2023-09-01
Francesco beatifica tutta la famiglia Ulma (e il figlio in grembo) sterminata dai nazisti
Cartellone sulla imminente beatificazione della famiglia Ulma in Polonia (Getty Images)
Furono trucidati nel 1944 per l’aiuto agli ebrei. La loro vicenda nel nuovo libro «Uccisero anche i bambini». Rito il 10 settembre.Quella degli Ulma era una famiglia di agricoltori di Markowa, villaggio situato nel sud-est della Polonia, però papà Józef e mamma Wiktoria non coltivavano soltanto la terra ma anche passioni «intellettuali» come i libri e, in particolare Józef, la fotografia. Questo ha fatto sì che molte, preziose immagini in bianco e nero della vita degli Ulma, una vita rapidamente trasformatasi da «semplice» a «straordinaria» (purtroppo nella tragedia), siano giunte a noi, permettendoci così di dare un volto e ulteriore verità a Józef, a Wiktoria e ai loro figli, tutti quanti sterminati dai nazisti il 24 marzo del 1944 in quanto «colpevoli», come tanti altri nuclei familiari cattolici, di avere nascosto nella loro casa otto persone ebree appartenenti alle famiglie Goldman, Grünfeld e Didner, anch’esse trucidate nello stesso frangente.Le foto in questione, riprodotte nel libro Uccisero anche i bambini. Gli Ulma, la famiglia martire che aiutò gli ebrei, scritto dal sacerdote polacco Paweł Rytel-Andrianik con la giornalista dell’Ansa, Manuela Tulli, e appena pubblicato dalle edizioni Ares di Milano (pagine 152, euro 15), non possono inoltre non far pensare, in ragione appunto della verità che veicolano, a un’altra fotografia, molto più recente: la fotografia di un feto umano di poco più di quattro mesi che un’associazione che si batte contro l’interruzione di gravidanza, Pro vita & famiglia, ha più volte utilizzato nelle sue campagne antiabortiste riproducendola su manifesti di grande formato affissi in varie città italiane.Il collegamento appare inevitabile se si considera che uno dei sette figli di Józef e Wiktoria, quando è morto, era ancora nel ventre della madre, dal quale sarebbe uscito, se la donna non fosse stata ammazzata, di lì a poche settimane. Appare, dunque, molto significativa la decisione della Chiesa cattolica, fortemente voluta da papa Francesco, di beatificare, il prossimo 10 settembre, assieme agli altri otto componenti della famiglia Ulma (già proclamati Giusti tra le nazioni dall’apposita commissione dello Stato israeliano), pure il bambino ancora «non nato». Si tratta di un’affermazione importante, anche sotto il profilo simbolico, del principio - che poi, è sempre ben ribadirlo, altro non è che una verità (in primo luogo scientifica) - che per il fatto di non essere stato ancora partorito un individuo non è in nulla meno persona di chi già si sia fisicamente separato dalla propria genitrice. E che, in quanto persona, di quest’ultima gode - o dovrebbe godere - gli stessi diritti; e merita - o meriterebbe - la medesima considerazione. Una considerazione che al figlio «non nato» di Józef e Wiktoria Ulma ha certamente riservato la Chiesa, stabilendo di conferire a quel piccolo essere, a cui non si è fatto in tempo ad assegnare un nome, lo status di beato martire in ossequio a una «dimensione comunitaria» della santità.A parlarne è il cardinal Marcello Semeraro, prefetto del dicastero vaticano per le Cause dei Santi, in un’intervista che gli autori di Uccisero anche i bambini hanno utilizzato come prefazione del loro libro: «Beatificazioni come questa, in tempi recenti e anche con le attuali procedure, non ce ne sono state. Le famiglie sono state dichiarate sante ma con singole canonizzazioni», spiega il prelato, «pensiamo al caso dei genitori di Santa Teresina di Lisieux, Luigi Martin e Maria Zelia Guérin. Loro sono stati proclamati santi insieme ma Santa Teresina era stata canonizzata in precedenza. Poi nel caso degli Ulma parliamo di martiri. Nell’antichità, invece, casi come questo, o situazioni simili, ce ne sono stati, il martirologio ne parla. Ma per l’epoca recente questo è un fatto del tutto nuovo, anche per la procedura che è stata condotta insieme per l’intera famiglia. E questo è stato talmente rilevante per noi del dicastero che ci ha incoraggiato a promuovere un convegno di riflessione proprio sulla “dimensione comunitaria” della santità».C’è poi un altro tema rilevante che, per chi è credente, la beatificazione del più piccolo dei fratelli Ulma chiama in causa. Vi si sofferma, nella sua introduzione a Uccisero anche i bambini, monsignor Stanislaw Gądecki, arcivescovo metropolita di Poznan e presidente della Conferenza episcopale polacca, scrivendo: «Ringrazio papa Francesco anche perché, con questo gesto della beatificazione di un bambino che stava per nascere, offre speranza a tanti genitori i cui bambini muoiono ancora nel grembo della madre o subito dopo la loro nascita».Qui monsignor Gądecki si occupa di una «verità di fede», ma è il caso di ritornare - in quanto essa riguarda anche chi non crede e in generale il mondo laico - su quella verità oggettiva cui già abbiamo fatto cenno e che la beatificazione del figlio «non nato» dei coniugi Ulma consente di riaffermare: lo stato di individuo, o per dir meglio di persona, di un essere umano a partire dal suo concepimento. Se è legittimo e ragionevole - è anche la posizione di chi scrive - sostenere la necessità, entro determinati limiti temporali, del diritto all’interruzione di gravidanza, poiché esso si configura senza dubbio quale «male minore», è inammissibile che tuttora da parte di tanti, in particolare nell’area progressista, si reputino lesive della dignità femminile - fino a chiederne a gran voce (e spesso a ottenerne) la censura - le foto dei feti di pochi mesi utilizzate dai movimenti antiabortisti.Esse altro non fanno che riprodurre la realtà per ciò che è, e solo i disonesti e i vigliacchi, di fronte alla realtà, chiudono gli occhi. Ecco perché quelle fotografie di feti meritano di essere idealmente inserite nell’album della famiglia di Józef e Wiktoria Ulma, che della vigliaccheria hanno incarnato, sino al punto di sacrificare sé stessi e i loro sette figli, la più perfetta antitesi.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)