quadretti, Guido Ceronetti sembrava sempre il viandante uscito dal bosco dopo una battuta a funghi in un'alba del 1952. Antimodernista, anticlericale, refrattario alla società iperconnessa e banale (solo tre anni fa si arrese con ribrezzo al telefonino), l'intellettuale più urticante del nostro terzo millennio è morto ieri a 91 anni a Cetona nell'immobile medioevo toscano, ma è più vivo e vitale di tutti i garruli seguaci del progresso fine a sé stesso. Se n'è andato in casa dopo una broncopolmonite perché detestava gli ospedali e ripeteva come una supplica: «Non ho paura di morire, ma di soffrire in camicia da notte e ciabatte aspettando la dama nera sotto una luce al neon».Affermare che Ceronetti è stato un grande significa attirarsi subito una maledizione perché l'uomo rifuggiva anche i complimenti. Giornalista, scrittore, filosofo, traduttore di classici (Marziale, Catullo, Giovenale, Sofocle), drammaturgo, teatrante orgoglioso delle sue marionette, polemista instancabile, rappresentava l'intellettuale invisibile, colui che non trovavi mai agli aperitivi letterari ma sempre quando cercavi un punto di vista spiazzante. Era dolcemente insopportabile fin dal primo approccio. Per capirlo basta ricordare un suo brano immortale: «La domanda più indiscreta, più insolente, più insoffribile, e la più comune anche, la più poliglotta, la più persecutoria, al telefono e faccia a faccia; la domanda che mette alla tortura chi ama la verità perché la si formula per avere in risposta una miserabilissima bugia è: Come stai?».Nato a Torino sotto il fascismo (24 agosto 1927), cominciò a scrivere dopo la guerra sui giornali e non ha più smesso. Libri come La difesa della luna, La carta è stanca, Un viaggio in Italia, Pensieri del tè, La pazienza dell'arrostito, Lo scrittore inesistente, Oltre Chiasso, Insetti senza frontiere, L'occhio del barbagianni, La ballata dell'infermiere, Tragico tascabile, Sono fragile sparo poesia sono ormai dei classici a cominciare dai titoli surreali che lo avvicinano ad essere un Leo Longanesi più profondo.Con la giovanissima moglie Erica Tedeschi, nel 1970 inventò il Teatro dei Sensibili, improvvisazioni per marionette nel soggiorno di casa ad Albano Laziale. «Facevo io solo una ventina di voci diverse». La trovata fu definita geniale e portata in giro per l'Europa. Alle rappresentazioni partecipavano Federico Fellini, Eugenio Montale, Guido Piovene, Natalia Ginzburg, Luis Bunuel.Originale, quintessenza dello scettico blu, Ceronetti non ha avuto paura di nuotare per mezzo secolo controcorrente. In un'Italia innamorata dell'amico amerikano fu contrario all'esplorazione dello spazio definendola «massima espressione della smisurata vanità umana». E finirà per prendersela anche con l'astronauta Samantha Cristoforetti. In un'Italia permeata dal culturalismo di sinistra, lui che amava soprattutto Louis Ferdinand Céline non poteva che mandare tutti al diavolo. «Mi trovai ad ascoltare, davanti a una folla oceanica perdutamente bisognosa di essere ingannata, un discorso unitario di Pietro Nenni e Palmiro Togliatti, i due capi dei grandi partiti di massa. Ma era la prosecuzione di quegli altri discorsi, era lo stesso identico vuoto di verità. E quelli sono stati i padri fondatori». Arrivò a litigare anche con il pensiero unico della retorica partigiana, sostenendo che le Fosse Ardeatine «furono un crimine commesso da entrambe le parti ed Erich Priebke fu una vittima di una giustizia dell'odio».In una graduatoria del tutto casuale, Ceronetti non ha mai metabolizzato la motorizzazione di massa, l'urbanizzazione esagerata, il mito del traffico e dei centri commerciali, l'inquinamento in tutte le sue forme, lo spopolamento delle campagne. Ma anche la procreazione assistita e la medicina moderna. Da vegetariano ha scritto pagine feroci sugli allevamenti intensivi. Da nostalgico cercatore di funghi del 1952 non poteva che odiare la rivoluzione digitale, liquidando il cellulare come «una pulce che ha lo stomaco di un elefante». E il web come «uno sterminato luna park senz'anima».Faceva vita ritirata, quasi ascetica, sostenuto economicamente dalla legge Bacchelli con 18.000 euro l'anno. Non sopportava i premi, ha accettato solo L'Inquieto dell'anno a Finale Ligure. Negli ultimi tempi, costretto a usare il deambulatore per muoversi, pareva un orgoglioso santone millenarista. Nemico della superficialità della politica, deluso da un'Italia sempre più distante e becera, definiva la nostra «una democrazia strangolata sul nascere da tre poteri con il verme solitario, democristiano, comunista e sindacale». Sugli italiani la pensava come Indro Montanelli. «Siamo italofagi, non lasceremo nulla di vivo in questa meravigliosa penisola. Macelleremo, massacreremo, divoreremo tutto». Possiamo andare a dormire tranquilli.
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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