
Il tedesco Udo Gümpel è soltanto la punta dell'iceberg: in televisione si susseguono opinionisti di tutto il mondo, da Alan Friedman a Rula Jebreal, che fanno carriera con minacce e insulti. Colpa pure dell'esterofilia dei conduttori.Se in una strada notturna di Roma incontrate un signore paonazzo con una lanterna accesa che bofonchia un grammelot, non è Diogene che cerca l'uomo ma Udo Gümpel che cerca fascisti immaginari. Se allo stadio Olimpico vi trovate di fianco a un ultrà con le mani a megafono sulla bocca che insulta gli italiani delle due squadre non indignatevi, è Udo Gümpel che si allena per il prime time. Il giornalista tedesco, corrispondente dell'emittente Rtl, è la punta di diamante di una task force di moda: gli odiatori dell'Italia a prescindere.Abitano nei talk show di tutte le reti censite (anche grazie all'esterofilia dei conduttori che li invitano senza sosta, e così diventano corresponsabili delle loro tirate) e si chiamano Tobias Piller, Alan Friedman, Rula Jebreal, eredi naturali della capostipite degli antipatizzanti di professione: Cayetana De Zulueta, detta Tana. Tutti hanno tre caratteristiche dominanti. Sono corrispondenti circonfusi dalla Grande Bellezza romana (giacche di velluto, buffet babilonesi, fritto misto a Ostia). Sono «sinceramente democratici», quindi adorano le molli penombre del Pd in declino e detestano Matteo Salvini come detestavano Silvio Berlusconi. Considerano i populisti il male assoluto e gli italiani degli imbecilli che non sanno rinunciare a vivere, non sanno pagare le tasse e dal 4 marzo non sanno più neppure votare. Indro Montanelli li avrebbe battezzati «esploratori dell'ovvio». Sono tutti molto politicamente corretti, ma nessuno s'era mai degradato in diretta con i malinconici motteggi scimmieschi di Gümpel. Lui è il leader incontrastato; saltabecca da Unomattina a Matrix passando per Agorà e Cartabianca, e lascia cascare su un popolo che disistima le sue opinioni ansiogene. Non commenta, ordina. Ha tre totem assoluti: lo spread, le ricette di Mario Monti e Angela Merkel, della quale è devotissimo corifeo. Quando parla di economia capisci al volo che non vuole spiegartela, ma fartela ingoiare con sadismo: «Dite al governo 5 stelle e Lega che la pacchia del quantitative easing sta per finire, il rubinetto Bce si chiude». Quella di «Mandolino» Gümpel non è un'operazione divulgativa ma un'offensiva delle Ardenne. Una sera dopo un dibattito un giornalista del Corriere della Sera - quindi con la patente democratica dalla nascita - rivelò: «Ancora cinque minuti con questo tedesco in studio e prendevo la tessera della Lega». Salvini, che non ha la stessa pazienza, lo ha liquidato così: «Gümpel se ne torni a Berlino, una birretta fredda e un bel würstel».Laureato in fisica delle particelle elementari, 21 anni fa si è trasferito in Italia per analizzare (invano) qualcosa di egualmente complesso: il nostro Paese. È sposato con l'antropologa Patrizia Giancotti, collaboratrice di Rai 3, studiosa progressista che ha pubblicato un libro dal titolo Filoxenìa, l'arte di accogliere gli altri, l'amore per chi non si conosce. A intuire dalle grida ossessionate, il marito non deve averlo letto. Chi lo frequenta dalle parti dell'Associazione stampa estera (dove i suoi eccessi stanno creando imbarazzo) rivela che Gümpel ha un problema esistenziale: è orfano di Berlusconi. Nel senso che ebbe una stagione d'oro con il Cavaliere in sella, quando il nemico stava immancabilmente ad Arcore. Allora era assiduo frequentatore della redazione dell'Espresso, intercettava notizie e retroscena, confezionava libri. Uno per tutti: L'unto del Signore. Come ci insegna il giornalismo anglosassone, il valore dell'equidistanza è tutto.La stella cometa di Udo rischia di far tramontare quella di un altro tedesco che da un ventennio tifa per il diluvio universale dello spread: Tobias