2025-01-08
Dentro Pokrovs’k, la città assediata e completamente deserta
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Pokrovs’k potrebbe presto diventare il teatro di una delle battaglie simbolo del 2025 sul fronte del Donbass. Siamo entrati in città per valutare le condizioni reali di questa zona strategica, trovandoci di fronte a una realtà surreale, fatta di tensione, desolazione e resistenza.Prima di raccontarvi la nostra esperienza, vediamo la storia e l’importanza economica di questa città, cruciale per il settore minerario della regione.La storia e l’economia di Pokrovs’kNel 2022, Pokrovs’k contava 60.127 abitanti. La città si è sempre sostenuta grazie alla ferrovia e alla grande miniera di carbone, che forniva combustibile alle acciaierie ucraine, una volta leader mondiali nel settore. Oltre al carbone, la città era circondata da campi di cereali e semi di girasole, punteggiata da silos sparsi per la regione. Oggi, quei campi sono trasformati: fossati anticarro, trincee, fortificazioni e postazioni di artiglieria li attraversano, insieme a zone minate. Gli ucraini sembrano pronti a difendere la città fino all’ultimo, ma sono già organizzati per una possibile ritirata, strategica o forzata, un evento che potrebbe concretizzarsi nelle prossime settimane.La morsa dell’esercito russoLa pressione russa su Pokrovs’k è aumentata costantemente nel tempo. Il 7 agosto 2023, la città fu colpita da missili che uccisero nove persone. A luglio 2024, i russi lanciarono una nuova offensiva per conquistarla. Il 15 agosto, Serhij Dobriak, capo dell’amministrazione militare della città, riferì che le truppe russe si trovavano a soli 10 chilometri, esortando la popolazione civile a evacuare. Il 19 agosto, le autorità ucraine annunciarono l’evacuazione obbligatoria delle famiglie con bambini. Entro il 1° settembre, la popolazione era scesa a 36.000 persone. Il 5 settembre, la stazione ferroviaria fu chiusa per ragioni di sicurezza e i civili furono evacuati tramite autobus dalla vicina Pavlohrad. A quella data, 26.000 persone – tra cui 1.076 bambini – erano ancora in città. Oggi, molte delle strade utilizzate per raggiungere Pokrovs’k in passato sono sotto controllo russo. La città è accessibile solo da ovest e nord-ovest, mentre il resto delle vie d’accesso è stato occupato. Le forze russe si trovano a pochi chilometri dalle prime abitazioni della periferia sud-orientale, pronte ad avanzare in campo aperto, senza barriere naturali che possano ostacolare il loro cammino.La vita nel cuore della crisiNonostante i pericoli, alcuni civili rimangono in città. Anastasia, proprietaria di un piccolo negozio di alimentari, è una di loro. Ci accoglie in un ambiente illuminato solo da una torcia, senza corrente elettrica e con il generatore fuori uso per mancanza di benzina. Sugli scaffali ci sono solo acqua e scatolame. «Rimarrò finché potrò vendere quello che ho», ci dice con un inglese sorprendentemente fluente. «Se sarà necessario, scapperò, ma per ora resto». Anastasia, avvolta in un pesante cappotto nero e stivali imbottiti, ci mostra una mappa, indicando le aree più pericolose e i quartieri dove, secondo lei, si trovano le truppe russe.La nostra giornata prosegue tra incontri che rivelano un’umanità sospesa. Una signora anziana, intenta a sfamare alcuni gatti, scoppia in lacrime quando le chiediamo perché non ha evacuato. Una donna che gestisce un negozio di dolciumi prepara il caffè su un fornello a gas. «Non ho responsabilità, a parte me stessa e le mie caramelle», dice, mostrandoci con orgoglio la foto della figlia che studia in Svezia.La città e i suoi fantasmiPokrovs’k oggi appare come una città fantasma. La piazza centrale, dove un tempo si prendeva il caffè, è quasi deserta. Dei 60.000 abitanti, ne rimangono forse tra i 300 e i 1.000, difficile fare una stima precisa. Le persone che incontriamo sembrano spettri: trascinano carretti pieni di acqua o legna, portano a passeggio i cani, o lavorano per chiudere le finestre dei palazzi con pannelli di legno. Vicino alla grande chiesa ortodossa, tre preti celebrano una messa per poche anziane. Quando tentiamo di parlare con loro, ci invitano ad andarcene, mostrandosi ostili alla presenza di giornalisti. In città, i simboli della guerra sono evidenti: edifici distrutti, crateri di missili, e il rumore continuo di colpi di artiglieria che riecheggia nell’aria.Una città senza respiroPokrovs’k è ormai senza elettricità, acqua corrente, gas o servizi di base. Internet non c’è, e le autorità cittadine si sono trasferite 20 chilometri più a ovest. L’aria diventerà irrespirabile con l’arrivo della battaglia. La battaglia per Pokrovs’k sembra inevitabile, e il destino di questa città, un tempo simbolo della forza industriale dell’Ucraina, rischia di trasformarsi in un ulteriore capitolo tragico di questa guerra.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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