2023-06-15
Pazza idea Trump: vincere e poi perdonarsi
Donald Trump (Getty Images)
Le nuove accuse sono più solide del sexy-scandalo, ma questo non gli impedisce di staccare Ron DeSantis di 40 punti nei gradimenti. Ecco perché il tycoon punta a far slittare il processo oltre il voto, quando si aprirebbero scenari inediti. Compreso il colpo di spugna.Joe Biden: L’Fbi mette la testa sotto la sabbia, ma 17 audio svelerebbero le mazzette da Burisma.Lo speciale contiene due articoli.«Non colpevole». Così si è dichiarato Donald Trump, comparendo l’altro ieri nel tribunale di Miami in riferimento ai 37 capi d’imputazione formulati contro di lui dal procuratore speciale Jack Smith per aver trattenuto dei documenti classificati dopo aver lasciato la Casa Bianca nel gennaio 2021. «È una persecuzione politica che sembra uscita direttamente da una nazione fascista o comunista. Questo giorno sarà ricordato con infamia e Joe Biden sarà ricordato per sempre come il presidente più corrotto nella storia del nostro Paese», ha tuonato Trump, i cui strali sono piovuti anche sul procuratore Smith, definito un «delinquente». Quello che bisogna adesso capire è quale potrà essere l’impatto della nuova incriminazione sui destini elettorali dell’ex presidente. Dal punto di vista esclusivamente giudiziario, va detto che stavolta Trump rischia grosso, soprattutto a causa di un audio in cui, nel 2021, sembrava ammettere di non aver declassificato alcuni documenti che aveva trattenuto: un elemento che sarà difficile da ribaltare in sede processuale. Il team legale dell’ex presidente - il primo della storia a subire un’incriminazione federale - punta molto su una sentenza del 2012, che riconobbe a Bill Clinton il diritto di tenersi alcuni documenti risalenti alla sua permanenza alla Casa Bianca. Non è tuttavia chiaro se questo precedente possa essere invocato in riferimento all’attuale situazione di Trump. Per quest’ultimo, la strada sul piano puramente giudiziario resta quindi in salita. Ciò significa dunque che il destino politico dell’ex presidente è segnato? Forse sì, ma non è detta l’ultima parola. Un recentissimo sondaggio della Cbs ha rilevato che, nella corsa per le primarie repubblicane, Trump resta saldamente in testa col 61% dei consensi. Il governatore della Florida, Ron DeSantis è secondo al 23%, mentre gli altri sfidanti sono inchiodati a percentuali irrisorie. La nuova incriminazione potrebbe infatti ridurre ulteriormente i margini di manovra dei principali rivali dell’ex presidente, che rischiano o di schiacciarsi troppo sulle sue posizioni o di alienarsi sempre di più la base elettorale repubblicana. Non solo. Ad essere politico è anche il duello in corso tra Trump e il procuratore speciale. L’ex presidente scommette tutto sulla tesi della persecuzione giudiziaria, puntando per prima cosa il dito contro il fatto che Smith è stato nominato dal procuratore generale Merrick Garland, il quale è stato a sua volta designato da Biden: il suo rivale alle presidenziali del 2020. In secondo luogo, Trump ha buon gioco nel denunciare la scomparsa dai radar dell’indagine sui documenti classificati dello stesso Biden. Ricordiamo che quest’ultimo ha trattenuto incartamenti sensibili per un tempo molto più lungo rispetto all’ex presidente (alcuni di questi documenti risalgono a prima del 2017, altri addirittura a prima del 2009). Infine, è stato il recente rapporto del procuratore speciale John Durham a mettere in evidenza la faziosità del dipartimento di Giustizia nell’imbastire le basi del cosiddetto Russiagate. E proprio il Russiagate potrebbe portare molti elettori a ritenere oggi valida la tesi della persecuzione giudiziaria, cavalcata da Trump. Smith è ben consapevole dei problemi di credibilità che sta attraversando il dipartimento di Giustizia. Secondo un sondaggio di Abc News, il 47% dei cittadini statunitensi ritiene che la nuova incriminazione di Trump sia politicamente motivata, il 37% afferma il contrario, mentre il 16% dice di non sapere. È pur vero che, secondo la stessa rilevazione, il 48% degli statunitensi si dice favorevole all’incriminazione dell’ex presidente e il 35% contrario. Tuttavia, resta il fatto che per quasi un americano su due il dipartimento di Giustizia sarebbe mosso da motivazioni politiche. È per cercare di ribaltare tale percezione che Smith ha inserito nel documento d’accusa le foto degli scatoloni nella dimora di Trump, trasmettendo inoltre in anticipo alla Cnn la trascrizione dell’audio incriminato. Il punto è che, favorendo un circuito mediatico-giudiziario, il procuratore rischia di prestare il fianco alle critiche dell’ex presidente. E comunque, come suggerito da analisi legali uscite su The Hill e Politico, la battaglia principale sarà sulla data d’avvio del processo. Smith vorrebbe celebrarlo in tempi brevi, mentre il team di Trump punta a spostare il tutto a dopo