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2025-02-08
Trump alza un muro a difesa dei cristiani. E annuncia: «Presto incontrerò Xi Jinping»
Donald Trump e la procuratrice Pam Bondi (Getty Images)
Donald Trump punta a contrastare la discriminazione che colpisce i cristiani. Il presidente americano ha infatti incaricato la procuratrice generale, Pam Bondi, di guidare una task force per «fermare immediatamente tutte le forme di discriminazione e di attacchi anticristiani all’interno del governo federale». Trump ha poi aggiunto che il Dipartimento di Giustizia dovrà «perseguire pienamente la violenza e il vandalismo anticristiani nella nostra società e fare di tutto, per difendere i diritti dei cristiani e dei credenti religiosi in tutto il Paese». Poco dopo queste dichiarazioni, l’inquilino della Casa Bianca ha firmato un ordine esecutivo in tal senso.
I critici hanno subito accusato il presidente di violare la separazione tra Stato e Chiesa. In realtà, il provvedimento di Trump affonda le proprie radici in una situazione abbastanza allarmante. Nel giugno 2022, dopo che la Corte Suprema cassò la sentenza Roe v Wade, gli attivisti pro aborto vandalizzarono numerose chiese in Florida, Louisiana, New York, Oregon, Texas, Washington e Virginia. A ottobre scorso, la Catholic News Agency ha riportato che una chiesa cattolica di Los Angeles era stata più volte oggetto di incendi dolosi e graffiti nell’arco dei quattro mesi precedenti. Era invece settembre, quando è stata aperta un’indagine per «potenziali crimini d’odio», dopo che un crocifisso era stato danneggiato all’interno della cappella della Georgetown University. Tutto questo, mentre, a luglio 2024, una parrocchia dell’Arkansas era stata pesantemente vandalizzata e, in una chiesa newyorchese, era stata anche decapitata una statua di Gesù Cristo.
Ebbene, non è che il dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Biden abbia esattamente messo questi gravi episodi al centro dei suoi pensieri. Anzi, in alcuni casi ha intrattenuto dei rapporti burrascosi e controversi con il mondo cattolico. Nel gennaio 2023, trapelò alla stampa un memorandum interno della sezione dell’Fbi di Richmond, che metteva nel mirino alcuni gruppi di cattolici tradizionalisti, sostenendo che fossero caratterizzati dall’«adesione a una ideologia antisemita, anti-immigrati, anti-lgbtq e improntata al suprematismo bianco». Peccato che le fonti usate dal Bureau per giustificare quella linea fossero del tutto inadeguate. Si trattava infatti della rivista progressista Salon e del Southern Poverty Law Center: una onlus che è stata più volte accusata di bollare faziosamente alcune associazioni conservatrici e cristiane come gruppi d’odio.
L’imbarazzo fu tale che la sede centrale dell’Fbi intervenne pubblicamente, per ritirare quel controverso documento. «Dopo aver appreso del documento», affermò il Bureau, «il quartier generale dell’Fbi ha rapidamente iniziato ad agire per rimuoverlo dai sistemi dell’Fbi e per condurre una revisione delle sue basi. L’Fbi si impegna a svolgere un solido lavoro analitico e a indagare e prevenire atti di violenza e altri crimini, pur sostenendo i diritti costituzionali di tutti gli americani, e non condurrà mai attività investigative né aprirà un’indagine basata esclusivamente su attività protette dal Primo emendamento». Ma non è finita qui. A maggio scorso, un giudice federale del North Dakota ha dato ragione a un gruppo di imprenditori cristiani, la Christian employers alliance, che rifiutava l’imposizione, attuata dall’amministrazione Biden, di fornire copertura assicurativa sanitaria ai dipendenti che facevano ricorso a dei trattamenti transgender.
Insomma, il provvedimento di Trump non è esattamente ingiustificato. È chiaro che una democrazia liberale non debba fare, per così dire, favoritismi in materia di religione e fede. Ma è altrettanto chiaro come, con l’amministrazione Biden, ampi settori del variegato mondo cristiano americano non siano stati trattati in modo equo. E non è tutto. Mercoledì, il presidente americano ha anche firmato un ordine esecutivo che vieta ai transgender di partecipare alle competizioni sportive femminili: si tratta del resto di un cavallo di battaglia del tycoon dai tempi della campagna elettorale. In particolare, i trans non saranno più posti sotto la protezione del Titolo IX e il presidente ha specificamente incaricato il Dipartimento dell’Istruzione di vigilare in questo senso.
