2021-02-17
Twitter «marchia» politici e istituzioni. I social sempre più gendarmi delle idee
Da oggi anche in Italia gli account governativi saranno contrassegnati in modo speciale: «Vogliamo utenti informati»«Se mi etichetti, mi annulli», diceva il filosofo Sören Kierkegaard. Chissà se è questo l’obiettivo finale di Jack Dorsey, patron di Twitter che ha deciso di allargare il sistema delle etichette speciali per politici e organi statali. La prova generale è stata fatta a fine 2019 in preparazione alle elezioni presidenziali Usa, ed è stata applicata a tutti i candidati. Poi nell’agosto 2020 è partita la Fase Uno vera e propria coinvolgendo anche i cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Cina, Federazione Russa, Francia, Regno Unito e Stati Uniti. E da oggi si amplierà ad altri 16 paesi tra cui l’Italia. Così i profili verranno resi più riconoscibili a tutti, è la motivazione dei vertici della società che sul suo blog sottolinea come la sua mission sia «aiutare la conversazione pubblica e una parte importante di quel lavoro è fornire alle persone un contesto in modo che possano prendere decisioni informate su ciò che vedono e su come interagiscono su Twitter». Il social network , ricordiamolo, aveva bannato l’allora presidente americano Donald Trump dopo la rivolta in Campidoglio del 6 gennaio. Come funzioneranno ora le etichette? Compariranno subito sotto il nome di leader politici, ministri esteri, istituzioni, ambasciatori, portavoce ufficiali e altre figure diplomatiche importanti, aziende, organi di informazione e altre entità controllate da governi, cui si aggiungeranno anche gli account personali, non istituzionali, dei capi di Stato. Le etichette, in sostanza, contengono informazioni sullo Stato a cui è affiliato l’account nonché sulla gestione o meno da parte di un funzionario pubblico o una entità media affiliata allo Stato. Inoltre, queste etichette includono una piccola icona a forma di bandiera per gli account gestiti da uno Stato oppure a forma di palco per gli account dei media considerati vicini a un particolare governo.L’iniziativa si aggiunge al progetto pilota annunciato dal colosso Usa alla fine di gennaio e battezzato «birdwatch» che coinvolge direttamente gli utenti, chiamati in prima persona a identificare e segnalare quei tweet con informazioni potenzialmente false o fuorvianti. L’uccellino al momento può «osservare» solo su base volontaria ed è limitato a un piccolo gruppo di persone ritenute idonee, qualificate e in possesso, fra l’altro, di un numero di telefono e di un indirizzo email verificati. I prescelti hanno la possibilità di evidenziare i cinguettii sospetti. Le note di contesto inserite non saranno visibili a tutti ma confluiranno su un sito separato, che Twitter vuol rendere accessibile al grande pubblico. Tutti i dati inseriti dagli utenti saranno disponibili al pubblico e scaricabili e, a mano a mano che l’azienda sviluppa gli algoritmi che alimentano Birdwatch, ad esempio i sistemi di consenso, verranno resi pubblici i codici.L’iperattivismo di Dorsey alimenta il dibattito su come i big della rete possano condizionare l’agenda degli obiettivi pubblici diventando una nuova frontiera del potere. Dopo i fatti di Capitol Hill, il «ban» delle big tech a Trump si è infatti allargato ai servizi online e alla finanza. Airbnb e Paypal hanno staccato la spina. E a «togliere l’amicizia» all’ex inquilino della Casa Bianca sono state anche le banche come i colossi Jp Morgan e Citigroup. Chiudendo i rubinetti, non solo per quanto riguarda le donazioni. E non basta. Lo stesso capo di Twitter sta lavorando al nuovo modello decentralizzato per i social media (ovvero non di proprietà di una singola piattaforma) plasmato dalla cosiddetta tecnologia blockchain usata per i bitcoin che possa «fornire un sistema affidabile in un ambiente sfiduciato». E farlo guadagnare. Perché Dorsey è anche al timone di Square, una società di pagamenti su Internet, che ha acquistato 50 milioni di dollari di bitcoin come parte di una scommessa sulla criptovaluta. Nel frattempo, lo scorso 16 gennaio il sito web Parler - popolare tra l’estrema destra Usa - è improvvisamente riapparso online ieri pomeriggio con un messaggio del suo ceo, John Matze: «Ciao mondo, siamo online?». Il social network sembra dunque aver trovato una nuova piattaforma dopo essere stato bandito da Amazon Web Services in seguito all’assalto al Campidoglio. Secondo una ricerca della Cnn, Parler è ora registrato con Epik, una società che ospita già Gab, un altro social spesso utilizzato dai supporters di Trump. Ma un portavoce di Epik, Robert Davis, ha smentito che la compagnia stia fornendo l’hosting. Sotto al messaggio di Matze è intanto comparso anche un aggiornamento sullo status nel quale si sottolinea che «ora è il momento giusto per ricordare a tutti voi, seguaci e hater, perché abbiamo avviato questa piattaforma. Riteniamo che la privacy sia fondamentale e la libertà di parola essenziale, soprattutto sui social media. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di fornire una piazza pubblica apartitica in cui le persone possano esercitare i propri diritti. Risolveremo qualsiasi sfida ci troveremo davanti e vi riaccoglieremo tutti presto».