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2022-05-06
Kiev contrattacca a Kharkiv e Izium. Braccio di ferro sulle evacuazioni
Ansa
Nella notte tra mercoledì e giovedì vi sono state numerose esplosioni, in particolare a Kiev, Odessa, Leopoli, Cherkasy, Dnipro, Kherson, Zaporizhzhia. Il settantunesimo giorno di guerra è trascorso con la reazione dell’esercito ucraino che ha iniziato una serie di operazioni di controffensiva nelle aree di Kharkiv e Izium. Secondo quanto pubblicato da Ukrainska Pravda, Valery Zaluzhny, il comandante delle forze armate di Kiev, ha spiegato che «i russi stanno concentrando la loro offensiva in direzione di Lugansk, e si segnalano aspri combattimenti a Popasna, Kreminna e Torsky». Lo Stato maggiore ucraino, sempre nella giornata di ieri, ha diffuso la notizia riportata dal Guardian che diversi insediamenti intorno a Mykolaiv e Kherson, nel Sud del Paese, sono ritornati sotto il controllo di Kiev: «Grazie ai successi della difesa ucraina, le forze russe hanno perso il controllo di parecchi insediamenti sul confine delle regioni di Mykolaiv e Kherson».
Come si spiega questa dinamica? Secondo il generale di Corpo d’armata, Maurizio Boni, «la Russia sta subendo l’iniziativa delle forze di Kiev perché è ancora nella fase di riorganizzazione delle proprie forze a seguito delle forti perdite subite durante la prima fase dell’invasione, perdite di uomini, mezzi e materiali tra i migliori di cui disponeva il Cremlino. Per sostenere le azioni offensive della seconda fase del conflitto e per conseguire i propri obiettivi operativi e strategici, Mosca ha dovuto inserire nuove unità e ricostituire quelle totalmente o parzialmente neutralizzate ma, allo stesso tempo, ha dovuto anche mantenere l’iniziativa sul campo di battaglia per non concedere troppo tempo agli ucraini di ricevere nuovi equipaggiamenti e di rafforzare ulteriormente le proprie difese. Per questo, i russi non hanno imposto una pausa operativa al proprio dispositivo offensivo, quanto mai opportuna per riportare la capacità di combattimento a livelli tali da poter assicurare il successo complessivo delle azioni offensive. Ricordiamoci che in queste situazioni entrano in gioco anche il morale e la motivazione delle truppe che nel nostro caso stanno subendo colpi decisivi». Ha poi aggiunto che «permangono forti carenze nel coordinamento tattico nel contesto di uno sforzo offensivo condotto contemporaneamente su più direttrici d’attacco e l’esercito russo non riesce ancora a realizzare quella “massa critica” composta da unità di manovra, supporto logistico e copertura aerea necessaria per compiere progressi significativi nei settori dell’offensiva». E che succede nell’acciaieria Azovstal di Mariupol, che è praticamente distrutta al 90%? Gli ucraini che sono barricati all’interno, ieri mattina alla Cnn hanno affermato: «Ci sono sanguinose battaglie in corso con le forze russe all’interno del complesso dopo che queste hanno violato il perimetro». Putin ha acconsentito ai corridoi umanitari per i civili rimasti, a patto che i combattenti si arrendano. L’inviato speciale delle Nazioni unite per l’Ucraina, Martin Griffiths, ha affermato che «un altro convoglio di evacuazione spera di arrivare allo stabilimento Azovstal di Mariupol entro venerdì mattina in modo da poter accogliere quei civili rimasti in quell’inferno desolato per così tante settimane e mesi e di riportarli in salvo».