Frattanto, Trump continua a guardare ai principali dossier internazionali. Ieri, ha detto che parlerà con Vladimir Putin e che forse incontrerà Xi Jinping. Probabilmente avrà un meeting anche con Volodymyr Zelensky la prossima settimana. Nel mentre, l’inviato statunitense per l’Ucraina, Keith Kellogg, ha reso noto che il presidente potrebbe raddoppiare le sanzioni a Mosca, per spingerla a porre fine all’invasione. Tuttavia ha, al contempo, ammesso che entrambi i belligeranti dovranno fare delle concessioni.
Ma Trump sta tirando dritto anche contro le misure green del predecessore. Ieri, ha annunciato che firmerà un decreto volto ad abolire le politiche di Joe Biden a favore delle cannucce di carta, considerate eco-friendly. «La prossima settimana firmerò un ordine esecutivo per porre fine alla ridicola spinta di Biden a favore delle cannucce di carta, che non funzionano. Torniamo alla plastica!», ha dichiarato. In tutto questo, giovedì l’amministrazione americana ha intimato ai singoli Stati di non spendere i cinque miliardi di dollari che, stanziati ai tempi di Biden, erano finalizzati alla realizzazione di stazioni di ricarica per le auto elettriche. Venendo poi alla questione dei tagli alla spesa, ieri il presidente ha decretato una revisione dei fondi pubblici diretti alle Ong, anticipando che verranno sospesi quelli rivolti alle organizzazioni che «minano l’interesse nazionale».
Gli Elkann versano quasi 10 milioni di euro al Fisco
I fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann hanno versato all’Agenzia delle entrate poco meno di 10 milioni di euro, a seguito della notifica di un verbale. La circostanza, secondo fonti vicine alla famiglia, non sarebbe però in alcun modo collegata legata agli sviluppi dell’inchiesta avviato dalla Procura di Torino sui risvolti dell’eredità di Gianni Agnelli e, in particolare, a un presunta violazione fiscale sul vitalizio percepito da Marella Caracciolo, vedova dell’Avvocato. Si tratterebbe invece della sanatoria a «una contestazione di tipo amministrativo» che «non ha alcuna rilevanza sul procedimento penale e non comporta alcuna ammissione di responsabilità». I tre nipoti di Gianni Agnelli sono indagati dalla Procura di Torino, che li accusa di evasione fiscale e truffa ai danni dello Stato (insieme al commercialista Gianluca Ferrero e ai notai Urs Von Grueningen e Remo Maria Morone). Il fascicolo è incentrato sull’accusa che la Caracciolo, vedova dell’Avvocato, vivesse in realtà in Italia e non in Svizzera come sostenuto nelle dichiarazioni dei redditi. Da quell’ipotesi investigativa, suffragata da numerosi elementi raccolti dagli inquirenti, sono emersi nuovi filoni di inchiesta. Che hanno portato a un sequestro da oltre 74,8 milioni di euro. La Caracciolo, secondo le ricostruzioni della Procura, era coinvolta nelle attività di diverse società e fondazioni, tra cui proprio la Dicembre, di cui è stata socia dal 1984 al 2015, quando ne è divenuta «socia d’opera». Parliamo della società semplice Dicembre, la cassaforte di famiglia, creata nel 1984 dall’avvocato, controlla un patrimonio da circa 35 miliardi, che quest’anno incasserà più o meno un miliardo di dollari dalle sue controllate. La Dicembre controlla infatti il 40% della Giovanni Agnelli Bv, società di diritto olandese che, a sua volta, detta legge in in Exor, grazie al 52,6% delle azioni e all’87% dei diritti di voto. A sua volta Exor controlla tutte le società del tutto o in parte riconducibili alla famiglia, Elkann/Agnelli, a cominciare dalla quota di Stellantis, per arrivare a Gedi, la società editoriale che manda in edicola i quotidiani La Repubblica e La Stampa. In mezzo, quote rilevanti di Ferrari, Iveco, Philips, Christian Louboutin, e il 65% della Juventus.
