2024-11-07
Viaggio in Florida, terra del «Maga». Tra i resort, le Tesla e i cani «Pikachu»
Supporters di Donald Trump a Palm Beach, Florida (Getty Images)
Il Sunshine State vuole meno interferenze da Washington. «Nel menù del presidente c’è il “polpettone della mamma”».di Giacomo Amadori, Inviato a West Palm BeachNon era difficile prevedere la valanga rossa di Donald Trump. Bastava parlare con gli americani della strada, a partire da quelli dalla «sua» Florida, e non farsi condizionare dalle previsioni (sbagliate) dei media. Analisi sofisticate che, però, non coglievano lo spirito del Paese. Una nazione che vuole essere libera e non ama l’intervento dello Stato. Che considera il libero mercato il suo unico mantra e che, cosa incredibile per un italiano, allo stipendio fisso preferisce il modello americano: elemosinare senza sosta mance (tip). Per questo Trump aveva promesso di detassarle. Da Miami a Key West sino a West Palm beach il trionfo del tycoon era prevedibile. Bastava ascoltare. Yohanna, ispanica sulla quarantina, con noi era stata chiara, con tanto di rima: «Kamala is mala». Una donna mulatta che considerava la candidata democratica, Kamala Harris, il nemico aveva fatto suonare il primo campanello nella nostra testa. Poi era arrivato Orlando, poliglotta dagli occhi azzurri («Ho sangue spagnolo e portoghese») e un volto alla Hemingway: «Io sono scappato da Cuba 12 anni fa, appena ci sono riuscito, e so che cosa sia il comunismo. Kamala vuole tassare tutto, anche le casette che ci siamo comprati con tanta fatica. Per me è pericolosissima». A Miami la prima lingua è lo spagnolo e in molti non sanno l’inglese, ma la comunità dei rifugiati sa benissimo da che cosa sfuggire. A Little Havana o a Miami Beach il tormentone è lo stesso. Teresa, un’elegante signora cubana da sessant’anni rifugiata negli Usa, sull’autobus numero 100, quello che collega le spiagge di Miami beach a Downtown, mostra di avere le idee chiare: «Bisogna votare Trump. Con Elon Musk forma un team eccezionale che deve poter lavorare». Il giorno del voto ci spostiamo a Palm Beach, il cuore pulsante del trumpismo. È come essere in Costa Smeralda. Il lusso si respira in ogni strada. Il reddito medio qui è di un milione di dollari e trovare residenti afroamericani o ispanici è una missione complessa. Percorrere i saloni dell’hotel più iconico dell’isola, The Breakers, è un tuffo nella Belle Époque. L’attuale struttura dell’albergo, sormontata da due torrette, risale al 1926 ed è stata costruita in stile neo rinascimentale. L’eleganza è senza tempo e le persone sembrano non essere sfiorate dai problemi dei comuni mortali. Stessa atmosfera nell’esclusivo caffè Sant Ambroeus dove un cappuccino, un caffè, due spremute e quattro croissant ti costano 80 dollari. Qui incontriamo George Guido Lombardi l’amico italiano di Trump che ormai vive a Palm Beach più che a New York, dove ha un lussuoso appartamento nella Trump tower, pochi piani sotto il presidente. Nel locale saluta tutti, in inglese, in francese, in italiano. È allegro e soddisfatto. Martedì sente nell’aria la vittoria. Grazie a lui comprendiamo meglio chi sia davvero The Donald, l’uomo della Storia. Ha aperto questa enclave di miliardari a uno stile di vita più da East coast. A Palm beach i circoli erano di esclusivo appannaggio dei Wasp, i bianchi anglosassoni e protestanti. Ma poi è arrivato Trump, uomo di rottura, e la situazione è un po’ cambiata. Negli anni Ottanta ha acquistato la villa fatta costruire negli anni Venti da Marjorie Merriweather Post in stile italiano e chiamata in modo spagnoleggiante da Mar a lago (Mar-a-lago). Una dimora da favola (114 stanze e due acri di terreno) che è diventata oltre che abitazione di Trump anche il più esclusivo club dell’isola di Palm beach. «Serve 1 milione di euro per diventare membro