Come ogni giorno di guerra c’è un giallo da risolvere, anzi due. Il Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca ha accusato il New York Times «di condotta irresponsabile», dopo che il giornale ha pubblicato la notizia secondo la quale «gli Usa hanno fornito informazioni di intelligence che hanno aiutato gli ucraini a colpire e uccidere numerosi generali russi morti in azione nel conflitto ucraino». La portavoce Adrienne Watson durante il briefing con la stampa ha dichiarato che «gli Stati Uniti forniscono informazioni sul campo per aiutare gli ucraini a difendere il loro Paese. Noi non forniamo informazioni di intelligence con l’obiettivo di uccidere generali russi». Mistero risolto? Neanche per idea, perché il dubbio insinuato dal Nyt resterà e verrà certamente utilizzato dalla propaganda russa, magari già il prossimo 9 maggio 2022. Il secondo mistero è proprio relativo alle celebrazioni della giornata della vittoria. Secondo il Commissaria per i diritti umani del Parlamento ucraino, Lyudmila Denisova,« la Russia ha intenzione di far sfilare i nostri cittadini alla paratadel 9 maggio a Mariupol come prigionieri». Possibile che si superi anche questo limite? Il generale Maurizio Boni non ha dubbi: «Sarebbe illogico e controproducente per la propaganda russa. I russi non sono vincitori e anche se volessimo tornare ai costumi dell’antichità dove i condottieri vittoriosi rientravano nella propria capitale alla testa delle proprie truppe e dei prigionieri che seguivano da rendere schiavi, è chiaro che non ci troviamo nelle stesse condizioni. In ogni caso è uno scenario che non vorrei davvero prendere in considerazione. Sarebbe un atto gravissimo, estraneo allo spirito della parata e certamente non suggerito dai militari del Cremlino». Infine, ieri ha parlato il presidente bielorusso Lukashenko che ha affermato che «la Russia non può per definizione perdere questa guerra, nonostante il fronte internazionale pro Ucraina sia soverchiante e dalla parte di Mosca sia rimasta solo la Bielorussia». Il dittatore ha aggiunto che «Putin molto probabilmente non vuole un confronto globale con la Nato» alla quale però ha dato un consiglio: «Fate di tutto perché questo non accada. Altrimenti, anche se Putin non lo vuole, i militari reagiranno». Chissà che ne pensa lo Zar.
Blogger «filo russo» preso in Spagna
Mercoledì scorso, il blogger filo russo, Anatoliy Shariy, sospettato di tradimento dal Servizio di sicurezza ucraino (Sbu), è stato arrestato a Tarragona, in Spagna, e poi rilasciato su ordine del giudice del Tribunale nazionale, José Luis Calama, che ne ha decretato la scarcerazione provvisoria con misure cautelari.
Secondo le autorità di Kiev il suo fermo era stato possibile «grazie alla stretta collaborazione del servizio di sicurezza dell’Ucraina con l’ufficio del procuratore generale, partner internazionali e come risultato di un’operazione speciale a più livelli delle forze dell’ordine ucraine ufficiali». L’Sbu ritiene che Shariy «abbia commesso crimini ai sensi di due articoli del codice penale ucraino: l’articolo 111 (tradimento) e l’articolo 161 (violazione dell’uguaglianza dei cittadini a seconda della loro razza, nazionalità, convinzioni religiose, disabilità e altri motivi)».
Inoltre, l’ Sbu lo accusava di aver «svolto attività illegali a danno della sicurezza nazionale ucraina nella sfera dell’informazione. C’è motivo di credere che Shariy abbia agito per conto di entità straniere» ma non solo, nella nota stampa si legge che «le prove raccolte dall’indagine sono state confermate da una serie di studi di esperti, che hanno stabilito che le interviste e i discorsi di Shariy contengono fatti delle sue attività sovversive contro l’Ucraina».
Ma chi è Anatoliy Shariy, che da tempo era ricercato dagli 007 di Kiev? Nato nel 1978 a Kiev, è un blogger e giornalista d’inchiesta ucraino che i media del suo Paese descrivono come «filo russo» e «anti ucraino», etichette che lui ha sempre negato. Si è occupato di inchieste sulla corruzione in Ucraina e su temi a sfondo sociale, come la diseguaglianza e la povertà.
Molto attivo sul Web, Anatoliy Shariy nel 2013 ha aperto un canale Youtube che oggi conta quasi 3 milioni di iscritti. Nel 2019 Shariy era al 34° posto nell’elenco delle 100 persone e fenomeni più influenti in Ucraina compilato dalla holding dei media Vesti e ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro.
Nel suo passato però non sono mancati episodi molto controversi, come nel 2010 quando scrisse che «mostrava comprensione per lo sterminio di omosessuali e dei Rom nelle camere a gas durante il Terzo Reich», poi nel 2021 Shariy si è scusato per il suo passato di 11 anni fa e ha affermato che le sue opinioni erano cambiate da allora».
Innumerevoli le causa penali contro di lui e le minacce di morte che secondo quanto lo stesso racconta lo hanno costretto a chiedere asilo politico all’Unione Europea, che ha accolto la sua richiesta, tanto che il blogger si è stabilito a vivere prima in Lituania, poi in in Olanda e infine in Spagna assieme alla sua seconda moglie, la giornalista Olga Bondarenko.