Piller della Frankfurter Allgemeine Zeitung. «L'Italia è inaffidabile», tuonava già una quindicina di anni fa, lessicalmente a metà strada fra le Sturmtruppen di Bonvi e il professor Kranz di Paolo Villaggio. «CaterPiller» qualche pregio ce lo concede: «Siete bravi a fare il caffè». Un giorno gli chiesero cosa sarebbe successo se la Bce avesse regalato 1.000 euro a un italiano. «Si compra un iPhone Apple prodotto in Cina, un televisore Samsung dalla Corea, paga la prima rata per un'auto tedesca o spende tutto per una breve vacanza a Sharm el Sheikh». Dove i tedeschi spopolano. Per i due kaiser della parola siamo sempre sull'orlo dell'abisso. Sono così concentrati sui nostri difetti da non essersi mai accorti che la Deutsche bank ha più debiti di Lehman brothers il giorno prima del fallimento; la Volkswagen ha truccato i software delle emissioni facendo una figura planetaria; la Germania brinda da anni al surplus commerciale infischiandosene delle regole europee. Dettagli.Un altro commentatore che ci considera un popolo di inetti quando non facciamo i sudditi e non votiamo a sinistra è Alan Friedman. Se gli italiani hanno una malattia esantematica, è quella dell'esterofilia. E Friedman, con Don Lurio, ne è la conseguenza più evidente. Newyorkese di 62 anni con un curriculum spaziale (fu anche collaboratore di Jimmy Carter) pianta le tende in Italia quando scopre che potrebbe diventare la gallina dalle uova d'oro. La sua America è qui. Scrive la biografia autorizzata degli Agnelli (Tutto in famiglia) e quella di Berlusconi (My Way), partecipa alla fondazione di Rainews 24 e a Skytg24. È un mandarino del vecchio sistema economico folgorato sulla via di Matteo Renzi. Nel 2014 lo sponsorizza così: «Gli italiani devono capire che è lui la vostra ultima chance. Da complici o vittime del sistema dovete diventarne degli scardinatori. E Renzi deve cercare di essere il catalizzatore di questa impresa». Per contrapposizione non sopporta il governo Conte, detesta Matteo Salvini e Luigi Di Maio, canticchia «la manina, la manina» da Myrta Merlino durante i primi scricchiolii della maggioranza. Ed è implicato in un'oscura vicenda di finanziamenti, come consulente politico, a sostegno di Viktor Janukovych, ex presidente ucraino vicino a Vladimir Putin.Passando alle signore, l'opinionista più contraria a questa Italia definita populista, razzista, fascista, sessista (prima di una retromarcia in chiave elettorale) è Rula Jebreal, giornalista di origini palestinesi naturalizzata italiana, mondialista e pro migranti «senza se e senza ma». Le sue idee televisive la stanno trasformando in una candidata alle Europee per il Pd. Ha tutte le caratteristiche per soddisfare la sinistra Ztl: radical chic, ego ipertrofico, ex marito banchiere, attico a New York. È sulla via tracciata dalla prima odiatrice catodica, Tana De Zulueta, corrispondente del Sunday Times e poi dell'Economist (che con lei fu ribattezzato l'Ecomunist), progressista di ferro, famosa per avere definito «lepre marzolina» il presidente Giuseppe Cossiga. Nemica giurata di Berlusconi, finì in Parlamento prima con i Ds e poi con i Verdi. Dopo 12 anni di politica con vitalizio annesso (e difeso con le unghie), è riuscita vedere la propria figlia nell'ufficio stampa di Laura Boldrini quando era presidente della Camera. In Italia insultare in tv fa curriculum e aiuta ad affittare uno scranno pubblico. In casa Gümpel la cosa potrebbe creare imbarazzi perché la signora, antropologa, sogna «il ritorno a quella civiltà delle porte aperte in cui l'accoglienza è un valore e tutto si risolve a tavola». Un bucolico paradiso. Ma dal fondo d'una stanza già si avvertono i «vergognati!», «torna a casa tua» e un tintinnare di sciabole. Niente paura, è Udo in collegamento webcam con un talk show. È innocuo.
Mattia Furlani (Ansa)
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