e quasi trentamila dollari l’anno per restare iscritti» assicura Lombardi. Tra i 700 fortunati, però, non mancano, per esempio, gli ebrei e gli italiani. Un pezzo di New York trasferito sul mar dei Caraibi. Sulla tenuta sventola un’enorme bandiera americana. Trump ha anche fatto realizzare un campo da golf sulla terra ferma, a West Palm beach, dove un uomo, a settembre, ha provato a sparargli. Gli alberi nascondono il segreto di quelle buche, costruite su un terreno che sarebbe costato meno di 1 milione di dollari: affacciano sul carcere cittadino. Lusso e guai giudiziari qui si guardano negli occhi. Trump non fa vita sociale, se non dentro al suo club, dove condivide la quiete famigliare con altri milionari come lui. In comune ci sono i tavoli riparati dagli ombrelloni in giardino, una sala da pranzo in grado di ospitare una novantina di persone e una sala da tè. «Sino a quando non è diventato presidente era possibile parlare con Donald a ogni cena. Adesso lui e suoi famigliari sono separati dagli altri membri da un cordoncino rosso e da due gorilla del Secret service» spiega Lombardi. Insomma, vicino, ma distante. Sul menù il presidente ha fatto mettere il «polpettone della mamma», un pasticcio di carne con una salsa particolarmente carica, di origine scozzese come Mary Ann MacLeod Trump.Alle feste comandante il presidente riunisce al suo tavolo la famiglia allargata: i figli dei tre matrimoni e anche le ex. L’unica che non è la benvenuta è Marla Marples, sessantunenne attrice. La loro unione finì dopo sei anni e in città la leggenda narra che la donna abbia tradito The Donald con il suo autista. Ma nessuno ha mai confermato ufficialmente il gossip. Forse perché Trump frequenta poco Palm Beach. Per Lombardi lo farebbe solo per andare a pregare nella chiesa (il presidente si definisce cristiano non confessionale) vicino al seggio dove ha votato martedì con Melania. Mar-a-lago è il suo regno. Un ponte mobile separa la tenuta dalla terra ferma. Martedì all’ingresso lampeggiavano le sirene della polizia di Palm beach, ma il clima era da festa paesana. In città bandierone e cartelli inneggiavano solo a Trump e JD Vance. Nei parcheggi costruiti lungo il ponte i trumpiani più convinti manifestavano con sventolii e slogan il loro amore per The Donald. Incontrarli toglie ogni dubbio: non sono la «spazzatura» descritta con poca eleganza dal presidente uscente Joe Biden, ma un popolo di persone tranquille e operose che hanno paura di un’America disordinata e senza regole. Gente che non si accalora nemmeno quando una democratica convinta sfreccia in macchina davanti a loro mostrando un cartello pro Harris.A bordo di una gigantesca cybertruck della Tesla, l’azienda di Musk, un bambino con la maschera in gomma di Trump ci saluta allegro. Due asiatici armeggiano con musica e bandiere. Una serigrafia sulla portiera mostra una di loro con Donald e Melania: sono i rappresentanti dei vietnamiti per Trump. Lì vicino passa anche un’orgogliosa rappresentante delle donne per Trump. Denise e il marito Dena vengono, invece, dal Massachusetts, anche se ormai passano sei mesi all’anno in Florida. Sono entrambi pensionati. Lui sventola la bandiera con l’immagine di Trump ferito dopo l’attentato del 13 luglio. Lei ha voglia di parlare: «Siamo stati in Italia da poco. Io ho antenati avellinesi. Il vostro Paese è meraviglioso. Lì i tassisti erano tutti per Trump. Ma i vostri media, invece, sono più faziosi dei nostri. Sono tutti contro di lui». Una fotografia inappuntabile della situazione italiana. Ethan è giovane e viene dall’Iowa e fa da «portavoce» a un’istituzione locale, un anziano con una lunga barba bianca da biker. Si fa chiamare Cracker come le case dei pionieri della zona quando l’area non era ancora stata bonificata. Cracker fa sapere che la sua famiglia vive qui da