Sandro, il padre del costruttore romano arrestato nell'inchiesta sullo stadio della Roma, godeva di tante relazioni tra politica e burocrazia romana. Esattamente come oggi il figlio Luca. Tra i destinatari dei regali negli anni Ottanta c'è il numero uno della P2.
Nel nome del padre. La storia di Luca Parnasi, il costruttore romano arrestato per corruzione nell'inchiesta sullo stadio della Roma, arriva da molto lontano. Bisogna partire dal padre Sandro, uno che negli anni Cinquanta nell'Italia del dopo guerra si era fatto da solo per diventare negli anni Settanta uno dei più importanti immobiliaristi della Capitale, per capire come quel modo di fare anni Ottanta, come scrivono i magistrati nell'ordinanza di custodia cautelare, arrivi da molto lontano. Era stato anche lui un finanziatore della politica italiana, proprio come il figlio, ma soprattutto era stato una pietra angolare dell'Italia della Prima Repubblica, quella della Dc di Giulio Andreotti, dove già all'epoca si muoveva con abilità Luigi Bisignani, lobbista dalle molteplici vite, indagato anche lui in questa inchiesta che mina le fondamenta della giunta di Virginia Raggi e quelle del governo gialloblù di Giuseppe Conte. P come Parnasi, P2 e P4. Per di più sono tanti i punti di raccordo tra il mondo della famiglia di palazzinari romani e quelle di logge deviate o presunte tali. Centri di potere che si rigenerano inchiesta dopo inchiesta, nonostante le condanne e la politica che cambia tutto per non cambiare nulla. E a tornare in partita con il governo sembra essere la stessa squadra che ha occupato caselle strategiche durante la grandeur degli anni Settanta e Ottanta fino agli anni post Tangentopoli, riciclandosi persino negli anni del Pd di Matteo Renzi.
Gli affari con le benedizioni giuste non arrivano, e i Parnasi, in grado di far innervosire con la concorrenza pure il gruppo di Caltagirone, lo sanno bene. Tanto che, lavorando di archivio, si trova il nome di Sandro Parnasi tra la copiosa documentazione sequestra a Licio Gelli in quel di villa Wanda allo scoppio dello scandalo P2. Nei faldoni una lettera firmata di pugno dal venerabile della P2 indirizzata a Parnasi senior e datata 6 febbraio 1981: «rientrato da un lungo soggiorno all'estero per una "puntata" in Italia - si legge - ho trovato il magnifico dono che ha voluto inviarmi assieme agli auguri natalizi». Gelli per è di nuovo in partenza e può solo ringraziare per lettera «il graditissimo dono […] per il memore pensiero che esso sottointende». Un rapporto evidentemente cementato tra i due: tra le carte sequestrate a villa Wanda c'è pure una rubrica telefonica con i contatti di Sandro Parnasi e l'indirizzo di via Tevere al civico 48, sede storica della Parsitalia.
Passano i tempi, ma non i regali. Basta leggere l'informativa dei carabinieri del Nucleo di Roma, nelle intercettazioni ambientali tra Parnasi e Bisignani per capire come funzionava questo presunto sistema corruttivo del figlio Luca. «Io pago tutti» dice intercettato. E di fronte ai magistrati si è difeso come spiegano i suoi avvocati, parlando di semplici relazioni ma non di un sistema corruttivo come sostiene l'accusa. E' un modus operandi che il gruppo Parnasi conosce bene, perché soprattutto durante la campagna elettorale, il costruttore finanzia la fondazione Eyu vicina al Partito democratico, esponenti politici di Forza Italia o del Movimento Cinque Stelle persino la nuova Lega di Matteo Salvini. Se ha commesso illeciti lo dimostrerà la magistratura, di sicuro è che il palazzinaro che voleva costruire il nuovo stadio della Roma sa bene come muoversi nei gangli della burocrazia statale. E chi è uno dei più profondi conoscitori di quel mondo? Luigi Bisignani.
Il nome evoca molte suggestioni, e ritrovarlo nelle carte dell'inchiesta è indice di quanto l'ex giornalista dell'Ansa che stava così simpatico di Andreotti, si sia dato da fare una volta interpretato il vento in poppa di Lega e 5 Stelle. Sbriga faccende e suggerisce, tanto da finire nel registro degli indagati con l'accusa di concorso in tentata corruzione: dopo la condanna definitiva per l'affaire P4 l'uomo non si è perso d'animo, e la procura gli contesta un tentativo di corruzione nei confronti del presidente della Cassa Forense, Nunzio Luciano.
