2023-10-19
Rettori «estremisti» in crisi. I mal di pancia dei donatori spaventano le università Usa
Manifestazione pro Palestina alla Columbia University di New York (Getty Images)
Il crollo dei finanziamenti dopo le violente manifestazioni pro Palestina fa discutere. I dirigenti politicizzati sono contestati. E i laureandi temono per i loro futuri lavori.«Non staccate più assegni», ha esortato Marc Rowan, patrimonio di 5,7 miliardi di dollari, rivolgendosi ad altri miliardari che, come lui, finanziano le università americane. Ex alunno della UPenn, Rowan ha versato all’ateneo 50 milioni di dollari. Gli è bastato vedere il distacco con cui la sua e tante altre università Usa hanno accolto la notizia degli attacchi di Hamas per sospendere il finanziamento e animare la «rivolta dei donatori». «Siamo stati troppo in silenzio mentre gli ideologi si appropriavano delle nostre università. In tutto il mondo accademico, gli amministratori hanno espresso una ripugnante equipollenza morale tra vittime e carnefici. Quella che dovrebbe essere la missione delle nostre istituzioni universitarie è stata malamente barattata con l’ideologia politically correct», ha dichiarato. Dopo di lui, una lunga lista di donatori ha ritirato i finanziamenti da UPenn: all’ex ambasciatore Jon Huntsman e al venture capitalist David Magerman si sono aggiunti il miliardario di hedge fund Cliff Asness e Ron Lauder, erede della società di cosmetici Estée Lauder. Il rettore Liz Magill ha fatto mea culpa, ma fuori tempo limite. Il fiduciario dell’università Vahan Gureghian ha chiesto a Magill di dimettersi: «Non è all’altezza dell’incarico». Negli ultimi due giorni hanno interrotto le donazioni anche Daniel Lowy, fondatore di Emu Health e il miliardario Jonathan Jacobson.Più che le proteste degli studenti, a indignare i finanziatori sono state le asettiche reazioni dei rettori: quello della Cornell University, ad esempio, si è giustificato lamentando che è «impossibile rispondere a tutte le tragedie del mondo». Minouche Shafik, rettore della Columbia University, deve ancora condannare esplicitamente Hamas. Quello della Northwestern University ha dichiarato che l’ateneo «non intende fare una dichiarazione istituzionale». Più articolata la replica di Stanford: «Condanniamo il terrorismo come questione morale», ha dichiarato Richard Saller, ma al tempo stesso «crediamo che sia importante che l’università si astenga dal prendere posizioni su questioni politiche complesse». Dimenticando però tutte le bandiere ucraine che sventolano da due anni nei campus statunitensi, compreso il suo. La verità è che le autorità universitarie, sempre loquaci quando si tratta di discettare di cambiamenti climatici, guerra in Ucraina o Roe v. Wade, la sentenza della Corte Suprema sull’aborto, hanno offerto in questa settimana equivoci silenzi sugli attentati di Hamas. L'ideologia prevalente nelle università americane prevede che il «misgendering» e il «linguaggio pericoloso» debbano essere puniti, ma sugli attentati terroristici è calato un silenzio assordante.L’ortodossia illiberale dei campus americani ha lasciato, in questi anni, molte vittime sul campo: Thomas Smith, professore di diritto all’Università di San Diego, nel 2021 ha osato mettere in dubbio la teoria dell’origine naturale del coronavirus. Sessanta studenti lo hanno denunciato per «cospirazione». Smith ha dovuto rimangiarsi tutto e l’anno scorso è andato in pensione anticipata. Leslie Neal-Boylan, ex preside della scuola per infermieri dell’Università del Massachusetts, è stata licenziata per aver scritto in una email «black lives matter ma anche everyone’s life matter». La docente di diritto Gail Heriot ha lasciato il suo ateneo per aver parlato degli effetti negativi dell’affirmative action. Carole Hooven, biologa evoluzionista di Harvard, è stata bollata dall’università come «transfobica e pericolosa» dopo aver dichiarato a Fox News che «ci sono due sessi, maschi e femmine». Secondo il database Scholars Under Fire, i professori censurati negli atenei americani nel 2000 erano soltanto quattro, nel 2021 sono saliti a 213. Muoversi nel mondo accademico americano oggi, dicono i professori «esodati», equivale a stare in un campo minato: o parli, e accetti che la tua vita professionale diventi un campo di battaglia, o ti autocensuri, ma perdi la dignità.Anche molti studenti che in questi giorni si sono schierati con Hamas sono tornati sui loro Passi per non perdere opportunità professionali: Ryna Workman, presidente della Student Bar Association della New York University, ha appreso che lo studio legale che le aveva appena offerto un lavoro e uno stipendio a sei cifre, le ha annullato la proposta dopo che la studentessa aveva scritto che Israele era «la sola responsabile di questa tremenda perdita di vite umane». Subito dopo, tutti gli studenti che avevano precipitosamente apposto la loro firma nella lettera che scagionava Hamas, spaventati dalle conseguenze, hanno fatto dietrofront: in poche ore, della dichiarazione originale non è rimasto un solo firmatario.I licenziamenti dei professori non politically correct e la retromarcia degli studenti pro-Hamas rappresentano due facce della stessa medaglia. Gli atenei americani, che vivono di finanziamenti dei privati (solo la UPenn ha ricevuto 21 miliardi di dollari) sembrano aver svenduto la loro anima. In quest’ambiente così asfittico, l’unico sentimento che si propaga a macchia d’olio è l’odio, di tutti contro tutti.
Jose Mourinho (Getty Images)