2019-09-13
Troppe risse grilline, niente sottosegretari: «Ignobile mercato»
Elisabetta Trenta esige il posto al Viminale, M5s sotto ricatto al Senato dove la maggioranza balla. Giuseppe Conte chiede di accelerare le scelte. «Un ignobile mercato delle vacche». Sono le 13 di ieri, quando un parlamentare del M5s manda questa risposta via sms al cronista che gli chiede di descrivere cosa stia succedendo intorno alla nomina dei sottosegretari e dei viceministri. Nomina che il premier Giuseppe Conte, come da lui stesso dichiarato, voleva a tutti i costi inserire nell'ordine del giorno del Consiglio dei ministri di ieri, e invece slittata a data da destinarsi, forse lunedì prossimo. Il Pd è pronto, la squadra è già stata definita. Il M5s, invece, è in pieno caos. La corsa alla poltrona sta letteralmente mandando in frantumi quello che doveva essere il movimento antisistema, ed è diventato il movimento per la sistemazione. Luigi Di Maio, dopo aver conquistato il ministero degli Esteri, ha mollato la guida effettiva del partito. Vincenzo Spadafora, che dovrebbe assisterlo nelle vicende organizzative, non riesce neanche a compilare una lista di sottosegretari. Deputati e senatori pentastellati si sbranano tra loro: una rissa politica che sta mettendo a dura prova la proverbiale moderazione di Conte, che si è esposto ed ha rimediato una figuraccia. Ragion per cui ieri ha preteso l'elenco entro la serata, o stamani al più tardi. Il metodo delle rose di nomi partorito da Di Maio, infatti, ha scatenato una bufera che non accenna a placarsi. Il (fu?) capo politico del M5s ha chiesto ai membri di ciascuna commissione parlamentare di indicare una rosa di cinque nomi di potenziali sottosegretari per il relativo ministero, riservandosi la scelta finale. Gravissimo errore: in tanti, tra i componenti delle varie commissioni, si sono auto inseriti nelle rispettive rose. Un cortocircuito devastante. La corsa alla poltrona è dovuta a diversi fattori: prima di tutto, diventare sottosegretari significa, alle prossime elezioni, avere la ragionevole certezza di essere ricandidati alle parlamentarie sulla piattaforma Rousseau. Per un deputato o un senatore che vive ogni minuto la sensazione netta di assistere all'ineluttabile dissoluzione del suo partito, si tratta di vita o di morte. I parlamentari al primo mandato, un anno e mezzo fa, quando c'era da completare la squadra del governo Lega-M5s, appagati da stipendio, velluti, poltrone e benefit che non avrebbero mai sognato nella vita, avevano lasciato che le poltrone da viceministro e sottosegretario fossero appannaggio, per lo più, dei colleghi al secondo mandato, riconoscendone l'esperienza. Stavolta no, stavolta sono proprio deputati e senatori al primo mandato ad essere letteralmente assatanati. L'atmosfera nel M5s è mefitica, i grillini mettono in circolazione veleni l'uno contro l'altro. Nessuno regge il timone, nessuno mantiene la rotta. Il caso di Elisabetta Trenta è paradossale. L'ex ministro della Difesa sta facendo fuoco e fiamme per ottenere la poltrona di sottosegretario all'Interno, nonostante una retrocessione del genere sia di consueto esclusa per principio. Il problema della Trenta è che, non essendo nemmeno parlamentare, rischia di trovarsi, politicamente, a spasso. L'orgoglio viene messo da parte, offuscato dalla brama di un posticino al sole. Il Viminale è l'oggetto dei desideri dei grillini: le autocandidature a sottosegretario all'Interno sono il quadruplo di quelle relative agli altri ministeri. La visibilità ottenuta da Matteo Salvini acceca le menti dei grillini, come se bastasse una scrivania al Viminale per crescere a dismisura in popolarità. Non solo: ci si rimangia anche la parola scritta. «Siamo convinti», avevano affermato tre giorni fa, attraverso una stizzita nota, i presidenti di Commissione del M5s alla Camera, Marta Grande, Filippo Gallinella, Carla Ruocco, Giuseppe Brescia, Marialucia Lorefice, Gianluca Rizzo e Luigi Gallo, «che i nomi che verranno selezionati saranno tra le figure migliori del gruppo parlamentare e non solo. Abbiamo detto a più riprese che adempieremo al nostro ruolo fino alla scadenza naturale e speriamo che ciò valga per tutti. Il M5s non è un ufficio di collocamento». Bene (anzi male): a quanto risulta alla Verità, alcuni dei essi hanno già cambiato idea e si propongono in maniera asfissiante per l'agognata poltrona. Matteo Salvini, che i grillini li conosce meglio di chiunque altro, inizia a togliersi qualche macigno dalle scarpe: «Dopo neanche una settimana al governo», azzanna Salvini, contemplando la figuraccia stratosferica del M5s, «già si scannano per la distribuzione delle poltrone. Presidente Mattarella, davvero gli Italiani meritavano uno schifo simile?». Già, Mattarella. Il capo dello Stato assiste a quanto sta accadendo, immaginiamo, con sconcerto e amarezza. Il Pd, invece, se la gode: ha la squadra pronta, i team di collaboratori già insediati, sta accumulando un vantaggio operativo piovuto dal cielo, inatteso. In questo marasma, in questo festival del più sfrenato poltronismo, la leadership di Di Maio affonda, trascinando quella di Spadafora. Troppi intrighi, troppe promesse, troppi «o si fa così o ve ne pentirete»: non sarà un caso, sussurrano i bene informati, se alla fine la stragrande maggioranza dei sottosegretari proverranno dal Senato. Il ricatto politico è più efficace a Palazzo Madama, dove la maggioranza è risicata e gli appetiti insaziabili. La speranza di chi ancora crede nel progetto politico del M5s è che Giuseppe Conte, dopo la figuraccia dello slittamento di ieri, avochi a sé la pratica.