Ex sostenitore del presidente ucraino Volodymyr Zelensky durante la sua campagna presidenziale contro l’ex presidente Petro Poroshenko, ad un certo punto è entrato in rotta di collisione con il presidente ucraino dopo che Shariy ha pubblicato una serie di articoli nei quali si narravano vicende di corruzione dell’esecutivo guidato dall’ex attore.
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L’esercito ucraino annuncia una serie di operazioni di controffensiva. Diverse città sottratte agli invasori. Vladimir Putin pronto a garantire corridoi per i civili ancora ad Azovstal, ma chiede che i militari si arrendano.Anatoliy Shariy, ex sostenitore di Volodymyr Zelensky poi diventato suo oppositore, è stato arrestato per «tradimento» e poi rilasciato. Da tempo era nel mirino degli 007.Lo speciale contiene due articoli.Nella notte tra mercoledì e giovedì vi sono state numerose esplosioni, in particolare a Kiev, Odessa, Leopoli, Cherkasy, Dnipro, Kherson, Zaporizhzhia. Il settantunesimo giorno di guerra è trascorso con la reazione dell’esercito ucraino che ha iniziato una serie di operazioni di controffensiva nelle aree di Kharkiv e Izium. Secondo quanto pubblicato da Ukrainska Pravda, Valery Zaluzhny, il comandante delle forze armate di Kiev, ha spiegato che «i russi stanno concentrando la loro offensiva in direzione di Lugansk, e si segnalano aspri combattimenti a Popasna, Kreminna e Torsky». Lo Stato maggiore ucraino, sempre nella giornata di ieri, ha diffuso la notizia riportata dal Guardian che diversi insediamenti intorno a Mykolaiv e Kherson, nel Sud del Paese, sono ritornati sotto il controllo di Kiev: «Grazie ai successi della difesa ucraina, le forze russe hanno perso il controllo di parecchi insediamenti sul confine delle regioni di Mykolaiv e Kherson». Come si spiega questa dinamica? Secondo il generale di Corpo d’armata, Maurizio Boni, «la Russia sta subendo l’iniziativa delle forze di Kiev perché è ancora nella fase di riorganizzazione delle proprie forze a seguito delle forti perdite subite durante la prima fase dell’invasione, perdite di uomini, mezzi e materiali tra i migliori di cui disponeva il Cremlino. Per sostenere le azioni offensive della seconda fase del conflitto e per conseguire i propri obiettivi operativi e strategici, Mosca ha dovuto inserire nuove unità e ricostituire quelle totalmente o parzialmente neutralizzate ma, allo stesso tempo, ha dovuto anche mantenere l’iniziativa sul campo di battaglia per non concedere troppo tempo agli ucraini di ricevere nuovi equipaggiamenti e di rafforzare ulteriormente le proprie difese. Per questo, i russi non hanno imposto una pausa operativa al proprio dispositivo offensivo, quanto mai opportuna per riportare la capacità di combattimento a livelli tali da poter assicurare il successo complessivo delle azioni offensive. Ricordiamoci che in queste situazioni entrano in gioco anche il morale e la motivazione delle truppe che nel nostro caso stanno subendo colpi decisivi». Ha poi aggiunto che «permangono forti carenze nel coordinamento tattico nel contesto di uno sforzo offensivo condotto contemporaneamente su più direttrici d’attacco e l’esercito russo non riesce ancora a realizzare quella “massa critica” composta da unità di manovra, supporto logistico e copertura aerea necessaria per compiere progressi significativi nei settori dell’offensiva». E che succede nell’acciaieria Azovstal di Mariupol, che è praticamente distrutta al 90%? Gli ucraini che sono barricati all’interno, ieri mattina alla Cnn hanno affermato: «Ci sono sanguinose battaglie in corso con le forze russe all’interno del complesso dopo che queste hanno violato il perimetro». Putin ha acconsentito ai corridoi umanitari per i civili rimasti, a patto che i combattenti si arrendano. L’inviato speciale delle Nazioni unite per l’Ucraina, Martin Griffiths, ha affermato che «un altro convoglio di evacuazione spera di arrivare allo stabilimento Azovstal di Mariupol entro venerdì mattina in modo da poter accogliere quei civili rimasti in quell’inferno desolato per così tante settimane e mesi e di riportarli in salvo». Come ogni giorno di guerra c’è un giallo da risolvere, anzi due. Il Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca ha accusato il New York Times «di condotta irresponsabile», dopo che il giornale ha pubblicato la notizia secondo la quale «gli Usa hanno fornito informazioni di intelligence che hanno aiutato gli ucraini a colpire e uccidere numerosi generali russi morti in azione nel conflitto ucraino». La portavoce Adrienne Watson durante il briefing con la stampa ha dichiarato che «gli Stati