Affari e relazioni, al limite della legge o perfettamente legali? D'altra parte la storia ritorna sempre. Sono almeno quattro i nomi che legano l'inchiesta che ha coinvolto Parnasi a quella appunto sulla cosiddetta P4. Non tutti sono indagati, ma la presenza dei loro nomi nelle intercettazioni rende il quadro ben definito. Oltre a Bisignani ci sono due uomini storicamente vicini al faccendiere (non indagati): Alessandro Bondanini della Four Consulting, società di consulenza riconducibile sempre a Bisignani, e Roberto Mazzei, commercialista, liquidatore della Parsitalia (la prima società della famiglia Parnasi, fondata dal padre di Luca, Sandro), ex presidente del Poligrafico «segnalato» all'allora ministro dell'Economia Giulio Tremonti di nuovo da Bisignani, e con la benedizione dei renziani nominato sindaco sindaco dell'Enel nominato a giugno 2016.
E guardando ai giorni della P2 un'altro punto di contatto: quei terreni all'Eur acquistati dai Parnasi per la nuova sede della provincia erano di Gaetano Graci e Francesco Finocchiaro, due dei «quattro cavalieri dell'apocalisse», come li aveva definiti il giornalista siciliano Pippo Fava, e passati per la fallita Sicilcassa. I Parnasi li avevano avuti per meno della metà del loro valore reale acquistandoli durante la liquidazione della banca sotto la vigilanza della Banca d'Italia. «Su questa vicenda - raccontò in un intervista all'edizione romana del Corriere della Sera lo stesso Alessandro Parnasi - sono state dette diverse cose inesatte e diffamatorie». Da Gelli ai tempi del governo del cambiamento il passo è breve. Basta un Parnasi.
L'inchiesta sui diritti del calcio tv segna la fine di un periodo di archiviazioni tutte avvenute quando nei corridoi della procura di Milano era in atto lo scontro tra l'ex capo della procura Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo, all'epoca responsabile del dipartimento sui reati contro la pubblica amministrazione. La conseguenza delle tensioni tra pm? Il vecchio pool di magistrati è scomparso.
Quante inchieste sono state fermate durante lo scontro nella procura di Milano tra l'ex procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e l'aggiunto Alfredo Robledo? Solo quelle sull'Expo 2015 dopo la famosa moratoria e l'intervento dell'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, o c'è molto altro ancora? Viene da domandarselo volgendo lo sguardo all'archiviazione per l'inchiesta su Infront da parte dei pm Giovanni Polizzi e Paolo Filippini. Si tratta di un fascicolo che rischia di finire nel dimenticatoio. L'indagine nacque nel 2014 e Robledo potè solo vedersela passare sotto il naso. In quell'anno, infatti, Bruti Liberati lo esautorò dal ruolo di responsabile del dipartimento dei reati contro la pubblica amministrazione assegnandosi in prima persona la delega. Quel team di magistrati è ormai preistoria.
L'anno scorso a lasciare la procura milanese fu Roberto Pellicano, che in una lettera descrisse tutto il suo rammarico per quanto accaduto. «La vicenda Bruti-Robledo mi ha profondamente segnato», scrisse Pellicano. «Nonostante non fossi più giovanissimo, mi ha strappato dal mio mondo sognante. Avevo sempre coltivato un'ingenua e consolatoria idea di 'diversità' della magistratura, che è stata spazzata via in pochi mesi. Lascio un Ufficio», concludeva Pellicano, oggi in forze alla procura di Cremona, «che mi piace meno di quello che avevo incontrato nel 2001; sarà il mio modo invecchiato di avvertire le cose». Parole che sono pesate come macigni nei corridoi del palazzaccio meneghino, ma che hanno aperto uno squarcio sulla gestione di quella che un tempo era ritenuta la procura più temuta d'Italia, dove il vecchio pool di Mani pulite smantellò la Prima Repubblica. A raccontare a riduzione dell'autonomia della magistratura a Milano - attraverso le parole di Robledo - è l'ultimo libro di Riccardo Iacona "Palazzo d'Ingiustizia"
Anche l'archiviazione Infront ricorda quella in stile Expo, avvenuta in contemporanea al patto del Nazareno tra Fi e il partito democratico di Matteo Renzi. L'indagine su Infront avrebbe potuto aprire un dibattito su come siano stati gestiti i diritti televisivi negli ultimi anni da parte della Lega Calcio e dalle squadre di Serie A.Il dibattito non si è mai aperto. E a intervenire è stato il solito ministro dello Sport Luca Lotti - renziano di ferro e cinghia di trasmissione con il mondo berlusconiano tramite Denis Verdini - con una riforma che ha cercato di mettere una pezza proprio in seguito alle indagini che hanno azzerato i vertici di Infront nel 2016. Ufficialmente, infatti, Marco Bogarelli e Giuseppe Ciocchetti, presidente e direttore generale, si dimisero per «passare ad altre avventure imprenditoriali. Ma in realtà è stato il peso delle indagini a cancellare un dominio incontrastato sul mercato dei diritti televisivi durato un decennio.
