Sì del Cdm allo schema Bonafede. Prevede una durata certa della causa, tempi semplificati, sanzioni per querele temerarie.
Sì del Cdm allo schema Bonafede. Prevede una durata certa della causa, tempi semplificati, sanzioni per querele temerarie.Nella tarda serata di giovedì, il Consiglio dei ministri ha approvato uno schema di riforma del processo civile. Si tratta di uno testo in 15 articoli, elaborati negli ultimi mesi dal ministro della Giustizia grillino, Alfonso Bonafede. L'ambizioso obiettivo del provvedimento è semplificare la procedura per riuscire a «tagliare del 50%» i tempi delle cause. Lo schema recepisce la delega che il governo aveva ricevuto in primavera dal Parlamento, con il compito di «uno o più decreti legislativi» per la «semplificazione e la speditezza» del Codice di procedura civile. Ora il governo ha un anno di tempo per provvedere, e soprattutto per riuscirci. È un impegno che fa tremare le vene ai polsi, visto che di una riforma del nostro lentissimo processo civile si parla da decenni. Nel 2018, in base alle statistiche ministeriali, le cause con rito ordinario sono durate in media 1.270 giorni in primo grado (tre anni e sei mesi) più altri 1.296 giorni in appello (altri tre anni e sette mesi): in totale, oggi occorrono quindi oltre sette anni per arrivare a una sentenza di secondo grado. Ma poi serve il giudizio in Cassazione, e sul sito della suprema corte si legge che la durata media del terzo grado è di altri tre anni e due mesi. Dal primo all'ultimo giorno di un processo civile, insomma, trascorrono oltre dieci anni. Va ricordato che nel giugno 2012 il governo di Mario Monti varò il decreto «Misure urgenti per la crescita del Paese», dove si stabiliva che un processo ha «durata irragionevole» se supera i sei anni: tre in primo grado, due in secondo e uno in Cassazione. Superare quel limite, in teoria, darebbe diritto a un «equo indennizzo». L'indennizzo è rimasto lettera morta. Restano però il principio, e l'equità della misura.Ora si vedrà che cosa riuscirà a combinare il governo di Giuseppe Conte. Lo scetticismo è giustificato, anche perché il momento non è favorevole. E proprio per colpa della giustizia. In questi giorni, infatti, Il Pd e il Movimento 5 stelle sono alla ricerca di un'ardua intesa sulla riforma della prescrizione penale, varata nel 2018 dai grillini ma considerata «inaccettabile» dai democratici. Alla maggioranza, divisa sul punto, serve una via d'uscita d'emergenza (e veloce) perché, se nulla cambia, dal primo gennaio la riforma entrerà in vigore e la prescrizione s'interromperà dopo la sentenza di primo grado.In questa atmosfera, non proprio idilliaca, cade la riforma del processo civile. Conte sostiene dovrà garantire «maggior efficienza, quindi un clima più favorevole agli investimenti dall'estero». Insomma, qualcosa che per esempio possa attenuare il disastro d'immagine internazionale provocato dalla dissennata gestione della crisi dell'Ilva. Bonafede è ottimista. Un mese fa aveva preannunciato «un intervento chirurgico volto a semplificare le procedure», e oggi rivela di voler cancellare «quel che non funziona»: cioè «i troppi tempi morti e le troppe udienze in cui non succede nulla». Così, nel suo schema di riforma, il ministro ha individuato regole che puntano alla «semplificazione, alla speditezza e alla razionalizzazione delle procedure», ma allo stesso tempo «salvaguardano le garanzie del contraddittorio» cui giustamente tengono gli avvocati. Il Guardasigilli spiega che, con la sua riforma, «il perimetro della causa verrà definito nei dieci giorni prima che le parti compaiano davanti al giudice», e che quest'ultimo dovrà preventivamente stabilire un preciso calendario delle udienze, all'inizio di ogni causa. Questo obbligo, che forse è la novità più efficace dello schema di riforma, dovrebbe contribuire a cancellare i tempi morti, i mille rinvii delle udienze e la loro inutile duplicazione: certo, si vedrà se l'idea riuscirà a superare gli ostacoli delle lobby, e se i magistrati si adegueranno davvero… Ma la semplificazione riguarderà anche i riti processuali, che al momento sono di tre diversi tipi (davanti al giudice monocratico, al collegio giudicante e al giudice di pace) e invece dovrebbero venire omologati tra di loro, tendendo alla formula più agile. Per contingentare i tempi dovrebbe essere cancellata anche l'udienza dove oggi le parti precisano le loro conclusioni, prima della sentenza: domani, una volta ascoltati i testi, gli avvocati dovranno presentare note difensive e il giudice deciderà. Mentre per disincentivare l'eccesso di litigiosità saranno decise sanzioni per chi lancia cause «temerarie». La riforma prevede anche la piena digitalizzazione del processo civile: addio alle notifiche affidate al messo giudiziario, o alle raccomandate. Tutto dovrà essere sostituito dalla posta elettronica certificata. E la via telematica diventerà obbligatoria anche per il deposito di documenti e atti. Ma ce ne saranno le risorse? E, soprattutto, ne avrà il tempo questo governo traballante?
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Giusi Bartolozzi (Ana)
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