Il 60% della Dicembre è oggi saldamente nelle mani di John Elkann, che dal 2009 è anche alla guida di Exor. Margherita Agnelli, come detto figlia di Gianni (morto nel 2003) e di Marella Caracciolo, (2019) contesta però gli atti di successione di entrambi pur avendo formalmente firmato nel 2004 un accordo transattivo per l’eredità del padre e una rinuncia (patto successorio) alla futura eredità della madre, in cambio di circa 1,3 miliardi, spianando così la strada ai figli. Durante le indagini, sarebbero emersi numerosi elementi a sostegno della versione di Margherita Agnelli, che afferma che la residenza in Svizzera della madre sarebbe stata fittizia. Ipotesi su cui si basano i reati contestati ai fratelli Elkann, che grazie a questo escamotage avrebbero ottenuto consistenti vantaggi. Dopo la morte del marito, in un accordo transattivo, Margherita Agnelli, aveva ceduto alla madre la sua partecipazione. Quelle quote, secondo Margherita. a sua volta madre di John, Lapo e Ginevra Elkann, «garantiscono un’influenza dominante su Exor», il gigante finanziario con una capitalizzazione di quasi 17 miliardi di euro nel 2021. L’emersione delle quote della Dicembre avrebbe, secondo gli investigatori, «rilevanti conseguenze fiscali ed ereditarie». Un nodo che potrebbe produrre anche risvolti aziendali: se quelle partecipazioni dovessero tornare a Margherita, lei potrebbe riacquisire il controllo della cassaforte di famiglia e, con essa, di Exor. Per ora, però, resta solo un’ipotesi.
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Il tycoon vuole fermare le discriminazioni religiose all’interno degli apparati Usa. Un altro fronte: «Basta cannucce di carta».I tre nipoti dell’Avvocato Agnelli hanno saldato un verbale monstre, che però non sarebbe collegato alle indagini sull’eredità Agnelli.Lo speciale contiene due articoli.Donald Trump punta a contrastare la discriminazione che colpisce i cristiani. Il presidente americano ha infatti incaricato la procuratrice generale, Pam Bondi, di guidare una task force per «fermare immediatamente tutte le forme di discriminazione e di attacchi anticristiani all’interno del governo federale». Trump ha poi aggiunto che il Dipartimento di Giustizia dovrà «perseguire pienamente la violenza e il vandalismo anticristiani nella nostra società e fare di tutto, per difendere i diritti dei cristiani e dei credenti religiosi in tutto il Paese». Poco dopo queste dichiarazioni, l’inquilino della Casa Bianca ha firmato un ordine esecutivo in tal senso.I critici hanno subito accusato il presidente di violare la separazione tra Stato e Chiesa. In realtà, il provvedimento di Trump affonda le proprie radici in una situazione abbastanza allarmante. Nel giugno 2022, dopo che la Corte Suprema cassò la sentenza Roe v Wade, gli attivisti pro aborto vandalizzarono numerose chiese in Florida, Louisiana, New York, Oregon, Texas, Washington e Virginia. A ottobre scorso, la Catholic News Agency ha riportato che una chiesa cattolica di Los Angeles era stata più volte oggetto di incendi dolosi e graffiti nell’arco dei quattro mesi precedenti. Era invece settembre, quando è stata aperta un’indagine per «potenziali crimini d’odio», dopo che un crocifisso era stato danneggiato all’interno della cappella della Georgetown University. Tutto questo, mentre, a luglio 2024, una parrocchia dell’Arkansas era stata pesantemente vandalizzata e, in una chiesa newyorchese, era stata anche decapitata una statua di Gesù Cristo.Ebbene, non è che il dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Biden abbia esattamente messo questi gravi episodi al centro dei suoi pensieri. Anzi, in alcuni casi ha intrattenuto dei rapporti burrascosi e controversi con il mondo cattolico. Nel gennaio 2023, trapelò alla stampa un memorandum interno della sezione dell’Fbi di Richmond, che metteva nel mirino alcuni gruppi di cattolici tradizionalisti, sostenendo che fossero caratterizzati dall’«adesione a una ideologia antisemita, anti-immigrati, anti-lgbtq e improntata al suprematismo bianco». Peccato che le fonti usate dal Bureau per giustificare quella linea fossero del tutto inadeguate. Si trattava infatti della rivista progressista Salon e del Southern Poverty Law Center: una onlus che è stata più volte accusata di bollare faziosamente alcune associazioni conservatrici e cristiane come gruppi d’odio.L’imbarazzo fu tale che la sede centrale dell’Fbi intervenne pubblicamente, per ritirare quel controverso documento. «Dopo aver appreso del documento», affermò il Bureau, «il quartier generale dell’Fbi ha rapidamente iniziato ad agire per rimuoverlo dai sistemi dell’Fbi e per condurre una revisione delle sue basi. L’Fbi si impegna a svolgere un solido lavoro analitico e a indagare e prevenire atti di violenza e altri crimini, pur sostenendo i diritti costituzionali di tutti gli americani, e non condurrà mai attività