2022-05-29
Trump prenota la rivincita con la «lobby del grilletto» e riempie i forzieri di dollari
Il leader repubblicano annuncia la ricandidatura: daremo la caccia ai criminali. Joe Biden in difficoltà prova a scaldare l’elettorato utilizzando la minaccia di Donald Trump.Donald Trump sta pensando seriamente a una ricandidatura presidenziale. A farlo capire, è stato lui stesso l’altro ieri, durante un discorso tenuto al meeting annuale della lobby delle armi, la Nra. Auspicando maggior sicurezza nelle scuole dopo il massacro di Uvalde e criticando la debole gestione del crimine da parte dei democratici, l’ex presidente ha dichiarato: «Se mai dovessi farlo di nuovo, vale a dire candidarmi alla presidenza e vincere [...] reprimerei i crimini violenti come mai prima d’ora». «Insieme ci riprenderemo la Camera, ci riprenderemo il Senato. E nel 2024 riprenderemo quella grande e bellissima Casa Bianca che amiamo così tanto», ha aggiunto. Certo: non si tratta ancora di una candidatura ufficiale. Tuttavia queste parole evidenziano come l’ex presidente ritenga più che probabile una sua nuova discesa in campo. Del resto, non è un mistero che Trump scioglierà formalmente le riserve sul proprio futuro soltanto dopo le elezioni di metà mandato che si terranno il prossimo novembre. Per quanto non sia candidato ad alcuna carica, l’ex inquilino della Casa Bianca vuole infatti testare la sua presa sul Partito repubblicano. Una presa che, in base alle elezioni primarie tenutesi finora, resta salda, pur al netto di alcune oggettive difficoltà. Nelle scorse settimane, Trump ha visto vincere alcuni significativi candidati a cui aveva dato il proprio endorsement, come JD Vance, Doug Mastriano, Ted Budd e Sarah Huckabee Sanders. Non sono però mancate cattive notizie per l’ex presidente, come la sconfitta di Madison Cawthorn in North Carolina o la vittoria di Brian Kemp: il governatore uscente della Georgia, con cui Trump aveva polemizzato nel 2020 nel mezzo delle sue accuse di brogli elettorali. Pur mantenendo la presa sul partito, l’ex presidente deve quindi far fronte ad alcuni problematici scricchiolii. Questo dovrebbe farlo riflettere sulla complessità della situazione. Da una parte, Trump resta nel panorama politico repubblicano (e, se vogliamo, americano tout court) una delle poche leadership carismatiche e ben riconoscibili: un fattore di notevole importanza (soprattutto se correlato all’estrema irresolutezza di Joe Biden). Dall’altra parte, Trump deve però consentire al partito di «respirare», valorizzandone le articolazioni interne ed evitando di trasformare le prossime competizioni elettorali in un referendum su sé stesso. In tutto questo, bisognerà monitorare le primarie in cui sono coinvolti candidati apertamente anti trumpisti. È per esempio il caso del Wyoming, dove sta correndo per la riconferma alla Camera Liz Cheney: uno dei deputati repubblicani che l’anno scorso votarono per mettere Trump in stato d’accusa. Secondo un sondaggio condotto da Club for Growth (organizzazione conservatrice che, va detto, è schierata contro la sua candidatura), la Cheney, nonostante il potente network dei Bush che la foraggia, sarebbe attualmente al 26%: trenta punti in meno rispetto alla candidata di Trump, Harriet Hageman. Al di là del voto di midterm, l’ex presidente è rafforzato anche dal crollo di popolarità che ha investito l’attuale inquilino della Casa Bianca (il quale è atteso oggi a Uvalde, per incontrare i leader religiosi e i famigliari delle vittime). Secondo una rilevazione Harvard-Harris condotta tra il 18 e il 19 maggio, in un eventuale nuovo duello nel 2024 Trump otterrebbe il 45% dei voti contro il 42% di Biden. Un risultato ancora migliore si registrerebbe in una sfida con Kamala Harris: la vicepresidente conquisterebbe infatti appena il 40% dei consensi contro il 47% dello stesso Trump. Va tra l’altro tenuto presente che anche Biden sta probabilmente aspettando le elezioni di metà mandato per decidere se ufficializzare o meno una sua ricandidatura: elezioni di metà mandato che si annunciano particolarmente difficili per il Partito democratico, soprattutto a causa dell’inflazione galoppante, del caro energia e dei problemi legati all’immigrazione clandestina. Non a caso, secondo il sito FiveThirtyEight, i repubblicani risultano al momento i favoriti per conquistare la maggioranza al Congresso. Tra l’altro, l’ex presidente può contare su una notevole potenza di fuoco a livello finanziario. A marzo, Politico ha riferito che il suo Save America Pac aveva oltrepassato i 110 milioni di dollari: una cifra superiore ai fondi raccolti dal comitato nazionale repubblicano e da quello democratico messi insieme. Non solo. Ad aprile, Fortune riportò che Trump starebbe andando particolarmente bene a livello di piccoli finanziatori, avendo rastrellato 9 milioni di dollari nel primo trimestre del 2022 da donazioni inferiori ai 200 dollari. Il dato è significativo, soprattutto alla luce del fatto che, fino a pochi anni fa, era la sinistra americana (a partire da Bernie Sanders) a fare principalmente affidamento sui micro-finanziamenti. D’altronde, al di là dell’eventuale ricandidatura, Trump ha già riposizionato efficacemente il Partito repubblicano, rendendolo più vicino alla working class e, checché ne dica qualche impreparato analista, alle minoranze etniche. Nelle ultime settimane, Biden ha ricominciato a impostare la strategia elettorale dem sulla costruzione di una santa alleanza contro il presunto estremismo trumpista: una linea, questa, che si è tuttavia già rivelata fallimentare per l’asinello alle elezioni governatoriali in Virginia lo scorso novembre. Il 2020 è ormai lontano. E gli elettori hanno potuto toccare con mano i conclamati fallimenti di Biden. Non sarà facile nasconderli sotto il tappeto con un gioco di prestigio.
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