Uniti forniscono informazioni sul campo per aiutare gli ucraini a difendere il loro Paese. Noi non forniamo informazioni di intelligence con l’obiettivo di uccidere generali russi». Mistero risolto? Neanche per idea, perché il dubbio insinuato dal Nyt resterà e verrà certamente utilizzato dalla propaganda russa, magari già il prossimo 9 maggio 2022. Il secondo mistero è proprio relativo alle celebrazioni della giornata della vittoria. Secondo il Commissaria per i diritti umani del Parlamento ucraino, Lyudmila Denisova,« la Russia ha intenzione di far sfilare i nostri cittadini alla paratadel 9 maggio a Mariupol come prigionieri». Possibile che si superi anche questo limite? Il generale Maurizio Boni non ha dubbi: «Sarebbe illogico e controproducente per la propaganda russa. I russi non sono vincitori e anche se volessimo tornare ai costumi dell’antichità dove i condottieri vittoriosi rientravano nella propria capitale alla testa delle proprie truppe e dei prigionieri che seguivano da rendere schiavi, è chiaro che non ci troviamo nelle stesse condizioni. In ogni caso è uno scenario che non vorrei davvero prendere in considerazione. Sarebbe un atto gravissimo, estraneo allo spirito della parata e certamente non suggerito dai militari del Cremlino». Infine, ieri ha parlato il presidente bielorusso Lukashenko che ha affermato che «la Russia non può per definizione perdere questa guerra, nonostante il fronte internazionale pro Ucraina sia soverchiante e dalla parte di Mosca sia rimasta solo la Bielorussia». Il dittatore ha aggiunto che «Putin molto probabilmente non vuole un confronto globale con la Nato» alla quale però ha dato un consiglio: «Fate di tutto perché questo non accada. Altrimenti, anche se Putin non lo vuole, i militari reagiranno». 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Secondo le autorità di Kiev il suo fermo era stato possibile «grazie alla stretta collaborazione del servizio di sicurezza dell’Ucraina con l’ufficio del procuratore generale, partner internazionali e come risultato di un’operazione speciale a più livelli delle forze dell’ordine ucraine ufficiali». L’Sbu ritiene che Shariy «abbia commesso crimini ai sensi di due articoli del codice penale ucraino: l’articolo 111 (tradimento) e l’articolo 161 (violazione dell’uguaglianza dei cittadini a seconda della loro razza, nazionalità, convinzioni religiose, disabilità e altri motivi)». Inoltre, l’ Sbu lo accusava di aver «svolto attività illegali a danno della sicurezza nazionale ucraina nella sfera dell’informazione. C’è motivo di credere che Shariy abbia agito per conto di entità straniere» ma non solo, nella nota stampa si legge che «le prove raccolte dall’indagine sono state confermate da una serie di studi di esperti, che hanno stabilito che le interviste e i discorsi di Shariy contengono fatti delle sue attività sovversive contro l’Ucraina». Ma chi è Anatoliy Shariy, che da tempo era ricercato dagli 007 di Kiev? Nato nel 1978 a Kiev, è un blogger e giornalista d’inchiesta ucraino che i media del suo Paese descrivono come «filo russo» e «anti ucraino», etichette che lui ha sempre negato. Si è occupato di inchieste sulla corruzione in Ucraina e su temi a sfondo sociale, come la diseguaglianza e la povertà. Molto attivo sul Web, Anatoliy Shariy nel 2013 ha aperto un canale Youtube che oggi conta quasi 3 milioni di iscritti. Nel 2019 Shariy era al 34° posto nell’elenco delle 100 persone e fenomeni più influenti in Ucraina compilato dalla holding dei media Vesti e ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro. Nel suo passato però non sono mancati episodi molto controversi, come nel 2010 quando scrisse che «mostrava comprensione per lo sterminio di omosessuali e dei Rom nelle camere a gas durante il Terzo Reich», poi nel 2021 Shariy si è scusato per il suo passato di 11 anni fa e ha affermato che le sue opinioni erano cambiate da allora». Innumerevoli le causa penali contro di lui e le minacce di morte che secondo quanto lo stesso racconta lo hanno costretto a chiedere asilo politico all’Unione Europea, che ha accolto la sua richiesta, tanto che il blogger si è stabilito a vivere prima in Lituania, poi in in Olanda e infine in Spagna assieme alla sua seconda moglie, la giornalista Olga Bondarenko. Ex sostenitore del presidente ucraino Volodymyr Zelensky durante la sua campagna presidenziale contro l’ex presidente Petro Poroshenko, ad un certo punto è entrato in rotta di collisione con il presidente ucraino dopo che Shariy ha pubblicato una serie di articoli nei quali si narravano vicende di corruzione dell’esecutivo guidato dall’ex attore.
