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2019-02-12
Lockheed Martin atterra in Liguria per dare un'occhiata a Piaggio Aero
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Ansa
Chiusa la vicenda Vitrociset, con l'acquisto da parte di Leonardo di un'azienda strategica per la Difesa, resta sul tavolo del governo il nodo di Piaggio Aerospace, altra società chiave per il nostro settore militare. Controllata dal fondo degli Emirati Arabi, Mubadala, Piaggio è da qualche mese in amministrazione straordinaria, con debiti fino a 618 milioni di euro e la nomina del commissario Vincenzo Nicastro. Da dicembre però tutto tace. Nelle ultime settimane si sono fatte sentire le Rsu sindacali chiedendo un incontro con i vertici della società, anche perché il commissario non ha ancora avuto un incontro ufficiale con i segretari generali delle tre sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil: un incontro è stato fissato per il 26 febbraio. I lavoratori sono in attesa di conoscere il loro destino, anche perché al momento la produzione è ferma, funziona a sufficiente regime la manutenzione velivolistica a Genova. Non solo. L'addio di Giampiero Castano dal ministero dello Sviluppo economico, ex responsabile delle crisi industriali, ha lasciato sconforto, anche perché per anni è stato l'unico punto di riferimento dei lavoratori per la crisi.
Nelle ultime settimane era tornata a circolare l'ipotesi di un intervento di Leonardo, ma l'idea è poi sfumata, a quanto pare, per timori di ricadute in borsa del titolo del colosso di piazza Montegrappa: gli analisti avevano già bocciato l'offerta nei mesi scorsi. Secondo chi segue il dossier da vicino il governo sta cercando di tenere la situazione sotto controllo in attesa di spacchettare in varie parti l'azienda. Non a caso in questi giorni si attende una visita da parte di una delegazione degli americani di Lockheed Martin che potrebbero essere interessati alla tecnologia dei droni P1.hh. Se la carta Leonardo è stata ormai scartata, al Mise di Luigi Di Maio continua a circolare l'ipotesi di un intervento di Cassa depositi e prestiti, ma sono tutte idee che non trovano riscontri sulla carta. Di sicuro nei prossimi mesi il commissario dovrà esaminare i conti in vista del 10 di maggio, giorno in cui è stata fissata l'udienza del tribunale fallimentare di Savona dove i creditori dovranno farsi avanti. Nel frattempo si guarda anche all'Europa dove alcuni addetti ai lavori ripongono la speranza di poter usufruire dei fondi di stanziamento da parte della Difesa. Ma anche qui ci potrebbero essere problemi.
Come ben descritto dall'Istituto Affari Internazionali (Iai) in una relazione al Senato di gennaio, «per quanto riguarda la definizione dei criteri per ammettere un'iniziativa al finanziamento nell'ambito del Fondo l'Italia ha puntato soprattutto a superare la logica di collaborazioni bilaterali, sostenendo la necessità che i consorzi siano composti da almeno tre aziende, basate in almeno tre diversi stati membri. L'intento è di evitare un'egemonia franco tedesca e consentire all'Italia di associarsi a eventuali iniziative proposte da Parigi e Berlino. Un altro obiettivo principale perseguito dall'Italia è la possibilità da parte di società europee controllate da entità non-europee di partecipare al programma di finanziamento. Su questo punto è stato raggiunto un compresso: prevede che le aziende basate nell'Ue e controllate da società o governo di un Paese terzo possano beneficiare dei fondi, purché lo stato in cui sono stabilite fornisca le necessarie garanzie alla Commissione, in particolare sulla struttura della governance, i risultati dell'azione e la gestione delle informazioni sensibili». Proprio «questo aspetto» si legge nella relazione «è particolarmente importante in considerazione di rilevanti realtà industriali a controllo straniero presenti nel nostro Paese. Basti pensare, ad esempio, ad Avio Aero, parte della statunitense GeAviation, o a Piaggio Aerospace, controllata dal fondo emiratino Mubadala». Insomma anche la governance di Piaggio dovrà essere ridefinita nei prossimi mesi. Tra i sindacati c'è un certo malumore nell'aver visto ricomparire nell'organico l'ex amministratore delegato Renato Vaghi.