investigative né aprirà un’indagine basata esclusivamente su attività protette dal Primo emendamento». Ma non è finita qui. A maggio scorso, un giudice federale del North Dakota ha dato ragione a un gruppo di imprenditori cristiani, la Christian employers alliance, che rifiutava l’imposizione, attuata dall’amministrazione Biden, di fornire copertura assicurativa sanitaria ai dipendenti che facevano ricorso a dei trattamenti transgender.Insomma, il provvedimento di Trump non è esattamente ingiustificato. È chiaro che una democrazia liberale non debba fare, per così dire, favoritismi in materia di religione e fede. Ma è altrettanto chiaro come, con l’amministrazione Biden, ampi settori del variegato mondo cristiano americano non siano stati trattati in modo equo. E non è tutto. Mercoledì, il presidente americano ha anche firmato un ordine esecutivo che vieta ai transgender di partecipare alle competizioni sportive femminili: si tratta del resto di un cavallo di battaglia del tycoon dai tempi della campagna elettorale. In particolare, i trans non saranno più posti sotto la protezione del Titolo IX e il presidente ha specificamente incaricato il Dipartimento dell’Istruzione di vigilare in questo senso.Frattanto, Trump continua a guardare ai principali dossier internazionali. Ieri, ha detto che parlerà con Vladimir Putin e che forse incontrerà Xi Jinping. Probabilmente avrà un meeting anche con Volodymyr Zelensky la prossima settimana. Nel mentre, l’inviato statunitense per l’Ucraina, Keith Kellogg, ha reso noto che il presidente potrebbe raddoppiare le sanzioni a Mosca, per spingerla a porre fine all’invasione. Tuttavia ha, al contempo, ammesso che entrambi i belligeranti dovranno fare delle concessioni.Ma Trump sta tirando dritto anche contro le misure green del predecessore. Ieri, ha annunciato che firmerà un decreto volto ad abolire le politiche di Joe Biden a favore delle cannucce di carta, considerate eco-friendly. «La prossima settimana firmerò un ordine esecutivo per porre fine alla ridicola spinta di Biden a favore delle cannucce di carta, che non funzionano. Torniamo alla plastica!», ha dichiarato. In tutto questo, giovedì l’amministrazione americana ha intimato ai singoli Stati di non spendere i cinque miliardi di dollari che, stanziati ai tempi di Biden, erano finalizzati alla realizzazione di stazioni di ricarica per le auto elettriche. Venendo poi alla questione dei tagli alla spesa, ieri il presidente ha decretato una revisione dei fondi pubblici diretti alle Ong, anticipando che verranno sospesi quelli rivolti alle organizzazioni che «minano l’interesse nazionale».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-pam-bondi-cristiani-2671116923.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-elkann-versano-quasi-10-milioni-di-euro-al-fisco" data-post-id="2671116923" data-published-at="1738965386" data-use-pagination="False"> Gli Elkann versano quasi 10 milioni di euro al Fisco I fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann hanno versato all’Agenzia delle entrate poco meno di 10 milioni di euro, a seguito della notifica di un verbale. La circostanza, secondo fonti vicine alla famiglia, non sarebbe però in alcun modo collegata legata agli sviluppi dell’inchiesta avviato dalla Procura di Torino sui risvolti dell’eredità di Gianni Agnelli e, in particolare, a un presunta violazione fiscale sul vitalizio percepito da Marella Caracciolo, vedova dell’Avvocato. Si tratterebbe invece della sanatoria a «una contestazione di tipo amministrativo» che «non ha alcuna rilevanza sul procedimento penale e non comporta alcuna ammissione di responsabilità». I tre nipoti di Gianni Agnelli sono indagati dalla Procura di Torino, che li accusa di evasione fiscale e truffa ai danni dello Stato (insieme al commercialista Gianluca Ferrero e ai notai Urs Von Grueningen e Remo Maria Morone). Il fascicolo è incentrato sull’accusa che la Caracciolo, vedova dell’Avvocato, vivesse in realtà in Italia e non in Svizzera come sostenuto nelle dichiarazioni dei redditi. Da quell’ipotesi investigativa, suffragata da numerosi elementi raccolti dagli inquirenti, sono emersi nuovi filoni di inchiesta. Che hanno portato a un sequestro da oltre 74,8 milioni di euro. La Caracciolo, secondo le ricostruzioni della Procura, era coinvolta nelle attività di diverse società e fondazioni, tra cui proprio la Dicembre, di cui è stata socia dal 1984 al 2015, quando ne è divenuta «socia d’opera». Parliamo della società semplice Dicembre, la cassaforte di famiglia, creata nel 1984 dall’avvocato, controlla un patrimonio da circa 35 miliardi, che quest’anno incasserà più o meno un miliardo di dollari dalle sue controllate. La Dicembre controlla infatti il 40% della Giovanni Agnelli Bv, società di diritto olandese che, a sua volta, detta legge in in Exor, grazie al 52,6% delle azioni e all’87% dei diritti di