2023-04-01
Trump finisce davanti a un giudice. È iniziata la vera campagna elettorale
Donald Trump e Stormy Daniels (Getty Images)
Il tycoon martedì in tribunale (ma senza manette). Contro di lui 34 capi d’accusa legati al presunto tentativo di insabbiare un sexy scandalo. Lui aizza il suo popolo: «Il giudice mi odia». E per ora l’elefantino lo sostiene.È un terremoto politico quello innescato dall’incriminazione di Donald Trump, promossa dal procuratore distrettuale di Manhattan, Alvin Bragg. Non solo si tratta della prima volta che un ex inquilino della Casa Bianca subisce questa sorte, ma quanto accaduto giovedì irrompe anche nella campagna per le presidenziali del 2024. Il diretto interessato, che ha ottenuto il permesso di comparire davanti al giudice martedì anziché già ieri, dovrà lasciarsi prendere le impronte digitali e farsi scattare una foto segnaletica. L’avvocato di Trump, Joe Tacopina (noto in Italia per essere il presidente della Spal), ha escluso sia l’ammanettamento sia il patteggiamento, mentre Joe Biden si è rifiutato di commentare l’incriminazione. Inoltre, nonostante le significative misure di sicurezza adottate, la polizia della Grande Mela ha detto ieri di non aver rilevato «minacce credibili» in città. Nel frattempo, l’ex presidente ha già attaccato il giudice davanti a cui apparirà. «Mi odia», ha affermato. Si tratta di Juan Merchan, il togato che ha supervisionato i casi di frode fiscale relativi alla Trump Organization. Secondo Reuters, l’iter richiederà almeno un anno: ragion per cui il procedimento prenderà prevedibilmente il via nel pieno delle primarie repubblicane del 2024. E comunque, anche dovesse finire in carcere, Trump potrebbe continuare a restare in corsa per la Casa Bianca. E qui veniamo ai due nodi intrecciati di questa vicenda: quello giudiziario e quello politico. Al momento, i 34 capi d’imputazione formulati contro l’ex presidente sono coperti da segreto. Ed è improbabile che si avranno informazioni ufficiali prima della prossima settimana. Tuttavia, secondo numerose indiscrezioni, l’impianto accusatorio di Bragg risulterebbe traballante. Pare che il procuratore voglia accusare l’ex presidente di aver falsificato i documenti aziendali della Trump Organization, per aver rendicontato in maniera erronea il rimborso al suo ex avvocato, Micheal Cohen, del presunto pagamento da lui versato alla pornostar Stormy Daniels nell’ottobre 2016: pagamento finalizzato ad impedire che costei rendesse nota una presunta relazione avuta col magnate nel 2006. Il punto è che, secondo la legge dello Stato di New York, la falsificazione di documenti aziendali è un reato minore. Il che ha portato molti a ipotizzare che Bragg voglia usarlo per dimostrarne uno più grave: la violazione delle norme sui finanziamenti elettorali. Ed è qui che, se tutto fosse confermato, l’impianto accusatorio si rivelerebbe zoppicante. Nel 2012, l’ex candidato dem, John Edwards, subì un processo con l’accusa di aver usato indebitamente dei fondi elettorali per celare una relazione extraconiugale durante la sua campagna presidenziale del 2008. Il processo tuttavia naufragò, perché la giuria non fu in grado di provare che Edwards avesse usato quei soldi per salvaguardare la propria campagna e non, magari, per tutelare la privacy della propria famiglia. Si tratta di un precedente che potrebbe favorire Trump. Nei giorni scorsi, Fox News aveva d’altronde riferito di spaccature in seno alla Procura di Manhattan sul caso costruito contro di lui. E, secondo The Hill, in ambienti dem si teme adesso un effetto boomerang. «È uno dei casi più deboli nei miei 60 anni di esperienza. Un abuso del potere discrezionale dell’accusa», ha detto ieri alla Verità Alan Dershowitz, celebre avvocato dem, che difese Trump nel primo impeachment. E qui veniamo al punto politico. L’ex presidente sta infatti già cavalcando la carta della persecuzione giudiziaria. «Credo che questa caccia alle streghe si ritorcerà contro Joe Biden», ha tuonato, «Il popolo americano capisce esattamente cosa stanno facendo qui i dem di sinistra radicale». Bragg appartiene del resto al Partito democratico e, secondo il New York Post, ottenne finanziamenti da George Soros tramite l’organizzazione Color of Change durante la sua campagna elettorale del 2021. Trump, che giovedì ha già lanciato una campagna di fundraising, brandirà quindi il tema della persecuzione con due obiettivi. Primo: mettere nel mirino Biden (non a caso i deputati repubblicani hanno avviato un’indagine parlamentare per capire se Bragg si sia coordinato con il Dipartimento di Giustizia). Secondo: l’ex presidente vuole ridurre i margini di manovra dei suoi rivali interni. E, almeno per ora, ci sta riuscendo. Gran parte del Partito repubblicano ha fatto quadrato attorno a lui. E a difenderlo sono stati anche i suoi avversari (potenziali e attuali) per la nomination presidenziale, come Mike Pence e Nikki Haley. Senza dimenticare Ron DeSantis, il quale ha detto che, qualora Trump decidesse di opporre resistenza, non collaborerebbe con le autorità di New York nel procedimento volto a consentirne l’estradizione (Trump risiede infatti in Florida, di cui DeSantis è governatore). Una posizione ben diversa da quella della scorsa settimana, quando il governatore si era mostrato piuttosto tiepido nel difendere l’ex presidente. Sempre in quest’ottica, un altro aspetto da monitorare sono le mosse di Rupert Murdoch. Il magnate dei media è in pessimi rapporti con Trump. Non è tuttavia escludibile che, se quest’ultimo dovesse uscire rafforzato dal presente caso giudiziario, il capo di Fox News possa alla fine scegliere di tornare a sostenerlo. E la domanda a questo punto è: riuscirà Trump a cavalcare elettoralmente il tema giudiziario per più di un anno? Difficile, ma neppure impossibile.