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Tutto tace intorno ai destini dell'azienda di Villanova D'Albenga. La produzione è ferma e il commissario, Vincenzo Nicastro, non ha ancora avuto un incontro ufficiale con i segretari generali delle sigle sindacali. Il 10 maggio è prevista la sentenza del tribunale fallimentare. Mentre il 26 febbraio ci sarà un incontro con i sindacati al Mise. Intanto Leonardo sta a guardare, mentre c'è chi continua a far circolare l'ipotesi di un intervento di Cassa depositi e prestiti. Attesa a giorni la visita di manager del colosso statunitense. Chiusa la vicenda Vitrociset, con l'acquisto da parte di Leonardo di un'azienda strategica per la Difesa, resta sul tavolo del governo il nodo di Piaggio Aerospace, altra società chiave per il nostro settore militare. Controllata dal fondo degli Emirati Arabi, Mubadala, Piaggio è da qualche mese in amministrazione straordinaria, con debiti fino a 618 milioni di euro e la nomina del commissario Vincenzo Nicastro. Da dicembre però tutto tace. Nelle ultime settimane si sono fatte sentire le Rsu sindacali chiedendo un incontro con i vertici della società, anche perché il commissario non ha ancora avuto un incontro ufficiale con i segretari generali delle tre sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil: un incontro è stato fissato per il 26 febbraio. I lavoratori sono in attesa di conoscere il loro destino, anche perché al momento la produzione è ferma, funziona a sufficiente regime la manutenzione velivolistica a Genova. Non solo. L'addio di Giampiero Castano dal ministero dello Sviluppo economico, ex responsabile delle crisi industriali, ha lasciato sconforto, anche perché per anni è stato l'unico punto di riferimento dei lavoratori per la crisi. Nelle ultime settimane era tornata a circolare l'ipotesi di un intervento di Leonardo, ma l'idea è poi sfumata, a quanto pare, per timori di ricadute in borsa del titolo del colosso di piazza Montegrappa: gli analisti avevano già bocciato l'offerta nei mesi scorsi. Secondo chi segue il dossier da vicino il governo sta cercando di tenere la situazione sotto controllo in attesa di spacchettare in varie parti l'azienda. Non a caso in questi giorni si attende una visita da parte di una delegazione degli americani di Lockheed Martin che potrebbero essere interessati alla tecnologia dei droni P1.hh. Se la carta Leonardo è stata ormai scartata, al Mise di Luigi Di Maio continua a circolare l'ipotesi di un intervento di Cassa depositi e prestiti, ma sono tutte idee che non trovano riscontri sulla carta. Di sicuro nei prossimi mesi il commissario dovrà esaminare i conti in vista del 10 di maggio, giorno in cui è stata fissata l'udienza del tribunale fallimentare di Savona dove i creditori dovranno farsi avanti. Nel frattempo si guarda anche all'Europa dove alcuni addetti ai lavori ripongono la speranza di poter usufruire dei fondi di stanziamento da parte della Difesa. Ma anche qui ci potrebbero essere problemi. Come ben descritto dall'Istituto Affari Internazionali (Iai) in una relazione al Senato di gennaio, «per quanto riguarda la definizione dei criteri per ammettere un'iniziativa al finanziamento nell'ambito del Fondo l'Italia ha puntato soprattutto a superare la logica di collaborazioni bilaterali, sostenendo la necessità che i consorzi siano composti da almeno tre aziende, basate in almeno tre diversi stati membri. L'intento è di evitare un'egemonia franco tedesca e consentire all'Italia di associarsi a eventuali iniziative proposte da Parigi e Berlino. Un altro obiettivo principale perseguito dall'Italia è la possibilità da parte di società europee controllate da entità non-europee di partecipare al programma di finanziamento. Su questo punto è stato raggiunto un compresso: prevede che le aziende basate nell'Ue e controllate da società o governo di un Paese terzo possano beneficiare dei fondi, purché lo stato in cui sono stabilite fornisca le necessarie garanzie alla Commissione, in particolare sulla struttura della governance, i risultati dell'azione e la gestione delle informazioni sensibili». Proprio «questo aspetto» si legge nella relazione «è particolarmente importante in considerazione di rilevanti realtà industriali a controllo straniero presenti nel nostro Paese. Basti pensare, ad esempio, ad Avio Aero, parte della statunitense GeAviation, o a Piaggio Aerospace, controllata dal fondo emiratino Mubadala». Insomma anche la governance di Piaggio dovrà essere ridefinita nei prossimi mesi. Tra i sindacati c'è un certo malumore nell'aver visto ricomparire nell'organico l'ex amministratore delegato Renato Vaghi.