voto. A sua volta Exor controlla tutte le società del tutto o in parte riconducibili alla famiglia, Elkann/Agnelli, a cominciare dalla quota di Stellantis, per arrivare a Gedi, la società editoriale che manda in edicola i quotidiani La Repubblica e La Stampa. In mezzo, quote rilevanti di Ferrari, Iveco, Philips, Christian Louboutin, e il 65% della Juventus. Il 60% della Dicembre è oggi saldamente nelle mani di John Elkann, che dal 2009 è anche alla guida di Exor. Margherita Agnelli, come detto figlia di Gianni (morto nel 2003) e di Marella Caracciolo, (2019) contesta però gli atti di successione di entrambi pur avendo formalmente firmato nel 2004 un accordo transattivo per l’eredità del padre e una rinuncia (patto successorio) alla futura eredità della madre, in cambio di circa 1,3 miliardi, spianando così la strada ai figli. Durante le indagini, sarebbero emersi numerosi elementi a sostegno della versione di Margherita Agnelli, che afferma che la residenza in Svizzera della madre sarebbe stata fittizia. Ipotesi su cui si basano i reati contestati ai fratelli Elkann, che grazie a questo escamotage avrebbero ottenuto consistenti vantaggi. Dopo la morte del marito, in un accordo transattivo, Margherita Agnelli, aveva ceduto alla madre la sua partecipazione. Quelle quote, secondo Margherita. a sua volta madre di John, Lapo e Ginevra Elkann, «garantiscono un’influenza dominante su Exor», il gigante finanziario con una capitalizzazione di quasi 17 miliardi di euro nel 2021. L’emersione delle quote della Dicembre avrebbe, secondo gli investigatori, «rilevanti conseguenze fiscali ed ereditarie». Un nodo che potrebbe produrre anche risvolti aziendali: se quelle partecipazioni dovessero tornare a Margherita, lei potrebbe riacquisire il controllo della cassaforte di famiglia e, con essa, di Exor. Per ora, però, resta solo un’ipotesi.
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E come si può chiamare un tizio che promette «appena posso (violare la legge, ndr) lo rifaccio»?. «Costi quel che costi», disse Luca Casarini, «al vostro ordine continuerò a disobbedire, perché obbedisco ad altro, di fronte al quale le vostre leggi ingiuste e criminali, ciniche e orribili non possono niente». Quelle contestate sono le leggi dello Stato italiano, approvate dal Parlamento italiano, vigilate dalla Corte costituzionale italiana, rispettate dalla maggioranza degli italiani. Ma per Casarini e compagni si possono ignorare. Anzi, si devono violare. E nessuno può permettersi il diritto di critica e di chiamarli pirati. «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno», disse Beppe Caccia, capo missione di Mediterranea, «ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana, alle leggi dell’umanità». Chi si può arrogare il diritto di stabilire che ci si può infischiare di una legge? Ve la immaginate quale sarebbe la reazione di fronte a un tizio che ignora il codice della strada o la normativa fiscale e dice che lui risponde a una legge superiore? E vi ricorda qualche cosa la definizione di «legge criminale»? Negli anni della contestazione lo Stato era criminale, le misure repressive, i divieti autoritari. Come sia finita si sa.
Il soccorso in mare ha un obiettivo politico: è un’azione che mira a «contrastare e a sovvertire il sistema capitalista e patriarcale» come ha spiegato don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea. «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo», ha aggiunto Carola Rackete, la capitana che nella foga di attraccare nonostante le fosse stato negato il diritto allo sbarco andò a sbattere con la sua nave contro una motovedetta della Guardia di finanza. E costoro non si possono definire pirati? Chiamarli tali, perché come diceva il filosofo Giulio Giorello a proposito dei bucanieri, ritengono la loro coscienza «superiore a ogni legge», sarebbe diffamatorio? E quale offesa alla propria reputazione, quale danno, avrebbero patito, di grazia? È evidente che le querele hanno un obiettivo: tappare la bocca a chi esprime un giudizio critico, impedire alla libera stampa di dire quel che pensa e di chiamare le cose con il loro nome.
Da una settimana si discute di giornali comprati e venduti, perché John Elkann ha messo in vendita Repubblica e La Stampa. Ma la minaccia all’articolo 21 della Costituzione non viene da un imprenditore greco o italiano che compra una testata, bensì dal tentativo di imbavagliare chi si oppone, con le inchieste e le notizie, alla strategia dell’immigrazione, arma - come predica don Ferrari - usata per abbattere il sistema capitalistico e patriarcale. Sono certo che di fronte alla sentenza contro Panorama non si leveranno le voci degli indignati speciali. Quelle si alzano solo quando condannano Roberto Saviano a pagare mille euro per aver chiamato bastardi Meloni e Salvini. Visti i risultati, mi conveniva titolare «I nuovi bastardi».
