2019-09-10
Trump silura Bolton che voleva la guerra in Venezuela
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Alla fine è successo. John Bolton non è più il consigliere per la sicurezza nazionale americano. A dare l'annuncio è stato poco fa lo stesso Donald Trump su Twitter. «Ho informato John Bolton ieri sera che i suoi servigi non sono più richiesti alla Casa Bianca», ha scritto il presidente americano. «Ero in profondo disaccordo con molti dei suoi suggerimenti […] Ho quindi chiesto a John le sue dimissione che mi ha rassegnato stamane. Ringrazio molto John per il suo servizio. Nominerò un nuovo consigliere per la sicurezza nazionale la prossima settimana». Poco dopo l'annuncio, lo stesso Bolton ha dichiarato su Twitter: «Ho rassegnato le mie dimissioni ieri sera e il presidente mi ha detto 'Ne parliamo domani'».Il siluramento di Bolton non è stato esattamente un fulmine a ciel sereno. Che con Trump non corresse buon sangue era infatti chiaro da tempo. Nominato consigliere per la sicurezza nazionale a marzo del 2018 (il terzo, dopo Mike Flynn e H. R. McMaster), Bolton incarnava una linea diametralmente opposta in politica estera a quella del presidente. Se Trump aveva vinto le presidenziali del 2016 con la promessa di porre un freno alle "guerre senza fine" in cui gli Stati Uniti erano rimasti impelagati nei decenni precedenti, Bolton auspicava invece una strategia internazionale assertiva e bellicosa. Questa discrasia suscitò non a caso qualche perplessità sulla sua nomina: una nomina probabilmente avvenuta in nome di un compromesso tra Trump e i falchi del Partito repubblicano, che volevano dare una sterzata all'approccio realista dell'attuale presidente.Le tensioni tra i due non hanno d'altronde tardato a manifestarsi: soprattutto su alcuni dossier particolarmente rilevanti. Innanzitutto Bolton non ha mai granché digerito il tentativo di distensione portato avanti da Trump verso storici avversari dell'America, come la Russia e la Corea del Nord. Negli ultimi mesi, poi, profondi attriti si sono consumati sul Venezuela e l'Iran. In entrambi i casi, Bolton invocava l'intervento militare diretto dello Zio Sam: suo obiettivo era quello di attuare un cambio di regime tanto a Caracas quanto a Teheran. Trump, dal canto suo, ha sempre tirato il freno a mano. Pur mostrandosi favorevole a esercitare pressione economica e militare su entrambi i regimi, il presidente ha costantemente evitato l'opzione bellica, temendo di restare impantanato in un nuovo Iraq o in un nuovo Afghanistan. Una eventualità che, secondo l'inquilino della Casa Bianca, avrebbe portato nuovamente gli Stati Uniti a doversi sobbarcare ingenti costi economici e umani. Una eventualità che - tra l'altro - si sarebbe probabilmente rivelata deleteria anche in termini elettorali, vista la crescente opposizione del popolo americano verso l'interventismo dei Bush e dei Clinton. In particolare, pare che la goccia che ha fatto traboccare il proverbiale vaso sia da ricercarsi nel fallito vertice segreto che si sarebbe dovuto tenere domenica scorsa tra Trump e i rappresentanti dei talebani, per favorire un accordo in grado di porre fine alla guerra in Afghanistan. Un vertice rispetto a cui, secondo i beninformati, Bolton si sarebbe duramente opposto, suscitando così le ire del presidente.Più in generale, i due erano divisi da un'antitetica impostazione di fondo. Bolton, vicino alle galassie neoconservatrici dell'American Enterprise Institute, è un convinto sostenitore dell'esportabilità dei valori americani a livello internazionale. Trump, nel discorso che tenne alle Nazioni Unite nel settembre del 2017, disse chiaramente di voler rispettare la sovranità dei vari Stati, senza voler imporre valori o princìpi ad essi estranei: una linea molto vicina alla dottrina di Henry Kissinger. Negli ultimi tempi, pare che i rapporti personali tra i due fossero ormai abbastanza deteriorati, tanto che - secondo alcune indiscrezioni - il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, avrebbe talvolta dovuto fungere da mediatore.Adesso, con l'uscita di scena di Bolton, bisognerà tenere gli occhi puntati sul suo successore, per capire che tipo di prospettiva Trump vorrà portare avanti in politica estera. In realtà, bisogna considerare che non sempre i consiglieri per la sicurezza nazionale svolgano ruoli di primo piano: dipende spesso dal carattere del nominato e dall'accondiscendenza del presidente. George W. Bush intrattenne per esempio un ottimo rapporto con Condoleezza Rice nel corso del suo primo mandato, così come Richard Nixon con Kissinger. Ecco: è a questo tipo di legame solido che probabilmente Trump dovrà puntare, per condurre una politica estera organica e coerente con la sua linea. Evitando gli sgambetti di chi, a Washington, vorrebbe farla deragliare.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?