Zerocalcare e il presidente dell’Associazione italiana editori Innocenzo Cipolletta (Ansa)
«Abbiamo preso posizione molto forte quando c’è stata la censura di Scurati alla Rai. Abbiamo preso posizione quando il commissario italiano per la fiera di Francoforte ha dichiarato di aver censurato Saviano», ci dice Cipolletta. «Abbiamo preso posizione contro la censura, anzi l’arresto di uno scrittore come Boualem Sansal in Algeria. Siamo contro le censure. Ora che c’è una proposta di censura nei confronti di una casa editrice, anche se non condividiamo nulla del pensiero che porta avanti, non possiamo essere a favore di questa censura. Perché se censuriamo qualcuno di cui non condividiamo l’opinione, poi alla fine dovremo anche ammettere la censura nei confronti di quelli di cui condividiamo le opinioni. Quindi assolutamente siamo contro le censure». Cristallino. E Cipolletta rincara pure la dose: «Quando si comincia con la censura non si sa più bene dove si finisce. Oggi magari si censura qualcosa che non ci piace, ma domani si cominceranno a censurare anche opinioni che invece condividiamo, e rischiamo di prendere una china molto pericolosa. Se gli editori commettono reati, devono essere denunciati alla Procura. Noi non censuriamo».
Mentre il presidente dell’Aie dà lezioni di liberalismo, a sinistra si scatena lo psicodramma consueto. Zerocalcare ha mollato il colpo e non andrà alla fiera perché, sostiene, ha i suoi paletti. Lo scrittore Christian Raimo invece i paletti vorrebbe piantarli nel cuore dei fascisti e rivendica il tentativo di censura, spiegando che la sua pratica è «sedersi accanto ai nazisti e dire “voi vi alzate io resto qui”». Qualcuno forse dovrebbe dire a Raimo che i nazisti li vede solo lui, e non se ne andranno perché sono voci nella sua testa, amici immaginari che gli fanno compagnia così che si senta anche lui un coraggioso militante pronto al sacrificio per l’idea.
C’è poi chi non rimane a combattere ma se ne va, tipo la casa editrice Orecchio Acerbo, che ha comunicato la sua fuoriuscita dall’Aie «in assoluto e totale disaccordo» con la decisione «di accogliere tra gli espositori di “Più libri più liberi” l’editore Passaggio al Bosco, il catalogo del quale è un’esaltazione di concetti e valori in aperto contrasto con quelli espressi dalla Costituzione antifascista del nostro Paese. Abbiamo deciso», scrivono da Orecchio Acerbo, «di uscire dall’associazione. Decisione presa a malincuore, ma consolidata dopo la davvero risibile argomentazione del presidente Cipolletta: l’Aie non sceglie chi sì e chi no».
Cipolletta risponde con chiarezza: «Ci dispiace, ma ripeto, come associazione di editori cerchiamo di non censurare nessuno e penso che gli editori potrebbero apprezzare, dopodiché se qualcuno non apprezza...». Se qualcuno non apprezza vada per la sua strada: sacrosanto.
In tutto questo bailamme figurarsi se poteva mancare il sindacato.
Slc Cgil e Strade (sezione dei traduttori editoriali) ci hanno tenuto a esprimere «ferma condanna e profonda preoccupazione» per la presenza dell’editore di destra alla kermesse romana. «Consentire la diffusione di narrazioni che celebrano ideologie discriminatorie rappresenta una minaccia per il patrimonio comune di libertà e pluralismo», dice la Cgil. «La libertà di espressione non deve diventare un veicolo per l’apologia del fascismo. Questo non è un semplice dibattito culturale, ma una questione cruciale che misura la capacità della società di respingere ogni tentativo di riabilitazione dell’ideologia fascista. La cultura non può essere un terreno per il travestimento del fascismo come opinione legittima».
