2023-04-05
Trento strappa sul payback: stop al salasso
La Provincia autonoma non chiederà indietro 46 milioni alle aziende fornitrici del sistema sanitario. Piazza calda, le Pmi pronte alla manifestazione del 14 aprile a Roma. Oggi il decreto del governo approda in commissione, si lavora a un accordo in extremis.Dopo i ricorsi al Tar ora è la volta della piazza. Le aziende fornitrici di dispositivi medici non hanno intenzione di gettare la spugna e arrendersi al payback. Pmi Sanità, guidata dall’imprenditore Gennaro Broya de Lucia, sta organizzando una manifestazione per il prossimo 14 aprile a Roma con l’obiettivo di modificare la norma mentre è in discussione in parlamento la conversione del decreto. Oggi comincia l’esame in commissione Salute e Finanze con una serie di audizioni durante le quali si cercherà di arrivare a un compromesso tra la richiesta delle associazioni rappresentative delle imprese e il governo. Intanto il fronte degli enti locali si rompe e la Provincia autonoma di Trento ha sospeso l’attuazione del payback fino ad aprile 2024. Solo per il Trentino la cifra da restituire all’amministrazione è di 46 milioni di euro. La tensione sta montando e il decreto è stato accolto dai diretti interessati come un pannicello caldo, per prendere tempo. Il governo ha messo sul piatto 1,1 miliardi per ammorbidire gli effetti della norma varata dall’ex ministro Roberto Speranza che impone la compartecipazione delle imprese fornitrici di dispositivi medici allo sforamento dei tetti regionali di spesa sanitaria. Ma non bastano perché non solo coprono la metà del dovuto, pari a circa 2 miliardi, per gli anni 2015-2018 ma lasciano in sospeso il periodo successivo, 2018-2022 per il quale dovrebbero essere sborsati circa 3,6 miliardi.Il tiro mancino lanciato da Speranza per salvare soprattutto Toscana e Puglia, super indebitate e a rischio di commissariamento, è un macigno sui conti pubblici e sui bilanci delle aziende coinvolte. Cancellare con un colpo di spugna i versamenti a carico delle 4.500 Pmi che ogni anno forniscono dispositivi essenziali al funzionamento degli ospedali, è praticamente impossibile, hanno fatto capire dal governo, perché vorrebbe dire rinunciare a una somma che è vitale per le casse pubbliche. Dall’altra parte c’è il rischio che gran parte delle imprese falliscano, trascinandosi dietro posti di lavoro (120.000 lavoratori che potrebbero finire per strada) ma anche le commesse lasciando gli ospedali senza bisturi, valvole, pacemaker. La legge stabilisce che anche se indebitati, i fornitori devono comunque assolvere agli impegni contrattuali presi; ma se saltano in aria non possono più garantire quella strumentazione necessaria a salvare vite umane.Anche se con il decreto, il governo ha stabilito che si farà garante di eventuali prestiti chiesti alle banche per far fronte al maggiore esborso: mettere a bilancio un debito non preventivato rappresenta sempre una zavorra soprattutto per realtà con pochi dipendenti, qual è la maggior parte di quelle travolte dal problema. Inoltre, dal momento del varo del decreto, è scattato il pressing degli istituti di credito, come ha rivelato il presidente di Fifo, Giacomo Guasone, che hanno messo sotto assedio le aziende per capire in che misura sono esposte e quale è la loro solvibilità.Altra tagliola è rappresentata dalla norma contenuta nel decreto che prevede lo «sconto» delle somme da versare, solo per quegli imprenditori che non hanno presentato ricorso o che, se lo hanno fatto, sono pronti a ritirarlo. Ma come spiega il presidente di Pmi Sanità, Gennaro Broya de Lucia, «i fornitori hanno scelto la linea dura e non intendono gettare la spugna. D’altronde molte di loro, nonostante lo sconto governativo, dovrebbero versare comunque importi superiori al fatturato». Da un sondaggio all’interno degli associati, è emerso che l’82,6% non è in grado di sostenere il payback. Ecco perché Confindustria dispositivi medici è partita all’attacco e ha depositato un esposto alla Commissione europea «affinché valuti l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia». Secondo l’associazione degli industriali, il payback «viola le norme comunitarie in materia di concorrenza e accesso al mercato».L’eredità lasciata da Speranza e, prima, da Matteo Renzi, come premier nel 2015, espone il nostro Paese all’ennesima figuraccia a livello europeo. Suona pertanto paradossale la spiegazione che ha dato Renzi, nel corso della trasmissione Report: «Era una misura di spending review che ci chiedeva l’Europa per riequilibrare i conti». Come dire, non è colpa nostra, prendetevela con Bruxelles. Non solo. Renzi ammette di aver quasi raggirato la Commissione. «Abbiamo fatto la legge ma abbiamo creato le condizioni perché non entrasse in vigore». Però ci ha pensato Speranza ad attivarla.Il meccanismo impatta su un sistema fragile. La fornitura di dispositivi medici avviene tramite gare pubbliche con la formula del ribasso rispetto alla base d’asta iniziale anche del 50-60% e con un utile che, mediamente, non supera il 10%. Secondo un calcolo di Pmi Sanità, la somma dello sconto offerto in gara e del corrispettivo richiesto dalle regioni in applicazione del payback, in molti casi, conduce ad uno sconto complessivo del 70-75% con una perdita netta per le imprese non inferiore al 5%. Questo vuol dire che le forniture di molte imprese nei confronti delle regioni sono in perdita.
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