2018-12-24
Un pesce fresco di lago spiega quale sia il rumore segreto del Natale
Uno scrittore di fronte alla sfida più difficile: svelare a un bambino di 5 anni il suono particolare del grande giorno. Ci riuscirà con l'aiuto di un amico pescatore.Quando mio figlio Domenico mi chiese a bruciapelo che rumore avesse il Natale, per prima cosa, prima ancora di articolare una qualunque risposta, per quanto evasiva, lo guardai e gli feci un cenno con la mano come a volergli chiedere, a mia volta, cosa diavolo gli fosse saltato in mente. Natale poteva avere suoni e colori, profumi, suggestioni. Ma che facesse, o avesse, un rumore particolare che lo caratterizzasse mi suonava assolutamente nuovo: di più, estraneo.All'epoca di questo fatto aveva cinque anni e spesso se ne tornava a casa dall'asilo sottoponendo a sua madre e a me improbabili questioni, frutto delle infinite, surreali discussioni che solo i bambini riescono a impostare tra di loro quando non hanno adulti tra i piedi: troncandole poi con decisione quando vedono uno della nostra razza all'orizzonte.Glissai, tentai un cambio di argomento, la buttai sul banale dicendo che era sera, io ero stanco e lui doveva andare a lavare i dentini per poi infilarsi sotto le coperte e sognare Babbo Natale e tutti i bei regali che gli avrebbe portato. Mi illusi di essermela cavata. Niente da fare, invece. La domanda si ripropose quasi subito e con una vernice inconsapevolmente ricattatoria: lui andava a lavare i dentini e a sognare Babbo Natale solo dopo una mia risposta che, implicitamente, doveva essere esaustiva.Quindi, che non tentassi di sfuggire aggrappandomi a equilibrismi verbali. Che rumore aveva il Natale? Prima di articolare anche un solo mezzo pensiero che potesse divenire risposta, cercai di indagare se per caso il ciccetto, soprannominato Lupo allora come oggi, avesse visto una delle tante, insinuanti e stucchevoli pubblicità natalizie dove il Natale venisse associato a qualche rumore particolare, frutto della sfrenata fantasia di qualche pubblicitario cui era stato affidato l'incarico di convincere il pubblico televisivo ad acquistare improbabili strenne. Me la sarei cavata, così, con poco sforzo di intelletto. Ma la mamma mi rispose con il silenzio e il viso improntato al diniego più assoluto: l'innocente nel corso del pomeriggio aveva solo e sempre giocato con la sua collezione di dinosauri senza mai accendere la televisione, quindi non ne era stato contaminato.Non solo. Quella domanda l'aveva fatta anche a lei, appena uscito dall'asilo. Ma, furba, se l'era cavata dichiarando pianamente che non lo sapeva. Il papà invece, che menava vanto di fare lo scrittore, avrebbe saputo rispondergli con sicurezza.Così mi trovai nell'angolo: di mezzo, adesso, c'era la salvaguardia della mia immagine, quella del mio pretestuoso, enciclopedico sapere.Il ciccetto nel frattempo non si era dato pena delle mie difficoltà e tornò alla carica subito, i dentini potevano aspettare. Un tono di dileggio, mi parve, s'era insinuato nella sua voce che, per la terza volta, ripeteva la domanda: quale rumore fa il Natale?Tempi moderni, pensai, nuove generazioni. Io non mi sarei mai permesso di chiedere per tre volte di fila la stessa cosa a mio padre. Mi sarei accontentato della prima risposta, ancorché insoddisfacente. Ma i tempi erano quelli, moderni appunto, e bastava un niente per far scricchiolare l'autorità paterna. Non fosse bastata l'insistente richiesta del bambino, dopo pochi minuti ci si mise anche sua madre. Evidentemente torturata anche lei da quella domanda che andava assumendo contorni minacciosi, mi si rivolse, minacciosa a sua volta.«Non gli hai ancora risposto?»Sfida globale, quindi?Decisi lì per lì che, se l'erede voleva una risposta, l'avrebbe avuta. Dopodiché i dentini, i sogni dei regali e buonanotte! In fin dei conti bisognava dare a quella domanda una risposta di sostanza, dire una cosa, qualunque fosse, dare all'infante una soddisfazione, una certezza. Quindi, convinto della bontà del mio agire, risposi con grande sicurezza.«Rumore di pesce!»Il ciccetto sembrò convinto. Forse sembrò così a me, volendomi illudere di aver assolto un alto compito. Perlomeno gli avevo dato la risposta. Non tenevo in conto, in quel momento critico, che un figlio si fa in due, con una moglie, una compagna, una donna insomma che poi diventa mamma. E che ha pari diritto di parola. Per cui, sentendo la risposta e valendosi di quel diritto testé citato, mia moglie se ne uscì a dire:«Rumore di pesce?».Immediatamente mio figlio si accodò a sua madre buttando lì un perché? che per un tempo abbastanza lungo sembrò sfarfallare nel silenzio del salotto di casa.«Adesso sì che ti voglio», chiosò mia moglie ritirandosi in cucina.