
I promessi asili gratis favoriranno gli stranieri, come già avviene per le case popolari. Per il resto, zero proposte concrete ma banalità condite dalla retorica ecologista.Oltre che un governo dell'inciucio, quello nato ieri è anche il governo del ciuccio. Lo ha promesso Giuseppe Conte che, presentandosi alla Camera per chiedere la fiducia, ha annunciato di voler cancellare la retta degli asili nido a carico delle famiglie a basso reddito, impegno che certamente avrà reso felici molti extracomunitari i quali, come è noto, in massima parte dichiarano stipendi al minimo e allo stesso tempo hanno più figli degli italiani. Esulteranno meno invece gli stessi italiani, che già ora si vedono scavalcati dagli stranieri nelle graduatorie di accesso ai servizi, case popolari e nidi compresi. Che questo governo, del resto, strizzi l'occhio ai nuovi venuti e non a chi ha la colpa di essere nato da queste parti, lo si arguisce anche da altri elementi, come l'annuncio che il decreto sicurezza sarà rivisto e molto probabilmente, come voleva la sinistra e anche Mattarella, saranno eliminate le multe che cercavano di dissuadere lo sbarco delle navi di proprietà delle Ong. Sebbene le sanzioni siano da tempo in vigore anche in altri Paesi, come per esempio la Spagna, il Conte bis - unico presidente del Consiglio della storia d'Italia che riesce a cancellare da solo una legge che ha sostenuto solo un mese fa - si prepara infatti ad aprire i porti e ad accogliere più migranti. Per l'occasione è stato rispolverato il Modello Milano, che per la verità modello non è e per rendersene conto è sufficiente dare uno sguardo a ciò che accade attorno alla stazione Centrale, dove a un blitz della questura fu opposta una sfilata pro extracomunitari con il sindaco in testa.Il governo del ciuccio, che vuol dire anche asino, è però un governo populista, così populista da promettere tutto, pure la mitezza. Già, perché il premier ha messo persino questo nel suo programma: la gentilezza. Basta risse, solo abbracci. Nella tabella di marcia di Palazzo Chigi ci sono solo parole dolci, così dolci e suadenti da sembrare le scritte che si trovano dentro i Baci Perugina. L'Italia sarà una Smart nation, perché pur avendo una pubblica amministrazione che spesso ricorda quella borbonica, con Conte al comando e i 5 stelle e il Pd a dargli ordini, diventerà «una vera e propria» star dell'innovazione. Non basta. Dato che il premier si sente un po' Franklin Delano Roosevelt anche se non ha fatto la guerra, pure lui vuole intestarsi un «New deal». Ma siccome deve aver letto un po' troppi articoli su Greta Thunberg, Conte il suo lo vuole green e infatti promette «la rigenerazione urbana unita a una riconversione energetica per proteggere la biodiversità e contrastare i cambiamenti climatici». Già che c'era, il capo del governo che è succeduto a sé stesso cambiando solo gli addendi, preferendo il rosso nonostante il green new deal, ha anche promesso che valorizzerà il patrimonio culturale e turistico, un impegno nuovo ovviamente, a cui nessuno prima d'ora aveva mai pensato. Proprio come la lotta all'evasione fiscale, che Conte - udite udite - ha detto di voler fare senza alcun indugio, «affinché le tasse le paghino tutti, ma proprio tutti». Eh, già: nessuno a Montecitorio aveva mai osato tanto. Tra i buoni propositi, c'è pure l'idea di una «norma organica per i terremotati», così chi è rimasto senza casa ad Amatrice, nonostante la ricostruzione non sia ancora partita, si sentirà più tutelato. E per finire il premier ha giurato che si adopererà per presidiare a tutti i livelli l'acqua pubblica, che non sgorgherà più dalle fontanelle gestite da privati, ma solo da quelle statali, immaginiamo con tanto d'imposta fluida, in modo da far quadrare i conti delle municipalizzate.Sì, insomma, ieri a Montecitorio abbiamo sentito scorrere tanta acqua fresca. Ventinove punti di fioretti recitati davanti ai Nostri signori del Parlamento: la difesa del pluralismo dell'informazione, la scuola e la famiglia, il Mezzogiorno e il rapporto con l'Europa. Di cose concrete nulla, se non la garanzia che con Conte al governo non si trivellerà in Adriatico. Per il resto, brevi cenni sull'universo e nessun cenno su dove si troveranno i soldi per finanziare il new deal verde, il ciuccio per gli immigrati e le altre priorità urgenti elencate dall'avvocato del popolo.Come nelle previsioni, il presidente del Consiglio che giurò che non sarebbe stato disponibile per nessun'altra alleanza che non fosse quella tra Lega e 5 stelle, si è subito contraddetto. Già, perché dopo essersi presentato la mattina promettendo che «la nostra lingua sarà mite», nel pomeriggio, a seguito di una manifestazione di contestazione davanti al Parlamento e alle accuse di Lega e Fratelli d'Italia al suo discorso, ha subito sfoderato gli artigli, mettendo da parte il latinorum e il cavillorum. Al difensore del popolo è infatti subentrato il difensore della Casta, al quale nell'arena della Camera, in certi momenti si sono perfino scompigliate le punte della pochette.Quello che è nato non è il governo del cambiamento, ma il governo della conservazione e i soli cambiamenti che promette sono la marcia indietro sulla sicurezza, sull'autonomia e sulla riforma elettorale: un passaggio fondamentale per Conte e la sua maggioranza per assicurarsi un futuro il giorno in cui gli elettori saranno chiamati a giudicarli. Il premier ha anche detto che Pd e 5 stelle hanno dato prova di coraggio, mettendo da parte i pregiudizi. Certo, una prova di coraggio l'ha data anche lui, presentandosi in Parlamento senza esitazione con la maglia del voltagabbana. All'inizio dell'anno annunciò un 2019 bellissimo. Dimenticò di dire che sarebbe stato bellissimo per lui, non certo per gli italiani. I quali, anche se esclusi da questa spartizione, anche se cacciati dalle piazze, come è accaduto ieri, non dimenticheranno tanto facilmente.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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