2025-01-06
«Trump non vuol destabilizzare l’Iran»
L’analista Dario Fabbri: «Nei cambi di regime vede solo rogne, però non esiterà a bombardare i siti nucleari se Teheran si avvicinerà all’atomica. Adesso Israele è più forte, ma nel lungo termine dovrà vedersela con la Turchia». «E di cosa parliamo?»Con Dario Fabbri, analista di geopolitica e direttore di Domino, di cosa vuoi parlare? Iniziamo dalla via di Damasco. Recita il vecchio adagio: «Il nemico del mio nemico è il mio amico». Ma questo non vale in Siria.«Esatto. Sono tutti contro tutti. La Siria, al di là delle chiacchiere, è un Paese dove l’ingerenza esterna è mostruosa. Gli autoctoni hanno preso il potere a Damasco. Sono arabi e sunniti. Quindi espressione della grande maggioranza della popolazione siriana ma coltivati, foraggiati, addestrati dai turchi, in prima battuta, e dagli americani in seconda battuta. Ora si guardano intorno per capire anzitutto che margine di manovra avranno rispetto alla Turchia»E agli americani…«Sai, gli americani hanno bombardato la Siria nei primi giorni di dicembre per evitare che le postazioni del governo resistessero. Ma la Siria è arma di pressione in vista del negoziato russo-americano su Ucraina, continente europeo, Cina, Medio Oriente. E quindi ci hanno buttato dentro anche la Siria. Ma gli americani non hanno un grande interesse per un Paese che faticano a trovare sulla carta»I turchi?«Per loro è letteralmente casa loro. La grande Turchia non è un’idea solo di Erdogan ma anche delle grandi masse anatoliche. Aleppo non è una città turca, proprio per niente. Ma vaglielo a spiegare. Immaginano la Siria parte di un loro protettorato molto allargato. Mirano al controllo almeno esterno del Rojava. La parte curda indipendente. Figurati»Che regime era quello di Assad?«Pessimo e simile all’inferno. Non rischiamo di essere ridicolmente retorici. Il regime del dominio della minoranza alawita (arabi ma sciiti) sulla maggioranza. Anche buona parte dei cristiani appoggiava il regime per interesse etnico e di casta. Soprattutto per non crepare sotto lo Stato islamico. Perdona la crudezza. Che però gli ha lasciato festeggiare il Natale. Sono dei furbacchioni. Quella di Assad era una dittatura che senza l’appoggio di Teheran non sarebbe durata»A riprova delle ingerenze di cui parlavi.«Sorrido quando sento parlare di nazione siriana. È uno Stato artificiale come tanti da quelle parti. Nasce in epoca contemporanea a seguito dell’accordo Sykes-Picot fra Francia e Regno Unito nel 1916. Dentro ci hanno messo di tutto. Una grande maggioranza araba, una corposa minoranza curda che non è araba per niente. Anzi è imparentata con noi in quanto indoeuropea e iranica. E poi tante confessioni diverse. Gli stessi alawiti sono teoricamente sciiti. Ma in realtà sono sincretici. Riconoscono pure il Natale e la Pasqua. Le potenze esterne hanno sempre avuto buon gioco sulla Siria».Questo spiega la conflittualità dell’area. L’Iran esce malissimo dagli ultimi avvenimenti.«Quello che dici è molto vero. La debolezza dell’Iran è evidente dopo i rovesci subiti in Libano, dove Hezbollah resta un agente di Teheran, e ovviamente in Siria. Il regime di Damasco era difeso dai russi in cielo e da Teheran e gli Hezbollah libanesi a terra. Tutti e tre questi elementi di difesa sono venuti meno. Gioisce Israele, che però conosce quella zona troppo meglio di me. Recede l’Iran ma avanza la Turchia. Questo è un problema per Israele. Tu dirai: sì ma è un membro della Nato. Benissimo, ma a Israele questo interessa molto poco. Ankara è un baluardo Nato solo in funzione antirussa»Impero ottomano e russo sono sempre stati avversari, mi insegni. Ma Erdogan è veramente cinico. Riesce a fare il doppio e triplo gioco. Avversario della Russia anche in Siria, ma gli regge mano contro le sanzioni dell’Occidente. Doti che in uno statista ci stanno.«Se il giudizio è quasi machiavellico, dico sì, è corretto. Io non do giudizi morali. Poi mettiamoci qualcos’altro. Erdogan incarna uno sguardo sul mondo tipico dei turchi. Non lo ha inventato lui. Lo ha ereditato. Per i turchi il mondo, sembra assurdo, è turco. Dalla Tracia fino alla Cina. Là dove gli uiguri sono turcofoni. Il Kazakistan è il più grande Paese turcico come estensione. Non sono proprio abituati a scegliere un fronte perché loro sono il centro del mondo. E sono anche una potenza parassitaria. Hanno atteso la défaillance di un regime ultradecennale avvenuto in dieci giorni inserendosi negli scontri fra Israele, Iran e gli Stati Uniti. Hanno approfittato di un varco apertosi in maniera spettacolare».Israele festeggia?«Nell’immediato si. Perché l’Iran si è indebolito anche e soprattutto per merito suo. Non per combinazione celeste.»Disarticolando Hamas ed Hezbollah. I suoi proxy, come dite voi che trafficate in geopolitica.