quattro generazioni e sfoggia una maglietta con scritto «Trump, finalmente uno con le palle». L’ora della chiusura dei seggi si avvicina e noi ci rechiamo all’hotel Hilton di West Palm beach dove, nel Centro convegni della contea, il partito repubblicano ha organizzato un evento per la maratona dello spoglio elettorale. L’albergo pullula di cappellini con lo slogan Make America great again. Il colore del Grand old party, il rosso, caratterizza le mise di molti ospiti, dagli abiti delle signore alle cravatte. Il party è off limits per tutti i cronisti italiani che stazionano nella hall dell’hotel. Lombardi è una specie di star e non nega un’intervista a nessuno. È continuamente il collegamento con l’Italia, ma non solo. Davanti a un hamburger e a una porzione di patatine fritte all’aroma di tartufo gli scuciamo qualche confessione. «Rispetto a prima Trump mi sembra più fatalista. Non è più “cattivo” come prima nel business e nella politica. Mi dà l’idea che non pensi più di essere il solo artefice del suo destino. E non so se questa sia una cosa buona». Ci racconta di avergli dato buoni consigli nella sua prima campagna elettorale, quando, da ex democratico qual era, non riteneva che il partito repubblicano fosse davvero disposto a sostenerlo: «Voleva candidarsi da indipendente, ma gli spiegai che non sarebbe bastato un miliardo di dollari. Mi ricordo che era molto arrabbiato. Ce l’aveva con i repubblicani, ma anche con il presidente uscente Barack Obama». Lombardi ammette di non far parte del cerchio magico di Trump dove ci sono due o tre persone che non gli piacciono proprio, a partire da Corey Lewandowski, ex capo della campagna elettorale del 2016 e consulente dell’ultima, il quale sarebbe stato piazzato a fianco del tycoon dai fratelli Koch, petrolieri e finanziatori. L’imprenditore italiano ricorda i tempi in cui riusciva a far incontrare a Trump in modo non ufficiale personaggi come il re di Giordania Abdullah II: «Lo feci imbucare alle 8:30 del mattino a un incontro di preghiera presenziato dal presidente del National prayer breakfast». Poi il rapporto con Trump si è raffreddato: «Lo vedo a Mar-a-lago, ma lo saluto da lontano». Con lui non parla a quattr’occhi dal 2018. Eppure non ha perso la fiducia nel tycoon: «Rispetto alla Harris è un Abramo Lincoln sopravvissuto all’attentato. Lui garantisce libero mercato e libero pensiero, gli altri portano la dittatura dello Stato che impone regole a imprenditori e normali cittadini». Quando i primi seggi hanno chiuso da neanche un quarto d’ora e vengono diffusi i primi exit polls, Lombardi è una sentenza: «Abbiamo già vinto». Chiedo se sia certo. Risposta: «Solo Dio è sicuro. Direi 85 per cento». In albergo iniziano ad affluire sempre più numerosi fan e politici. Tra gli altri si distingue l’altissima e magrissima governatrice del North Dakota, Kristi Noem. Un sostenitore ha trasformato il suo cane in un personaggio dei Pokemon, Pikachu. Sfila un gruppo di donne di origine asiatica e di rosso vestite. Sugli abiti lunghi hanno impresso la loro preghiera per Trump: «Salva l’America». Anche le borsette sono griffate con il nome del presidente. Non passa inosservata neppure una comitiva di palestrati in canottiera e calzoncini. Dopo di loro si prendono la scena i Black for Trump con le loro magliette bianche. A guidarli è un nero sui generis, il musicista Maurice Woodside che si fa accompagnare come Gesù da dodici discepoli. Accusato un po’ di tutto, vive in una villa di Miami e dopo aver fatto parte di un movimento ebraico-israelita (la Nazione di Yahweh) è diventato cristiano. Affida il suo pensiero all’onnipresente Lombardi. Anche nella hall dell’hotel, nonostante questo circo, arriva notizia dei risultati. Esplode la festa. Trump è di nuovo presidente.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.