Non a caso a sostituire Bogarelli è stato Luigi De Siervo, avvocato di Firenze, con un passato in Rai, da sempre in ottimi rapporti con Renzi ma soprattutto già consulente, guarda caso, dell'avvocato David Mills. Sì proprio lui, consulente Fininvest per l'estero da cui sono nate le inchieste più spinose per l'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Anche per questo quando fu nominato De Siervo a capo di Infront, tra Lega e Cinque Stelle ci fu la corsa a condannare il Nazareno di Serie A. Fu un passaggio che avvenne durante le lunghe trattative per l'ingresso della proprietà cinese nel Milan.
Negli stessi giorni arrivarono pure le multe milionarie per Lega Calcio, Infront, Sky e Mediaset sulla vendita dei diritti televisivi per la Serie A 2015-2018 (66,4 milioni di euro in tutto) da parte dell'Antritrust. Per l'authority le aste avrebbero dato luogo a una ripartizione artificiosa tra gli operatori tradizionali «con il possibile effetto di escludere possibili nuovi concorrenti nel mercato», leggi Eurosport. Alla fine del 2016 la prima sezione del Tar del Lazio annulla tutto dopo i ricorsi degli aggiudicatari e quello firmato dagli avvocati Mario Libertini e Giulio Napolitano, figlio dell'ex presidente Repubblica Giorgio. Tra i volti noti degli avvocati che hanno seguito il ricorso alla giustizia amministrativa c'è pure quello di Antonio Catricalà, ex presidente dell'Antitrust. Sotto la sua presidenza l'Authority stabilì che l'acquisizione da parte di Infront delle società Mp It, Mp web e Mp lux non costituiva «il rafforzamento di una posizione dominante sui mercati interessati, tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza». Correva l'anno 2006.
Il manager Riccardo Silva esce dall'inchiesta Infront sulle partite di serie A. Dalla perizia dei consulenti della procura emergono anche i contatti d'affari con Barbara Berlusconi e Geronimo La Russa. Il manager ha ricapitalizzato la Cardi black box, galleria d'arte londinese.
Riccardo Silva, neppure cinquantenne, bocconiano rampante, è uno degli uomini più potenti del mondo. Basta guardare la sua pagina Instagram dove viene immortalato con i calciatori più forti, da Neymar a Kaka, o i manager che muovono le leve del calcio, come il numero uno della Fifa Gianni Infantino o lo sceicco Al Thani, proprietario del Paris Saint Germain ma soprattutto sceicco del Qatar. Proprietario di palazzi, ristoranti, aziende, si può definire tra i migliori imprenditori globali. Figlio d'arte, la famiglia paterna proprietaria da più di cento anni di Italsilva - gruppo Desa, uno dei principali gruppi chimici per produzione e distribuzione di detersivi e saponi, con sede a Seregno.
Non a caso ha anche stretti rapporti con il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, tanto da vantare persino una quota nella Cardi black box srl dal 2014, dopo un anno orribile per la rinomata galleria d'arte dove siedono tra i soci la figlia del presidente, Barbara Berlusconi (già a capo del Milan), Geronimo La Russa (figlio dell'ex ministro della Difesa Ignazio) e Luca Etro, figlio del noto stilista: nel 2013 il buco era di 150.000 euro. Di sicuro l'entrata di Silva è servita a dare un po' d'ossigeno.
Per questo motivo nel 2014, poco prima dell'asta dei diritti televisivi vinta da Infront, Cardi ha portato la sede della società a Londra e ha preso come socio proprio Silva, che ora vanta il 40,70% della galleria. È questo uno degli aspetti più interessanti emerso nella relazione tecnica fornita da Axerta nel luglio del 2016 ai magistrati milanesi che però non hanno avuto spazio per approfondire ulteriormente la vicenda.
Del resto non è una novità. La storia di Silva, ora di stanza a Miami, anche se iscritto all'anagrafe degli Italiani residenti all'estero dal 16 novembre 2010 con residenza a Londra, s'intreccia più volte con quella di Berlusconi. Amministra società che spaziano appunto dai detersivi (Chanteclaire) alle agenzie di modelle, vanta persino una gallery personale al Bass museum of art di Miami beach intitolata a lui e alla moglie Tatyana Silva, da cui ha avuto due figli, Giorgio e Nicolay. Ma il core business di Silva sono i diritti televisivi dei più importanti eventi sportivi del mondo, dal torneo di tennis Roland Garros fino alla Formula Uno al calcio. Caso vuole che nel 2016, anno in cui le indagini emergono con maggior forza, Silva abbia deciso di vendere la sua Media Partners & Silva ai cinesi di Wanda group dopo che gli stessi avevano rilevato l'anno prima Infront. Costo dell'affare? Più di un miliardo di euro gestito nei mesi in cui Berlusconi cedeva il Milan ai cinesi. Per di più Silva é proprietario della squadra di calcio di Miami con l'ex capitano del Milan Paolo Maldini. Ha uno stadio a lui intitolato e sta organizzando a Miami un campionato del mondo per club in vista del 2020 insieme con Stephen Ross, padrone dei Miami Dolphins, squadra di football, ora interessato a salvare il Milan.
