2025-02-21
La Casa Bianca fa deflagrare i partiti
È bastato un mese per sconvolgere le nostre categorie politiche: la sinistra ha ritrovato un nemico da odiare, la destra è alle prese con il difficile compito di «domare» il tycoon.È bastato un mese di Trump alla Casa Bianca per mandare in cortocircuito non solo l’establishment euro-occidentale ma anche quelle due maschere grottesche della destra e della sinistra. Litigavano fino a ieri, e anche pesantemente, ma erano ambedue filoamericane e filoucraine, favorevoli alla guerra a oltranza ed entrambe ostili a ogni negoziato con la Russia. Sul piano generale degli orientamenti la sinistra aveva già da diversi anni abbandonato il vecchio antiamericanismo dei tempi della guerra in Vietnam, l’antimperialismo e l’anticapitalismo di una volta, presentandosi come l’ala radical e liberal del mondoprogressista d’Occidente, interna al sistema globale e capitalistico. Anche la destra aveva a suo tempo abbandonato le posizioni critiche verso il dominio Usa e l’americanizzazione del mondo e si era avvicinata alle posizioni atlantiche, per poi schierarsi una volta al governo, sulla scia del governo Draghi, all’ombra dell’America di Biden e dell’Europa di «centrosinistra» nei conflitti in corso e nelle posizioni assunte in politica estera. Poi è arrivato il ciclone Trump e ha spiazzato tutti. La sinistra ha dovuto rispolverare in fretta il suo vecchio armamentario antiamericano e antipadronale, che aveva dismesso da tanti anni. E la destra ora cerca di riposizionarsi come la sponda euromediterranea del trumpismo, il ponte tra il neopresidente Usa e l’Unione europea, passando da un americanismo all’altro, da quello dem e global-bellicoso che le servì per legittimarsi al governo a quello pop o nazional-pop del magnate statunitense. Difficile nel giro di così poco tempo passare dalla difesa a oltranza di Zelensky, della Nato in Ucraina, delle armi schierate a suo fianco al ruolo inverso, dovendo fare i conti con quanto oggi afferma Trump su Zelensky e sulle sue responsabilità nel conflitto. Divertente anche assistere al veloce riposizionamento dei tg, che dopo aver per anni dato voce solo alla versione propagandistica filoucraina e filoamericana, denunciando viceversa come disinformazia e propaganda russa tutto quanto contraddiceva quella versione, silurando perfino corrispondenti non allineati alle veline di governo, devono ora ribaltare la lettura e dare spazio ad argomenti, versioni e giudizi fino a ieri proibiti o duramente condannati. Con la complicazione ulteriore di Mattarella, rimasto al film precedente, anche perché la sua funzione è quella di garante del precedente establishment. E adesso, come si tradurrà il suo atlantismo? Insomma, un bel groviglio, che rende perlomeno più intrigante la scena politica, tra tante inversioni di ruoli e capovolgimenti di fronti e di giudizi. Come potete notare, da tempo va in sordina la politica interna, sopraffatta dagli scenari mondiali. Se ne parla assai meno e non ci sono, oltre l’abbaiare in tv, novità importanti.Quel che è certo, però, sul piano delle idee e delle posizioni conseguenti, è che si devono velocemente e radicalmente ridefinire quei due carri allegorici di cartapesta che sono la destra e la sinistra, e naturalmente anche tutte le altre forze. L’establishment naturalmente plaude alla «destra» tedesca che preferisce perdere al rimorchio del centrosinistra piuttosto che vincere e governare nell’alleanza con l’Afd, caldeggiata da Vance e da Musk. E deve continuare ad andare contro i reali interessi geopolitici tedeschi, fingendo al contrario di ribadire la propria fiera indipendenza dall’alleato atlantico, servito fino a ieri nonostante li portasse alla rovina. La «buona destra», come sempre per il circo mediatico, è quella accucciata in coppia con la sinistra, altrimenti se osa fare la destra fa sempre il gioco del nazismo tornante. Paradossalmente in una situazione così mutante, a soffrire di meno il terremoto da noi sono le forze come i 5 stelle, che godono a vedere la sinistra e la destra in panne e sotto sotto sono contenti dello sconquasso portato da Trump ma nel dubbio riprendono la via della seta verso la Cina. Sul piano dei valori conservatori, nazionali e tradizionali, non c’è dubbio che Trump aderisca al sentire «di destra»; e la sua stessa guerra al dominio woke ne è la conferma sul campo. Da noi la destra vince dopo aver attaccato il dominio woke ma quel potere non viene minimamente scosso o almeno toccato quando va al governo, tutto resta come prima, già nella narrazione prevalente a livello televisivo. Invece negli Usa vince Trump e cerca subito di rovesciare la dominazione progressista, anche per mantenere l’impegno preso con i suoi elettori. Da questo punto di vista l’ascesa di Trump semplifica il mestiere alla sinistra nostrana: lui si presenta, senza mezzi termini e senza veli, come antagonista totale dei loro temi e dei loro linguaggi, e dunque è facile indicarlo come il nemico principale oltre che il nemico numero uno dell’umanità, la causa a priori di tutte le tragedie che si abbatteranno d’ora in poi. Sarà un modo per tornare a sentirsi di sinistra, ulteriormente facilitati anche dalla figura di magnate, affiancato per giunta dall’uomo più ricco della terra; un modo per far rivivere l’anticapitalismo da lungo tempo abbandonato, anche se ridotto a un carro allegorico; per noi italiani l’antitrumpismo rimette in piedi l’odio antiberlusconiano, che serviva alla sinistra per rianimare la vecchia rendita di odio verso i «padroni» (dovrebbe ricordarsene Marina Berlusconi quando assume posizioni che tradiscono quelle di suo padre). Comunque, prima che col partito-Mediaset, la Meloni in Italia deve vedersela col Papa e con Mattarella, e all’estero con gli altri partner europei e con Ursula von der Leyen. Così il suo ruolo di interprete, mediatrice-domatrice del trumpismo in versione nostrana, si fa ricco di sfumature, incognite e ambiguità, se non di doppi giochi. Ma comporta il rimangiarsi tutta quella fratelleria con Zelensky, o perlomeno far finta che non ci sia mai stata. Un anno fa, vanamente suggerivamo alla Meloni di frenare il ruolo di falchi filoucraini, anche in vista del possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca; e seguire almeno la prudente linea estera italiana che fu di Craxi, Moro e Andreotti, e dello stesso Berlusconi mai così filoatlantica (anche riguardo al Medio Oriente). Intanto da noi cadono le mascherine di destra e di sinistra, proprio ora che comincia il Carnevale. E si sostituiscono i carri allegorici col carro del vincitore.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
Francesca Albanese (Ansa)