In buona sostanza, la Cgil chiede di bandire una casa editrice indipendente tenuta in piedi da ragazzi che lavorano guadagnando poco e faticando molto, che non sono nazisti né fascisti e che hanno regolarmente chiesto e ottenuto uno spazio espositivo. Dunque il sindacato - invece di occuparsi dei diritti di chi lavora - opera per danneggiare persone oneste che fanno il loro mestiere. Il tutto allo scopo di obbedire ai diktat di un gruppetto di autori che masticano amaro perché costretti a riconoscere l’esistenza di una cultura alternativa alla loro. Il succo della storia è tutto qui: non vogliono concedere «spazi ai fascisti» semplicemente perché temono di perdere i propri. Si atteggiano a comunisti ma difendono con i denti la proprietà privata della cultura che vorrebbero dominare con piglio padronale. Stavolta però gli è andata male, perché persino l’associazione degli editori ha capito il giochino e si tira indietro.
I padroncini dell’intelletto vedono sfumare la loro autoattribuita primazia e allora scalciano e strepitano, povere bestie.
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Ecco #Edicolaverità, la rassegna stampa podcast del 5 dicembre con Carlo Cambi
Andrea Sempio (Ansa)
Un attacco frontale. Ribadito anche commentando i risultati dell’incidente probatorio genetico-forense depositati dalla perita genetista Denise Albani: «L’ennesimo buco nell’acqua a spese del contribuente, ho perso il conto, tutto per alimentare un linciaggio mediatico di innocenti, sbattuti da mesi in prima pagina».
Il punto è che queste parole, pronunciate per demolire l’impianto accusatorio delle nuove indagini, finiscono per sbattere contro un dettaglio che l’avvocato Aiello (che aveva chiesto di trasferire il fascicolo da Pavia a Brescia «per connessione» ottenendo un rigetto) tiene da parte: fu proprio Venditti, nel 2016, a iscrivere il fascicolo (poi archiviato) su Andrea Sempio sulla base quasi degli stessi presupposti che anche all’epoca sembravano non tenere conto dell’intangibilità del giudicato, ovvero la sentenza definitiva di condanna a 16 anni per Stasi. Tant’è che furono richieste (proprio da Venditti e dalla collega Giulia Pezzino) e poi disposte dal gip perfino intercettazioni di utenze e, in ambientale, di automobili (attività che, proprio come quelle odierne, non sono gratuite). Anche la critica sulla prova genetica nasce zoppa. La genetista Albani, incaricata nell’incidente probatorio, ha depositato una relazione di 94 pagine che evidenzia gli stessi limiti già noti all’epoca: «L’analisi del cromosoma Y non consente di addivenire a un esito di identificazione di un singolo soggetto». Ma, nonostante le criticità, i calcoli mostrano una corrispondenza «moderatamente forte/forte e moderato» tra le tracce di Dna sulle unghie di Chiara Poggi e l’aplotipo Y della linea paterna di Sempio. La conclusione è matematica: per la traccia «Y428 – MDX5», la contribuzione di Sempio è «da 476 a 2153 volte più probabile». Per la «Y429 – MSX1» è «approssimativamente da 17 a 51 volte più probabile». Non un’assoluzione, non una condanna, ma un dato: Sempio, o un soggetto imparentato in linea paterna con lui, ha contribuito a quelle tracce biologiche. La genetista avverte: «L’analisi del cromosoma Y non consente di addivenire a un esito di identificazione di un singolo soggetto». Ricorda però un passaggio importante: che la mancata replica (in genetica forense un risultato è considerato affidabile solo se può essere riprodotto più volte) è dovuta a «strategie analitiche adottate nel 2014» dal perito Francesco De Stefano, che «hanno di fatto condizionato le successive valutazioni perché non hanno consentito di ottenere esiti replicati». Ovvero: non è colpa delle nuove indagini se i dati sono lacunosi, ma degli errori di allora.
La relazione (di 94 pagine) sostanzialmente non si discosta da quella già effettuata in passato dal professor Carlo Previderé, che nulla aggiunge su come e quando quelle tracce del profilo «Y» sino finite sulle unghie di Chiara. «Nel caso di specie», scrive infatti la genetista, «si tratta di aplotipi misti parziali per i quali non è possibile stabilire con rigore scientifico se provengano da fonti del Dna depositate sotto o sopra le unghie della vittima e, nell’ambito della stessa mano, da quale dito provengano; quali siano state le modalità di deposizione del materiale biologico originario; perché ciò si sia verificato (per contaminazione, per trasferimento avventizio diretto o mediato); quando sia avvenuta la deposizione del materiale biologico».
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