2024-11-05
Tutti con Kamala, pure Indiana Jones. Ma il tifo dei Vip di solito porta sfiga
Dopo Bruce Springsteen, Taylor Swift, Eminem e Julia Roberts mancava solo Harrison Ford. Lo star system si butta a sinistra, tanto per cambiare. Anche se in passato non ha spostato nulla: chiedere a Hillary Clinton.Arieccolo. Il sempre affascinante Harrison Ford. Che riveste i panni del suo personaggio forse più celebre, l’archeologo Henry Walton Jones. In un ennesimo capitolo della saga cinematografica iniziata nel 1981? Macché. In un video in cui l’attore annuncia il suo voto a favore di Kamala Harris nella corsa per la Casa Bianca. Titolo del remake: Indiana Jones e il Trumpone maledetto. Dalle croci uncinate della seconda guerra mondiale ai nazisti dell'Illinois.Ultimo arrivato, l’attore ottantaduenne, nell’affollata legione di star, Vip e celebrità -attori, registi, cantanti, sportivi - che si sono pronunciati per la vice di Joe Biden. Tutti insieme appassionatamente, immaginandoli con la colonna sonora di Edoardo Bennato. «Arrivano i buoni, arrivano i buoni, e dicono basta a tutte le ingiustizie che finora hanno afflitto l’umanità, hanno le idee chiare e hanno già fatto un elenco di tutti i cattivi da eliminar, finalmente una nuova era per l’umanità comincerà».Da George Clooney (che il 10 luglio scorso picconò le velleità dell’attuale presidente scrivendo un editoriale per il New York Times dal titolo: «Amo Joe Biden. Ma abbiamo bisogno di un nuovo candidato») a Bruce Spingsteen, da Taylor Swift a Julia Roberts, passando per Alicia Keys, Beyoncé, LeBron James, Leonardo DiCaprio, Jeff Bridges, Drew Barrymore, Robert De Niro, Meryl Streep, Barbra Streisand, Cher, Jamie Lee Curtis, fino all’(ex) impresentabile Eminem e alla ciliegina sulla torta: il repubblicano Arnold Schwarzenegger. L’ex governatore della California ha spiegato, riferendosi al rifiuto di Trump di ammettere di aver perso le elezioni nel 2020: «Non accettare il risultato delle elezioni è il massimo dell’antiamericanismo. E io, prima di essere repubblicano, sono americano» (a rigore: austriaco naturalizzato). L’elenco potrebbe continuare, ma fermiamoci qui e chiediamoci: tutte queste esternazioni, questi endorsement, avranno un impatto sul risultato finale? Sì: pari a zero.Senza nulla togliere a tali rispettabili prese di posizione - perché la libertà di espressione è sacra, e se free speech (cavallo di battaglia della destra americana) deve essere, deve esserlo per tutti - va detto che i precedenti depongono a favore della nostra tesi.Basterebbe guardare alle elezioni del 2016, quando a Trump si contrappose un’altra donna, Hillary Clinton. Anche allora, a Hollywood e dintorni, fu tutta una corsa alla mobilitazione «democratica e antifascista» contro il «coatto» Donald. Con una sola eccezione: Clint Eastwood, che, davanti alla macchina da presa (si pensi all’ispettore Callaghan) ma pure dietro, come regista, ha da sempre dimostrato di avere in uggia lo «stucchevolmente corretto» e i suoi cascami (nel 2017 a Cannes, parlando proprio dell’uscita nel 1971 di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!, dichiarò, secondo quanto scrisse The Hollywood Reporter: «We’ve lost our sense of humor, we are killing ourselves», abbiamo perso il senso dell’umorismo e ci stiamo ammazzando con le nostre mani; va anche aggiunto che nel 2020 a Trump però preferì l’indipendente Michael Bloomberg, il quale poi però si ritirò dalla corsa, schierandosi per Biden).Ma se le esternazioni dei liberi e belli non hanno sortito alcun effetto negli Usa 2016, non meglio è andata in Francia nel 2005. Referendum sul Trattato europeo. Per il Sì il fronte politico andava dal presidente Jacques Chirac al leader dell’opposizione socialista François Hollande. Il socialista Jack Lang, già ministro della Cultura, aveva riunito 300 personalità in un brillante «comitato di sostegno» per il Sì, con intellettuali, premi Nobel, e via svippando. Con tanto di Legione straniera arruolata per l’occasione: da Dario Fo a Umberto Eco, da Gilberto Gil a Elie Wiesel, Wim Wenders, Pedro Aldomovar, Ettore Scola e Bono Vox degli U2. Risultato? Una tranvata. L’arco costituzionale francese, riunito con artisti & intellettuali sulla terrazza vista Tour Eiffel, fu sonoramente sconfitto. E venendo a casa nostra, nel 2001, davanti al possibile ritorno a Palazzo Chigi di Silvio Berlusconi, la Rai, con la presidenza di Roberto Zaccaria, vide due frontman menare duro: Enzo Biagi - che venerdì 11 maggio (si votava il 13) ospitò Roberto Benigni per un comizio all’insegna del «Silvio, dicci dove ha preso i soldi» - e Michele Santoro, che nel talk show Il raggio verde si collegò con Sabrina Ferilli al Teatro Sistina (dove l’attrice stava recitando in Rugantino), per una chiamata alla «resistenza» contro il vituperato Cavaliere. E come finì? Con quasi 11 milioni di voti per Forza Italia. E poco più di 6 per i Ds: poco più di 6 (oltre 18 per la Casa delle libertà, e quasi 13 per l’Ulivo, per arrivare a 16,5 sommando 1,9 milioni di voti per Fausto Bertinotti e 1,4 per Antonio Di Pietro).Morale della favola: «endorsare» può servire a tanti scopi (sinceri o strumentali, per collocarsi dalla parte «giusta» o per soddisfare il proprio ego), ma di certo non a raggiungere quello principale, convincere gli elettori a votare il proprio candidato.