«Il dramma per Israele è sempre nel medio e lungo periodo. Il Medio Oriente è una grande risacca dove gli sconfitti, trascorso qualche anno, si ricostruiscono e risorgono. La Turchia ha eccellenti rapporti con Israele a livelli di intelligence che non si sono interrotti nemmeno nel 2010 quando l’esercito israeliano ha colpito la Freedom Flottilla. E non ha fatto fuori soltanto attivisti pro Palestina che inviavano aiuti a Gaza ma anche un equipaggio turco, con almeno otto morti»A riprova del cinismo di Erdogan. Che a parole oltraggia Israele ma poi ci traffica sottobanco. Ti ho interrotto scusa.«Il problema nel medio termine è che l’Iran non scomparirà. Tra qualche anno avrà una popolazione che sarà dieci volte quella di Israele. Il 70% della popolazione è sotto i 40 anni. Un’inclinazione naturale al massimalismo. I giovani iraniani vogliono fare l’impero. Anche se non teocratico. Ma non vogliono vivere come i nostri giovani. Che sono una minoranza della minoranza. E non si fermeranno nel tentativo di raggiungere la bomba nucleare. E a nessuno conviene un Iran atomico. Nel lungo termine, infine, il problema torna ad essere la Turchia. Erdogan in maniera blasfema dice che Gerusalemme l’hanno costruita gli ottomani. E non è vero. La mette sullo stesso piano della Mecca e Medina. Un modo per dire che loro vogliono tornare lì. E questo Israele lo sa».La Russia ha rinunciato alla Siria in cambio di…«Io non credo che la Russia abbia svolto chissà quale trattativa. Ha accettato obtorto collo. La Siria era importante per Mosca per due ragioni. Una esterna, di proiezione sul Mediterraneo. E la Siria aveva almeno tre basi russe se non quattro. Di cui una sul mare. Che io darei per perse. Una di sicurezza interna. Perché tramite la Siria Mosca faceva pressione soprattutto su Daghestan e Cecenia. Dove ci sono agguerriti jihadisti sunniti ostili a Mosca. In questo modo gli americani hanno voluto rendere la Russia più debole ed insicura. In vista del negoziato sull’Ucraina».Russia indebolita quindi.«Non quanto l’Ucraina il cui rischio è quello di partecipare con un orecchio alla parete cercando di ascoltare cosa si diranno russi e americani»La politica estera di Trump sembra questa. Due soli nemici. L’Iran, che potrebbe magari prima o poi subire un cosiddetto regime change, chissà. E la Cina, invece ferma e granitica. Di tutto il resto si può discutere. Giusto?«Secondo me a Trump del cambio eventuale di regime in Iran non interessa molto. Di queste cose si occupa, parliamoci chiaro, la Cia o il Dipartimento di Stato. Sono cose da neocon. Che Trump detesta. In queste operazioni lui vede solo rogne. Non crede alle favole dei cambi di regime che regaleranno opportunità all’Occidente. Secondo lui si rischiano fallimenti come in Libia ed Iraq. E questo vale per l’Iran su cui non esiterà a lanciare però bombe sui siti nucleari qualora fosse chiaro che stanno arrivando all’arma atomica».Nella scorsa intervista che mi hai dato, hai definito Trump come oligarca annoiato di New York…«Però molto lucido sui suoi affari. Il suo più grande pregio è che davvero non ha paura di niente. Questo non so se sia incoscienza».Lo abbiamo visto il 13 di luglio col suo attentato«La notte dorme sebbene tanti suoi apparati non stiano dalla sua parte. Ha un grande consenso popolare che lo tranquillizza. Poi magari se cadi in disgrazia diventa tutto più complesso. Ma questo è un altro discorso. Accanto a questo ha un grande difetto. Vuole sempre raggiungere un accordo ed il più in fretta possibile».Lui li chiama deal, affari.«A Trump piace da morire raccontarsi come l’uomo degli accordi da annunciare all’opinione pubblica. E questa sua fretta rischia di giocargli brutti scherzi. L’interlocutore che lo capisce ci marcia sopra. La Cina, nel suo primo mandato, promise di acquistare merci americane in cambio di un ammorbidimento sui dazi. Così non avvenne. E lui si è sentito preso per i fondelli. Non so se vorrà imparare qualcosa da questo passato. Sarà affascinante da vedere. Per il resto la questione più spinosa rimane Taiwan».Che la Cina ritiene roba sua.«Washington e Pechino non hanno intenzione di scatenare guerre. Ma talvolta gli eventi prendono accelerazioni improvvise perché gli eventi si sovrappongono e si incastrano».La Meloni è stata ricevuta da Trump. Quale può essere il ruolo dell’Italia?«Per inclinazione il nostro governo dovrebbe essere più vicino a Trump che non a Biden. Banale. Giorgia Meloni ha confermato eccellenti rapporti con Musk e Trump. E viceversa. Di solito quando c’è un cambio di amministrazione a Washington o cambia il nostro governo (magari solo un rimpasto) o questo cambia decisamente rotta. Sarà interessante vedere come Palazzo Chigi cambierà impostazione sulla questione Ucraina vista la nuova inclinazione di Washington. Meloni credo abbia però imparato una grande lezione. Non rimani a Palazzo Chigi se non sei allineato con la Casa Bianca in politica estera».