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Giorgia Meloni (Ansa)
La commissione per le libertà civili dell’Eurocamera e i negoziatori del Consiglio hanno concordato informalmente le nuove norme in base alle quali gli Stati membri possono decidere che un Paese extra Ue sia da considerarsi Paese terzo sicuro (Stc) nei confronti di un richiedente asilo che non ne è cittadino. Alla base di tutto c’è stata un’iniziativa del governo di Giorgio Meloni e l’appoggio di Ursula von der Leyen, che aveva capito che bisognava intervenire contro le interpretazioni creative.
La Commissione ha subito emesso una nota di soddisfazione: «Queste nuove norme aiuteranno gli Stati membri ad accelerare il trattamento delle domande di asilo, a ridurre la pressione sui sistemi di asilo e a ridurre gli incentivi alla migrazione illegale verso l’Ue, preservando nel contempo le garanzie giuridiche per i richiedenti e garantendo il rispetto dei diritti fondamentali».
Il fronte contrario a una miglior specificazione del concetto di Paese sicuro teme che le nuove regole possano tradursi in una minor tutela dei richiedenti asilo. Ma dall’altro, i contrari non sembrano propensi ad ammettere che i Paesi veramente democratici, almeno secondo i canoni occidentali, sono sempre meno.
A margine del Consiglio europeo, Giorgia Meloni, insieme ai colleghi danese, Mette Frederiksen, e olandese, Dick Schoof, ha ospitato una nuova riunione informale dei 15 Stati membri più interessati al tema delle soluzioni in ambito migratorio.
Insieme a Italia, Danimarca, Paesi Bassi e Commissione europea, hanno preso parte all’incontro i leader di Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Germania, Grecia, Polonia, Repubblica ceca, Lettonia, Malta, Ungheria e Svezia.
In questa sede, come spiega una nota di Palazzo Chigi, il premier italiano ha aggiornato i colleghi sul lavoro in corso «sul tema della capacità delle Convenzioni internazionali di rispondere alle sfide della migrazione irregolare e sulle prossime iniziative previste».
Dopo il risultato dello scorso 10 dicembre, quando 27 Stati membri del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto la dichiarazione politica italo-danese, ora il lavoro continua in vista della Ministeriale del Consiglio d’Europa, sotto la presidenza moldava, del prossimo 15 maggio.
I leader hanno anche concordato di lanciare iniziative congiunte anche nei diversi contesti internazionali, a partire dall’Onu, per «promuovere più efficacemente l’approccio europeo ad una gestione ordinata dei flussi migratori».
Per Alessandro Ciriani, eurodeputato di Fdi-Ecr e relatore per il Parlamento europeo del dossier sui Paesi terzi sicuri, «la lista concordata - che comprende, oltre ai Paesi candidati, Egitto, Bangladesh, Tunisia, India, Colombia, Marocco e Kosovo - produrrà effetti immediati sulle pratiche di esame delle domande di protezione internazionale, accelerando le procedure e rafforzando la certezza applicativa». In generale, per Ciriani «è un momento storico: grazie al lavoro del governo italiano, anche in Europa si supera la polarizzazione politica in tema di immigrazione e si sceglie la via del buonsenso».
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Carola Rackete (Getty Images)
Era marzo 2021 e così prometteva di sfidare la magistratura Luca Casarini, fondatore e capomissione di Mediterranea Saving Humans. L’ex disobbediente del Nord-Est dichiarava di voler continuare a non rispettare le regole, l’ha ribadito anche lo scorso ottobre in apertura del processo a Ragusa dove è accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante di averne tratto profitto. «¡Aquí no se rinde nadie! qui non si arrende nessuno», terminò il suo post su Facebook poco prima dell’udienza, citando la frase pronunciata dal comandante rivoluzionario Juan Almeida Bosque durante lo sbarco dei guerriglieri a Cuba. Casarini non riconosce la legge e poco importa se traveste l’inosservanza con scuse umanitarie: la lista dei disobbedienti per torti e offese subìte sarebbe interminabile, mentre in uno Stato di diritto non si fa giustizia a propria misura calpestando l’ordinamento.
Il capomissione della Ong si vanta di essere un trasgressore, solca i mari con «la nave dei centri sociali» agendo senza regole se non le condivide. «Io ho fatto del ragionamento sulla disobbedienza una caratteristica della mia vita [...] Sono i governi che violano continuamente la legge», è una sua precedente affermazione datata marzo 2019 in piena vicenda Mare Jonio, la barca entrata nel porto di Lampedusa malgrado il no del Viminale allora retto da Matteo Salvini.