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L’attività, eseguita dal Commissariato Greco-Turro, è stata coordinata dalla Procura della Repubblica e dalla Procura per i Minorenni di Milano, tramite misure cautelari e fermi. Venerdì 21 novembre, i poliziotti hanno infatti sottoposto a fermo due 22enni. Nel corso della settimana, inoltre, gli agenti hanno eseguito un’altra ordinanza nei confronti di tre giovani di 15, 20 e 22 anni.
Il 22enne destinatario di quest’ultimo provvedimento è anche uno dei due indagati fermati il 21 novembre per la rapina avvenuta a Caiazzo una decina di giorni prima.
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Il mosaico romano scoperto dai bersaglieri dopo la battaglia di Ain Zara (Getty Images)
Il 4 dicembre 1911 i cannoni italiani tuonarono ad Ain Zara, un’oasi fortificata a circa 15 chilometri a sud di Tripoli, capitale conquistata dagli Italiani nell’ottobre precedente, all’esordio della guerra di Libia. La zona era ancora fortemente presidiata da truppe arabo-ottomane, che minacciavano costantemente la città in mano agli italiani.
All’alba del giorno stabilito per l’offensiva, il Regio Esercito iniziò la marcia diviso in tre colonne cui presero parte quattro Reggimenti di fanteria, uomini del 4°Reggimento artiglieria da montagna e del 1° Artiglieria da campagna supportati da reparti del Genio. Lo scontro fu duro, gli arabi (che eguagliavano quasi nel numero gli italiani) offrirono una strenua resistenza. Solo l’azione delle artiglierie fu in grado di risolvere la situazione e, dopo una battaglia corpo a corpo all’interno dell’oasi e 15 caduti tra gli italiani, poco dopo le 15 su Ain Zara sventolava il tricolore con lo stemma sabaudo. Fu per la campagna di Libia una vittoria importante perché da quel momento Tripoli non fu più minacciata e perché fu la prima azione concertata del Regio Esercito fuori dall’Europa.
Il 6 dicembre 1911 un avvenimento legato al combattimento di due giorni prima aggiunse importanza all’oasi appena conquistata. Nel pomeriggio i bersaglieri del 33°battaglione dell’11°Reggimento che stavano eseguendo lavori di trinceramento si accorsero di aver dissotterrato dalla sabbia un mosaico. Verso le 17 emerse dal terreno quello che appariva un raffinato manufatto perfettamente conservato, con disegni geometrici e motivi vegetali, di 6,75X5,80 metri. A prima vista, quella dei bersaglieri e dei loro ufficiali sottotenente Braida e più tardi maggiore Barbiani e colonnello Fara, appariva come il pavimento di una villa. Inizialmente attribuito all’età degli Antonini (92-192 d.C.). Più tardi, dopo l’analisi fatta dagli archeologi guidati dal professor Salvatore Aurigemma, si ipotizzò una collocazione cronologica più precisa e corrispondente all’età di Marco Aurelio. I bersaglieri, con la conquista dell’oasi di Ain Zara, avevano riportato alla luce un frammento dell’antica Oea, l’attuale Tripoli. Negli anni successivi, a poca distanza dal campo di battaglia del dicembre 1911 fu riportato alla luce quello che attualmente è l’unico monumento integro dell’antica città della Tripolitania romana: l’arco di Marco Aurelio, che fu trovato poco dopo la fine delle ostilità. Un altro pezzo del grande patrimonio archeologico della Libia romana, che i pezzi da 149/23 e quelli da 75/27 dell’artiglieria alpina contribuirono involontariamente a riportare alla luce.
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