le elezioni del 2024. Uno scenario, quest’ultimo, altamente probabile, visto che la campagna elettorale sta entrando sempre più nel vivo e nessun giudice vorrà aprire un processo a ridosso del voto. L’ex presidente ha un chiaro interesse nel rimandare. La sua strategia di difesa è attualmente pericolante e, qualora riuscisse a tornare alla Casa Bianca, potrebbe concedersi il perdono presidenziale (che tecnicamente può essere conferito anche prima di un’eventuale condanna): una circostanza che potrebbe verificarsi anche nel caso vincesse un altro candidato repubblicano. C’è infine un ultimo scenario, attualmente del tutto ipotetico, da considerare. E se l’amministrazione Biden stesse usando l’incriminazione formulata da Smith come uno strumento di moral suasion in un’eventuale negoziazione per convincere Trump ad abbandonare la campagna elettorale?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-biden-elezioni-2661348114.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-nel-silenzio-generale-dei-media-lucraina-gate-dei-biden-si-allarga" data-post-id="2661348114" data-published-at="1686824480" data-use-pagination="False"> E nel silenzio generale dei media l’Ucraina-gate dei Biden si allarga Si parla molto (anche comprensibilmente) della nuova incriminazione di Donald Trump. Non si parla tuttavia (meno comprensibilmente) delle inquietanti novità relative all’accusa di corruzione riguardante i Biden. Eh sì, perché potrebbero presto spuntare degli audio compromettenti. Ma andiamo con ordine. La settimana scorsa, i deputati repubblicani della commissione Sorveglianza della Camera avevano potuto finalmente visionare il documento dell’Fbi, secondo cui un alto dirigente della società ucraina Burisma avrebbe pagato cinque milioni di dollari a testa a Joe Biden e a suo figlio, Hunter, per ottenere il siluramento dell’allora procuratore generale ucraino, Viktor Shokin: procuratore che fu licenziato effettivamente nel 2016 dietro pressioni dello stesso Joe Biden, che all’epoca era vicepresidente degli Stati Uniti, mentre suo figlio sedeva nel board di Burisma (incarico da lui ricoperto dal 2014 al 2019). Secondo due deputate che avevano visionato il documento, il corruttore sarebbe stato il fondatore di Burisma, l’oligarca ucraino, Mykola Zlochevsky. Ebbene, lunedì scorso, il senatore repubblicano Chuck Grassley ha rivelato che, stando all’incartamento, il presunto corruttore avrebbe conservato la registrazione di ben 17 conversazioni telefoniche: 15 avute con Hunter e due avute con lo stesso Joe Biden. Si tratta di registrazioni che, secondo Grassley, il presunto corruttore avrebbe conservato come «polizza assicurativa». Stando a quanto riportato dal senatore, questa circostanza sarebbe descritta nella parte del documento che risulta ancora segretata. «Non ho idea se ci siano registrazioni vocali o meno», ha dichiarato il vicedirettore dell’Fbi, Paul Abbate, durante un’audizione al Senato, svoltasi l’altro ieri. «Quello che vi dirò riguardo al documento è che è stato segretato per proteggere la fonte, come tutti sanno, e questa è una questione di vita o di morte, potenzialmente», ha aggiunto. Una reticenza che ha mandato su tutte le furie il senatore repubblicano Ted Cruz, secondo cui il Bureau starebbe «coprendo gravi accuse di evidenza di corruzione da parte del presidente». Effettivamente qualcosa non torna. Nonostante non sia classificato, alcune parti del fatidico documento sono ancora segretate. L’Fbi parla di riservatezza per tutelare le fonti. Eppure tutta questa riservatezza non si è verificata nel corso dell’indagine del procuratore speciale Jack Smith su Trump, visto che l’esistenza dell’audio contro di lui e la sua relativa trascrizione sono state fatte trapelare alla Cnn prima che l’incriminazione dell’ex presidente fosse ufficializzata. Inoltre, se l’obiettivo è tutelare le fonti, basterebbe segretare il loro nome e non i fatti descritti nel documento. Se Grassley si fosse inventato di sana pianta l’esistenza di queste 17 registrazioni, basterebbe un po’ di trasparenza per sconfessarlo. Vale inoltre la pena ricordare che la fonte alla base del documento che accusa i Biden è considerata «altamente credibile», essendo inoltre stata spesso usata dal Bureau negli scorsi anni. Non solo. Secondo il presidente della commissione Sorveglianza della Camera, James Comer, tale incartamento sarebbe attualmente usato dai federali in un’indagine in corso: probabilmente quella della procura del Delaware su Hunter Biden. Un’indagine, quest’ultima, che va avanti addirittura dal 2018 e che stranamente ancora non si è conclusa. Sarà un caso, ma il mese scorso un funzionario dell’Agenzia delle entrate americana, Gary Shapley, ha pubblicamente denunciato interferenze politiche in questa inchiesta da parte del Dipartimento di Giustizia.
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