Non è da meno il capo missione di Mediterranea, Beppe Caccia, che lo scorso agosto ammetteva con orgoglio di avere infranto la legge: «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno. Ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana e alle leggi dell’umanità». No, la Costituzione afferma che la legge è uguale per tutti, senza distinzioni di sorta e che tutti sono tenuti a rispettarla.
Eppure Carola Rackete si è vantata più volte di averla calpestata nel nostro Paese. La comandante tedesca della nave Sea Watch 3, che con le sue 650 tonnellate di stazza aveva investito la motovedetta della Guardia di finanza colpevole solo di avere intimato l’alt, nel giugno del 2019 giustificava l’azione. «Non è stato un atto di violenza. Solo di disobbedienza. Ma ho sbagliato la manovra. Per me era vietato obbedire. Mi chiedevano di riportarli in Libia. Ma per la legge sono persone che fuggono da un Paese in guerra, la legge vieta che io le possa riportare là», era la sua strabiliante versione accolta anche dal gip del tribunale di Agrigento che archiviò le accuse di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e disobbedienza a nave da guerra. Salvini protestò: «Quindi, se capisco bene la sentenza, speronare una motovedetta militare italiana con uomini a bordo non è reato. Torniamo ai tempi dei pirati… No comment». Rackete un mese dopo tornava a vantarsi: «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal Decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo. Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice».
In quest’ottica, l’assurdità dei decreti legge emanati durante l’emergenza Covid dovrebbero giustificare gli atti di disobbedienza compiuti, anche con il rifiuto di vaccinarsi che invece è stato perseguito e punito. Spesso il principio di legalità non ha affatto rappresentato la massima garanzia di libertà, anzi ha modificato diritti fondamentali dei cittadini e chi si è ribellato ne ha pagato le conseguenze. Solo le Ong sarebbero libere di infrangere le leggi?
Nel maggio del 2024 associazioni come Baobab experience, Collettivo rotte balcaniche, Linea d’ombra, Kitchen on borders difendevano un network nato «nell’autodenuncia della propria pratica quotidiana di disobbedienza civile, contro le politiche migratorie italiana ed europea, contro i confini interni ed esterni».
E se ci si mette anche la Chiesa, la disobbedienza può appare il nuovo credo a cui dare ascolto. In spregio alle leggi e ai tribunali, stando alle parole di don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea Saving Humans. «La morale per noi invece è che tu devi lottare accanto a chi è oppresso. Tu devi contrastare questo sistema. Tu devi sovvertire questo sistema capitalista e patriarcale. E allora abbiamo introdotto l’espressione disobbedienza morale», spiegava nel luglio del 2023.
Anche Alessandra Sciurba, già presidente di Mediterranea Saving Humans, nel 2020 parlava di «disobbedienza morale e obbedienza civile» che l’aveva animata a soccorrere migranti sulla barca a vela Alex sfidando decreti-legge e imposizioni governative illegittimi. È la stessa Associazione di promozione sociale (Aps) in cui si è trasformata Mediterranea a lamentarsi perché «le Ong sono costrette a spendere una gran quantità di tempo e risorse per contestare la restrittiva legislazione italiana e i fermi amministrativi arbitrariamente imposti». Navigano contro legge.
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David Neres festeggia con Rasmus Hojlund dopo aver segnato il gol dell'1-0 durante la semifinale di Supercoppa italiana tra Napoli e Milan a Riyadh (Ansa)
Nella prima semifinale in Arabia Saudita i campioni d’Italia superano 2-0 i rossoneri con un gol per tempo di Neres e Hojlund. Conte: «Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza». Allegri: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà».
È il Napoli la prima finalista della Supercoppa italiana. All’Alawwal Park di Riyadh, davanti a 24.941 spettatori, i campioni d’Italia superano 2-0 il Milan al termine di una semifinale mai realmente in discussione e torneranno lunedì nello stadio dell’Al Nassr per giocarsi il primo trofeo stagionale contro la vincente di Bologna-Inter, in programma domani sera.
Decidono un gol per tempo di Neres e Hojlund, protagonisti assoluti di una gara che la squadra di Antonio Conte ha interpretato con maggiore lucidità, intensità e qualità rispetto ai rossoneri. Il pubblico saudita, arrivato a scaglioni sugli spalti come da consuetudine locale, si è acceso soprattutto per Luka Modric durante il riscaldamento, più inquadrato sugli smartphone che realmente seguito sul campo, ma alla lunga è stato il Napoli a prendersi scena e risultato. Un successo meritato per i partenopei che rispetto al Milan hanno dimostrato di avere più idee e mezzi per colpire.
