2019-01-23
Tutte le nomination portano a «Roma». Netflix punta l’Oscar
La piattaforma streaming convince l'Academy: il film di Alfonso Cuarón è in lizza in 10 categorie e può riscrivere la storia del cinema. Netflix ha stretto un accordo con Martin Scorsese, il cui The Irishman debutterà online nel corso del 2019, uno con i fratelli Coen. Ha raccontato la morte di Stefano Cucchi. E si è giocata l'asso del regista messicano, ottenendo di rimando un biglietto d'ingresso per la competizione più ambita dell'intera Hollywood. Reazionari e progressisti, pro sala e pro salotto. Hollywood e Netflix. Nel cinema, si è combattuta una battagliata violenta contro l'avanzata delle nuove tecnologie, contro il potere crescente dello streaming. Ma la tradizione e gli organi preposti alla sua salvaguardia sono capitolati. Martedì pomeriggio, l'Academy si è arresa all'esistenza di Netflix e a Roma, di Alfonso Cuarón, ha assegnato 10 nomination agli Oscar. Cosa, questa, senza alcun precedente. Netflix, nell'eterna lotta con l'industria «reazionaria», quella che «il pubblico e le sale piene e i blockbuster e la distribuzione canonica», non aveva manifestato alcun interesse per i premi. Ingaggiato un battibecco con Cannes, aveva preferito ritirarsi dalla Croisette anziché cedere al ricatto dei francesi: «O distribuite i vostri film al cinema prima di darli online, o fate le valigie». E valigia fu. Il colosso dello streaming s'era accontentato di Venezia, dove a settembre Roma di Cuarón, film tanto anacronistico da risultare moderno, si era aggiudicato il Leone d'Oro. Ma gli Oscar, quelli sembravano fantascienza. Roba che Netflix nemmeno avrebbe voluto, perché della tradizione - e delle sue liturgie - la piattaforma online finora se n'era fatta un baffo. Con Roma il gioco è cambiato. Netflix, quando ieri sono state rese pubbliche le nomination agli Oscar, ha scoperto le proprie carte e detto al gotha hollywoodiano che un altro cinema è possibile. Cuarón ha girato Roma in bianco e nero, lo ha ambientato a Colonia Roma, nella porzione di Città del Messico in cui è cresciuto, e lo ha fatto recitare in lingua originale, in spagnolo. Al cinema se lo sarebbero filati in due: Cuarón e i parenti più stretti, forse qualche amante della famosa «nicchia». Ma certo non sarebbe finito nel novero dei capolavori datati 2018. Perché la sala risponde al richiamo dei grandi attori, delle saghe poco impegnative, del box office. E al diavolo i film d'autore. Film che solo Netflix ha avuto la lungimiranza di far propri.Il colosso dello streaming, non dovendo rispondere ad altra dinamica che quella degli abbonati, si è dato alla produzione di film alti. Ha stretto un accordo con Martin Scorsese, il cui The Irishman debutterà online nel corso del 2019, uno con i fratelli Coen. Ha raccontato la morte di Stefano Cucchi. E si è giocata l'asso Cuarón, ottenendo di rimando un biglietto d'ingresso per la competizione più ambita dell'intera Hollywood. Roma ieri ha portato a casa dieci nomination agli Oscar. Miglior film, miglior regia, miglior film straniero, miglior sceneggiatura originale, miglior scenografia, miglior montaggio sonoro, miglior sonoro, miglior fotografia, miglior attrice protagonista e miglior attrice non protagonista. Altrettanto, è riuscito a fare solo La Favorita di Yorgos Lanthimos, nelle sale italiane da domani. Gli altri, kolossal hollywoodiani di sicuro richiamo, si sono dovuti accontentare di molto meno. A star is born, debutto alla regia di Bradley Cooper ed esordio alla recitazione di Lady Gaga, ha avuto otto nomination, e così Vice, la storia di Dick Cheney. Bohemian Rhapsody ne ha prese cinque, come Green Book, primo nominato di una sequela di titoli «black». Quasi a volersi lavare le mani dalle accuse che ogni anno, puntuali, tacciano gli Oscar di razzismo, l'Academy ha nominato nelle più importanti categorie pellicole e interpreti afroamericani. Black Panther, primo lungometraggio dedicato a un supereroe di colore, è stato scelto come uno dei migliori film. Blackkklansman, storia del detective nero che nel 1979 riuscì ad infiltrarsi tra le fila del Ku Klux Klan sventandone i piani, ha ricevuto sei nomination. E Spike Lee, che lo ha diretto, ha ricevuto la sua prima candidatura all'Oscar - come miglior regista - dopo 30 anni di carriera. Mahershala Ali, che nel 2017 - grazie a Moonlight - è stato il primo attore musulmano a vincere una statuetta, è stato nominato per Green Book. Il film, diretto da Peter Farrelly, racconta l'improbabile amicizia tra un buttafuori italoamericano e un pianista afroamericano, costretto, nell'America degli anni Sessanta, a cercare sul proprio «green book» i luoghi in cui i neri erano ammessi. Il pianista, nella commedia, è descritto come un uomo di gran talento, cui il razzismo rende la vita un inferno. I toni sono leggeri, il film è strepitoso, il tema condiviso con l'altrettanto nominato Se la strada potesse parlare. L'adattamento del romanzo scritto da James Baldwin nel 1974 è basato su un sopruso subito da una famiglia di colore nella Harlem anni Settanta. Regina King, che nella pellicola interpreta la madre della protagonista, ha ricevuto una nomination come miglior attrice non protagonista. Il film, complessivamente, ne ha portate a casa tre, dimostrando come gli Oscar, nella cerimonia fissata al 24 febbraio prossimo, abbiano deciso di cambiare faccia. Di ripulirsi dalle accuse, di fare largo al nuovo. Di lasciare che Netflix, cui sono state assegnate tre nomination anche per La Ballata di Buster Scruggs, prenda finalmente il controllo di Mount Lee.
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