«Perché il Natale ha rumore di pesce?», ribadì mio figlio non riuscendo contemporaneamente a reprimere un mezzo sbadiglio.Perché, perché…«Perché…» attaccai a spiegare, mentre mia moglie, cercando di non farsi vedere, orecchiava, «…perché i lavarelli, che sono pesci di lago, vanno in frega a dicembre: cioè, dalle profondità sconosciute del lago, si mettono in gruppo e facendosi compagnia vengono a riva a deporre le uova. Di conseguenza quello è il momento giusto per prenderne alcuni considerando che, insieme con gli agoni e i persici, sono i pesci più pregiati, dalla carne più saporita».E proprio sotto Natale, un mio amico, il Cavagnin, che aveva nome Ernesto ma era figlio del Cavagna e della Cavagnina, me ne portava sempre qualcuno. Generalmente la sua attività di pescatore, rigorosamente di frodo, iniziava verso la metà di dicembre. Mi capitava allora di incrociarlo per il paese mentre girellava in bicicletta: sembrava annusare l'aria come se volesse capire se la sera sarebbe stata propizia alla pesca.Se mi fermava e mi chiedeva: «Ci sei là stasera?» capivo al volo.Là voleva dire in ambulatorio, e la sua domanda non era volta ad avere la certezza di trovarmi per espormi qualche problema di salute ma per essere sicuro di poter effettuare la consegna a me personalmente. Poteva capitare che, nonostante l'avviso, non lo vedessi, magari anche per due o tre sere di fila. Si sa come vanno le cose di questo mondo, non ci sono regole precise per molte di esse: gli uccelli del cielo, come i pesci del lago, ne hanno di loro e solo a quelle ubbidiscono. In ogni caso, non mi preoccupavo, non temevo che si fosse rimangiato la parola: il Cavagnin non aveva mai tradito l'appuntamento con quello che, col trascorrere degli anni, era diventato un incontro che aveva il sapore, oltre che il rumore, del Natale ormai imminente.A quel punto del racconto notai che a mio figlio cominciavano a cascare, e pesantemente, le palpebre: compito primo, irrinunciabile di un narratore, è quello di tener desta l'attenzione del lettore o di chi ti ascolta. In quel caso specifico, però, mi bastava aver annoiato a tal punto il ciccetto da avergli provocato una invincibile botta di sonno. Credevo, io. Non appena tacqui nell'attesa che dalle sue labbra uscisse il fiato tranquillo del sonno pienamente conquistato, lui riaprì la bocca. E non per sbadigliare ma per ribadire il perché. «Perché il Natale ha il rumore del pesce?»Non aveva dimenticato, il terribile quinquenne. Cocciuto, resisteva al sonno pur di sapere.Dovetti proseguire, con la speranza di non deluderlo e di trasferirgli parte dell'emozione che l'ingresso in ambulatorio del Cavagnin, col frutto della sua pesca miracolosa, mi aveva sempre dato. Il perché era semplice, forse banale. Ma ammantato di una suggestione poetica, notturna, odorosa di quell'ineffabile profumo di lago che è un misto di pesce, alghe, acqua, muschio e sassi, ma anche parole, cieli stellati, silenzi, luci che vanno e vengono sulla sponda opposta, e umidità.Gli è che il Cavagnin consegnava soltanto merce fresca. Anzi, freschissima. Pesce appena pescato. E, per portarmelo in ambulatorio, infilava le sue prede in buste di plastica e le nascondeva sotto il giubbotto, così che nessun occhio indiscreto avrebbe indagato.Ma i lavarelli, ancora vivi, evidentemente mal sopportando quella loro condizione, si dibattevano: quando, nel mio studio, giungeva quel rumore, come se qualcuno stesse stropicciando una busta di plastica o accartocciando una carta velina, era segno che di lì a un minuto lui sarebbe comparso e, con un gesto svelto, avrebbe svelato quello che nascondeva sotto il giubbotto e me l'avrebbe consegnato, mormorando i suoi auguri.«Li ho appena pescati», assicurava senza che peraltro ce ne fosse bisogno.E: «Se non ci vediamo più, Buon Natale», aggiungeva.A dire la verità, io cercavo di trattenerlo per restituirgli la cortesia come potevo, magari misurandogli la pressione o cercando di interrogarlo sulla sua salute. Ma lui era un po' allergico all'aria degli ambulatori e se ne scappava via, rinviando a data da destinarsi.A quel punto mio figlio dormiva. Dormiva veramente, lento e regolare il respiro. E mi sembrò, o forse fu solo suggestione, che sul viso avesse un sorrisetto, come se fosse soddisfatto della storia e della spiegazione.Mia moglie, che aveva ascoltato senza intervenire, si assicurò a sua volta che il ciccetto dormisse. Poi, fattasi certa del suo sonno, mi chiese da quanti anni fosse morto il Cavagnin.A dire la verità io continuavo a pensarlo vivo e sfrosatore, non ricordavo da quanto tempo non ci fosse più. Risposi alla domanda con un'altra domanda.«Da quanto tempo non mangiamo più un lavarello fresco?»Ecco fatto il conto.©Garzanti libri
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.