2024-03-07
Trump vince il Super Tuesday. Haley costretta a ritirarsi. Ora i dem vogliono i suoi voti
Trump al termine del «Super tuesday» (Getty Images)
The Donald trionfa in 14 Stati su 15. Il consigliere alla «Verità»: «America pronta a licenziare Sleepy Joe». L’ex ambasciatrice si congratula, però non svela i suoi piani.Le primarie presidenziali repubblicane sono arrivate a un punto di svolta. Donald Trump ha trionfato al Super Tuesday, conquistando 14 dei 15 Stati in cui si votava: Alabama, Alaska, Arkansas, California, Colorado, Massachusetts, Maine, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Texas, Utah e Virginia. «Gli americani di tutto il Paese hanno portato a una vittoria schiacciante per il presidente Trump», ha detto ieri in esclusiva alla Verità Brian Hughes, che è un alto funzionario del team elettorale di Trump e suo senior advisor, commentando il voto di martedì. «Trump è il candidato repubblicano perché gli americani sono pronti a licenziare Joe Biden per ripristinare la nostra forza nel mondo, proteggere i confini della nostra nazione e tornare a un’economia che aiuta i lavoratori americani», ha proseguito Hughes, parlando al nostro giornale. D’altronde, la forza della performance elettorale dell’ex presidente è stata tale da spingere Nikki Haley ad annunciare il proprio ritiro: una svolta non poi così inattesa. Al Super Tuesday, l’ex ambasciatrice aveva espugnato soltanto il Vermont: uno Stato che mette in palio appena 17 delegati e che, a livello di elezioni presidenziali, è una roccaforte dem dal 1992. A rendere ancor più amaro il quadro per la Haley è stato il fatto di aver perso di quasi 30 punti in Virginia: un’area su cui l’ex ambasciatrice aveva scommesso molto. D’altronde, più in generale, la sua campagna non era mai decollata: l’unica competizione che aveva vinto prima del Super Tuesday erano state le primarie di Washington Dc. Anche sul piano dei delegati, il divario era ormai diventato di fatto incolmabile. Ieri pomeriggio, il New York Times ne attribuiva a Trump 995, mentre la Haley si fermava a quota 89. Ricordiamo che il quorum necessario per la nomination è di 1.215: un obiettivo che l’ex presidente dovrebbe essere in grado di conseguire nell’arco di un paio di settimane. «Con ogni probabilità, Donald Trump sarà il candidato repubblicano quando la convention del nostro partito si riunirà a luglio. Mi congratulo con lui e gli auguro ogni bene. Auguro ogni bene a chiunque voglia diventare presidente dell’America», ha detto l’ex ambasciatrice, annunciando la sospensione della campagna elettorale. La Haley non ha però dato un endorsement all’avversario. «Spetta ora a Trump guadagnare i voti di coloro che, nel nostro partito e al di fuori di esso, non lo hanno sostenuto. E spero che lo faccia», ha detto, precisando di essere una «repubblicana conservatrice». Come vanno lette queste parole? In primis, il fatto di aver sottolineato di essere una «repubblicana conservatrice» sembra allontanare l’ipotesi che la Haley voglia candidarsi da indipendente. In secondo luogo, bisognerà capire se ha intenzione di tirare i remi in barca, facendo opposizione interna e scommettendo su una debacle di Trump a novembre, o se, prima o poi, sceglierà di dargli un endorsement e magari di negoziare l’ingresso in un eventuale ticket come candidata vice al suo fianco. È ancora troppo presto per fare previsioni. Al momento, l’unica cosa certa è che Biden ha fatto appello agli elettori della Haley. «C’è un posto per loro nella mia campagna», ha detto il presidente. Non bisogna comunque commettere l’errore di ritenere l’elettorato dell’ex ambasciatrice come omogeneo. Esso include senz’altro dei repubblicani visceralmente antitrumpisti, ma anche elettori che, pur di non votare dem, a novembre si tureranno il naso e sosterranno l’ex presidente. Sbagliano dunque quegli analisti che considerano i voti espressi a favore dell’ex ambasciatrice come blocchi granitici pronti a boicottare compattamente la corsa elettorale di Trump. Nel frattempo, dopo l’addio della Haley, Trump è rimasto l’unico contendente alle primarie e, pur non avendo ancora blindato matematicamente la nomination, è stato proclamato candidato presidenziale in pectore dal Comitato nazionale repubblicano. Non solo. Il diretto interessato ha anche ricevuto l’endorsement dal capogruppo dei senatori repubblicani uscente, Mitch McConnell: figura con cui l’ex presidente è da tempo ai ferri corti. Certo, Trump ha i suoi problemi. Innanzitutto, la raccolta fondi per lui sta diventando sempre più urgente. Domenica aveva avuto un incontro con grossi finanziatori del Gop e con Elon Musk, il quale tuttavia ieri ha reso noto che non donerà soldi ai candidati presidenziali americani. In secondo luogo, pur conquistando con ampio margine Virginia e North Carolina al Super Tuesday, Trump ha incontrato difficoltà nelle locali aree suburbane benestanti, che sono cruciali per le presidenziali novembrine. Infine si registra l’incognita dei processi e di eventuali condanne. Vanno però fatte tre precisazioni. Primo: un anno fa c’era chi diceva che le incriminazioni avrebbero azzoppato elettoralmente l’ex presidente e invece lo hanno rilanciato. Secondo: Washington Post e Wall Street Journal hanno recentemente riportato che, in New Hampshire e South Carolina, Trump era andato meglio del solito con gli elettori suburbani. Più in generale, va inoltre tenuto presente che l’attuale Gop si è maggiormente avvicinato alla working class bianca e alle minoranze: ciò spiega, in parte, la minore competitività negli hinterland benestanti. Terzo: che l’ex presidente, rispetto a Biden, sia in difficoltà in termini finanziari è oggettivo. Tuttavia va rammentato che, nel 2016, Hillary Clinton spese il doppio di Trump per la propria campagna presidenziale. E ricordiamo tutti come andò a finire.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.