Conte ha scelto la miglior formazione possibile, confermando il 3-4-2-1 con l’unica eccezione rispetto alle ultime gare di campionato che riguarda il ritorno tra i titolari di Politano al posto di Lang. Davanti la coppia McTominay-Neres ad agire alle spalle di Hojlund. Ed è stato proprio il centravanti danese uno dei protagonisti del match e della vittoria del Napoli, mettendo lo zampino in entrambi i gol e facendo impazzire in marcatura De Winter. L’ex difensore del Genoa è stato scelto da Allegri come perno della difesa a tre per sostituire l'infortunato Gabbia, un’assenza che alla fine dei conti si è rivelata più pesante del previsto. Ma se quella del difensore centrale era praticamente una scelta obbligata, il turnover applicato in mezzo al campo e sulla corsia di destra non ha restituito gli effetti desiderati. Nel solito 3-5-2 hanno trovato spazio dal primo minuto anche Jashari e Loftus-Cheek, titolari al posto di Modric e Fofana, ed Estupinan per far rifiatare Bartesaghi, uno degli uomini più in forma tra i rossoneri.
Il Napoli ha preso infatti fin da subito l’iniziativa, con Elmas al tiro già al 2’ e con Maignan attento a bloccare senza problemi. Il Milan ha poi avuto due ghiotte occasioni: al 5’ sugli sviluppi di una rimessa laterale Pavlovic ha tentato una rovesciata, il pallone è arrivato a Loftus-Cheek che, solo davanti a Milinkovic-Savic, ha mancato incredibilmente l’impatto; al 16' Saelemaekers ha sprecato calciando alto da buona posizione. È l’illusione rossonera, perché da quel momento sono i partenopei a comandare il gioco. Al 32' McTominay ha sfiorato il vantaggio con un destro di prima poco fuori, mentre Nkunku al 37’ ha confermato il suo momento negativo non inquadrando nemmeno la porta a conclusione di un contropiede che poteva cambiare la partita. Partita che è cambiata in maniera decisiva due minuti dopo, al 39’, quando è arrivato il gol che ha sbloccato la semifinale: da un'azione insistita di Elmas sulla sinistra, il pallone è arrivato a Hojlund il cui tiro in diagonale ha messo in difficoltà Maignan. La respinta troppo corta del portiere francese è finita sui piedi di Neres, il più rapido ad avventarsi sul pallone e a depositarlo in rete. Il Napoli è andato vicino al raddoppio già prima dell’intervallo con un altro contropiede orchestrato da Elmas e concluso da Hojlund, su cui Maignan ha dovuto compiere un mezzo miracolo.
Nella ripresa il copione non è cambiato. Rrahmani ha impegnato ancora Maignan da fuori area, poi al 64’ è arrivato il 2-0 che ha chiuso la partita: Spinazzola ha affondato a sinistra e servito Hojlund, veloce e preciso a finalizzare con freddezza, firmando così una prestazione dominante contro un De Winter in grande difficoltà. Allegri ha provato a cambiare volto alla gara passando al 4-1-4-1 con l’ingresso di Fofana e Athekame, ma il Milan non è riuscito di fatto mai a rientrare davvero in partita. Anzi. Al 73' uno scatenato Hojlund ha sfiorato la doppietta personale. Poi, al 75', il Milan ha regalato alla parte di stadio rossonera la gioia più grande di tuta la serata, ovvero l'ingresso in campo di Modric. Il croato è entrato tra gli applausi del pubblico, ma è solo una nota di colore in una serata che resta saldamente nelle mani del Napoli. Nel finale spazio anche a qualche tensione, sia in campo che in panchina. Prima le scintille tra Tomori e McTominay, ammoniti entrambi da Zufferli. Poi, in pieno recupero, un battibecco verbale tra Oriali e Allegri. E mentre scorrevano i sette minuti di recupero concessi dal direttore di gara, accompagnato dal coro dei tifosi sauditi di fede azzurra «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi», è arrivato il verdetto definitivo.
Nel post partita Massimiliano Allegri ha riconosciuto i meriti degli avversari: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà». Sull’eliminazione da Coppa Italia e Supercoppa è stato netto: «Siamo dispiaciuti, ma il nostro obiettivo resta la qualificazione in Champions, che è un salvavita per la società». Di tutt’altro tono Antonio Conte, soddisfatto della risposta della sua squadra: «Battere il Milan fa morale. Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza. Con energia, anche in emergenza, siamo difficili da affrontare». Parole di elogio per Hojlund: «Ha 22 anni, grandi margini di crescita e oggi è stato determinante. Sta capendo sempre di più quello che gli chiedo».
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