2018-05-30
Una repubblica presidenziale di fatto ma non di diritto
Sergio Mattarella non ha agito da arbitro: il suo uno sbaglio drammatico. Meglio rimettere all'ordine del giorno una riforma costituzionale.Altro che arbitro: di tutta evidenza, al Quirinale siede qualcuno che ha il potere non solo di fischiare un calcio di rigore, ma anche quello di batterlo, togliendosi di punto in bianco la maglietta nera del direttore di gara e indossando quella del centravanti.Poi (e questo è un problema diverso), il guaio è che il centravanti Sergio Mattarella l'ha pure sbagliato il «suo» penalty. A posteriori (ma La Verità lo diceva da molto prima…), chiunque abbia onestà intellettuale riconosce che sarebbe stato molto meglio non opporre veti contro Paolo Savona, e consentire alla maggioranza gialloblù di partire. Infatti, in quel caso, a prescindere da qualunque giudizio sulla compagine e sui suoi programmi, i mercati avrebbero quanto meno valutato positivamente la solidità numerica della maggioranza, e la conseguente prospettiva di una durata non breve del governo.Invece, sul dischetto del rigore, Mattarella ha commesso un errore clamoroso: si è illuso che la pura e semplice designazione di una persona rispettabile (Carlo Cottarelli) potesse essere premiata dai mercati.Sbaglio drammatico: suo e di chi l'ha consigliato (a Via Nazionale? a Francoforte? altrove?). I mercati hanno chiaramente percepito il probabilissimo fallimento del tentativo di Cottarelli, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.Ma torniamo all'arbitro e ai suoi poteri. È evidente che con gli anni si sia affermata - ed è una tendenza ormai più che ventennale, da Oscar Luigi Scalfaro a Giorgio Napolitano a Mattarella - un'interpretazione ultrainterventista del ruolo del Quirinale. La cosa curiosa è che siano proprio dei parlamentaristi, cioè dei teorici fautori della centralità del Parlamento, ad aver agito in senso contrario: ma il dato concreto è che, via via, sia stato instaurato un presidenzialismo di fatto, senza regole precise e indiscutibili, senza contrappesi, senza contropoteri.A questo punto, sarebbe molto meglio rimettere all'ordine del giorno una seria riforma costituzionale improntata ad un vero presidenzialismo (all'americana o alla francese), con l'elezione popolare diretta di un capo dello Stato dotato anche del potere di guida dell'esecutivo. In questo caso i vantaggi sarebbero tre. Primo: saranno i cittadini a scegliere. Secondo: tutto sarà chiaro e non opaco, non affidato a interpretazioni discutibili e discrezionali. Terzo: ci sarà un sistema di pesi e contrappesi, di checks and balances, che renderà trasparente e comprensibile sia la dialettica tra presidente e Parlamento, sia quella tra governo e opposizione.Sciaguratamente, a mio avviso, nella Costituente del 1946-'48, l'opzione presidenzialista, pur sostenuta da voci autorevolissime (uno per tutti: Piero Calamandrei), fu scartata. Democristiani e comunisti non si fidavano gli uni degli altri, e ritenevano troppo recente l'esperienza del fascismo per immaginare di nuovo un governo forte. Preferirono così un governo debole, e una distribuzione di poteri complicata e mai limpidissima tra Quirinale, esecutivo e Camere. Aprendo lo spazio per un verso al dominio extraistituzionale delle segreterie di partito, e per altro verso agli sconfinamenti quirinalizi a cui assistiamo da ben più di un ventennio.Molto meglio scegliere Washington o Parigi, a questo punto. Una forma di Stato e una forma di governo forti, presidenziali, con adeguati bilanciamenti. Non è un caso se in quei sistemi ci siano stati, ci siano e ci saranno - com'è naturale - scontri politici anche virulenti, ma è molto raro che ci sia una contestazione o una mancanza di chiarezza sui poteri della Casa Bianca o dell'Eliseo.