Ma come ha iniziatola sua carriera Silva, un manager che ama farsi fotografare con Chiara Ferragni e Fedez? Tutto nasce dal gruppo Media partners che a partire dai primi anni Duemila fino alla cessione al gruppo Infront (agosto 2006) ha operato a livello mondiale come titolare dei diritti di diffusione di eventi sportivi (anche italiani) presi in licenza direttamente dalle società. In base alla documentazione analizzata dai consulenti della procura di Milano, Ignazio Arcuri e Stefano Martinazzo, i rapporti tra il gruppo Media partners e Riccardo Silva, risalgono almeno al maggio 1999, quando quest'ultimo ha sottoscritto il 40,8% del capitale della neo-costituita Mediaweb, poi denominata MP web. Non solo. Nel luglio 2003 e nel dicembre 2004 Riccardo Silva ha rilevato complessivamente il 95% di Milan channel dalla società olandese MP Channels bv, quest'ultima detenuta da Mpi. Media partners international bv e riconducibile a Marco Bogarelli, Giuseppe Ciocchetti e Andrea Locatelli. Infine, nel luglio 2004, Riccardo Silva ha fondato la Media partners & Silva limited con sede a Dublino con il fine di intermediare i diritti audiovisivi del campionato di calcio italiano sui mercati internazionali. Silva vanta anche rapporti con la spagnola Mediapro, vincitrice dell'asta dei diritti delle partite di calcio in Italia 2018-2021, anche se ancora alle prese con la definizione dell'offerta dopo l'alleanza inedita tra Sky e Mediaset.
Nel mondo di Silva è tutto perfetto, ma i consulenti della procura hanno scoperto un problema a carico della moglie. Tutto nasce da una mail dell'8 agosto 2015. «In particolare" si legge «nel messaggio si evidenzia che in seguito all'intensificarsi di alcuni contrasti sulla ripartizione delle quote di Mp & Silva intervenuti tra Marco Auletta e Carlo Pozzali, quest'ultimo ha ricordato a Riccardo Silva che Tatyana Perevozchikova (moglie di Riccardo Silva) risiede negli Stati Uniti «totalmente in maniera illegale» grazie, si evince dal tenore dell'email, «alla copertura fornita da un contratto di lavoro fittizio». «Io da anni», scrive Pozzali a Riccardo Silva, «metto a repentaglio la mia permanenza negli Stati Uniti a causa del favore di sponsorizzare un "working visa" a Tatyana totalmente in maniera illegale». In realtà Perevozchikova «non ha mai avuto a che fare nulla con la mia azienda», scrive Pozzali a Silva.
Ancora più interessanti sono le mail dove Silva concordava i bandi dei diritti televisivi in Italia. Dalla lettura della relazione dei consulenti della procura si evince «che già la sera prima del giorno di disamina delle offerte (3 novembre 2009) e a qualche giorno della data in cui l'Assemblea della Lega Professionisti avrebbe proceduto ad assegnare i diritti audiovisivi esteri (6 novembre 2009), Riccardo Silva aveva ricevuto per email il dettaglio del contenuto delle buste, con l'indicazione dell'identità dell'offerente, dell'importo offerto e i commenti riguardanti le difformità riscontrate rispetto ai requisiti previsti dall'invito a offrire. Tutte informazioni che sarebbero dovute rimanere riservate fino all'assegnazione del 6 novembre successivo. Il 2 novembre Silva, sottolineano Arcuri e Martinazzo, avrebbe ricevuto, dal legale di Infront, che in quel momento è advisory della Lega nazionale professionisti, pure la bozza del verbale che la Lega nazionale professionisti avrebbe stilato il giorno successivo (3 novembre 2009) nel corso della riunione finalizzata ad esaminare le offerte pervenute.
La stessa mail arrivò pure ai vertici di Infront. «Alla luce di quanto descritto» - scrivono i consulenti nella relazione - «appare evidente che l'invio della bozza del verbale a Riccardo Silva, in via anticipata rispetto alle valutazioni e all'assegnazione dei diritti audiovisivi esteri da parte della Lega Calcio contenente dati relativi alle offerte economiche e alle valutazioni sugli eventuali elementi di difformità emersi, sia da considerarsi irregolare e in conflitto con i doveri di confidenzialità ai quali il legale di Infront Italy era tenuto». In ogni caso l'asta è da ritenersi regolare: «non sussistono elementi idonei a sostenere l'accusa», tra le altre pure quella di turbativa d'asta che i magistrati milanesi hanno archiviato.






